2022-05-14
Open arms, testimone critica le Ong e il pm lo attacca
Scontro tra pubblico ministero e l’avvocato Giulia Bongiorno nel processo a Matteo Salvini: paradossalmente il teste «scagiona» l’ex ministro.Era uno dei testimoni dell’accusa. Ma quando, in alcuni passaggi della sua deposizione, ha cominciato a tirare dritto contro le Ong, giustificando le azioni dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, il pubblico ministero Geri Ferrara, autore con altri due colleghi di un saggio sulla Crisi dei migranti nel Mediterraneo centrale in cui è sostenuta la tesi che le traversate della speranza «non contribuiscono ad aumentare la probabilità di morte in mare dei migranti», l’ha interrotto a più step. Nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, in cui si sta svolgendo il processo Open arms sono subito volate scintille. Salvini è accusato di sequestro di persona per aver impedito nell’agosto 2019, quando era ministro dell’Interno, stando all’ipotesi dell’accusa, lo sbarco dei 147 passeggeri della nave catalana. Il testimone diventato scomodo è Fabrizio Mancini, direttore del Servizio immigrazione della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale. Aveva appena spiegato che le Ong avrebbero messo in piedi «un sistema alternativo a quello ufficiale, molte volte non dandone nemmeno comunicazione alle autorità», quando il pm ha cominciato a stopparlo. Stando alla versione del testimone, sia prima sia dopo il caso Open arms c’erano stati episodi simili: «La procedura», ha detto Mancini, «prevedeva l’attesa di qualche giorno per la redistribuzione europea». Stando a quanto riportato dalle agenzie di stampa, il pm avrebbe alzato i toni, costringendo l’avvocato Giulia Bongiorno, che difende Salvini, a intervenire, rivolgendosi al presidente del Tribunale, per permettere al teste di concludere la risposta e facendo notare che «non si possono usare questi toni aggressivi nei confronti di un testimone».E a quel punto si sarebbe innescato un botta e risposta tra accusa e difesa che ha portato all’interruzione dell’udienza. Dopo l’interruzione, però, Mancini ribadisce: «Le Ong, attraverso i loro sistemi aerei, avevano messo in piedi un sistema alternativo a quello ufficiale, a volte non dando neanche comunicazione alla autorità precostituita di essere portata a conoscenza dei salvataggi. Quindi si poteva ritenere che queste attività venivano fatte fuori dalle regole». E ancora: «Credo che rientri nei compiti del ministro dell’Interno preoccuparsi dell’ordine e della sicurezza pubblica dello Stato che mi rappresenta. In quel periodo storico in cui avevamo di tutto, la preoccupazione era, al di là dei salvataggi, che all’interno di questa massa di persone si potesse andare a confondere qualche malintenzionato». Infine, Mancini ha spiegato come si era mossa la catena di comando: «Fino al 12 febbraio 2019 era il Dipartimento per le libertà civili del Viminale a decidere quale porto assegnare alle imbarcazioni con a bordo i migranti. Dopo quella data la richiesta del Pos (place of safety, ovvero porto sicuro, ndr) veniva veicolata anche direttamente al gabinetto del ministro dell’Interno». E in questo caso specifico, la decisione, ha precisato il testimone, fu «della Direzione centrale immigrazione, o del mio direttore centrale, ma l’indicazione arrivava dal gabinetto del ministro dell’Interno».«È frustrante essere a processo in un’aula bunker che ha ospitato i peggiori mafiosi per aver combattuto il traffico di esseri umani», ha commentato Salvini, aggiungendo: «I testimoni che di mese in mese sento, dicono che ho fatto semplicemente il mio dovere e quello che ho fatto io lo facevano quelli prima e lo fanno quelli dopo di me».
Ursula von der Leyen (Ansa)
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