2023-04-04
L’Opec taglia il greggio, la Russia ci guadagna
Occidente in difficoltà, i Paesi produttori ridurranno la produzione di 1,15 milioni di barili al giorno. I rialzi impatteranno sul petrolio di Mosca: il prezzo sarà superiore al price cap fissato dal G7. Russia e India abbandonano il Brent, useranno come riferimento Dubai.L’Opec+, con l’Arabia Saudita in testa, taglia la produzione di greggio per 1,15 milioni di barili al giorno a partire dal prossimo maggio, provocando un’impennata dei prezzi e suscitando inquietudine sul mercato. Le notevoli riduzioni dei sauditi (meno 500.000 barili al giorno) si aggiungono a quelle annunciate da Kuwait, Emirati Arabi, Algeria e altri, che assommano a 649.000 barili al giorno I tagli volontari dureranno fino alla fine del 2023. Al proposito, il ministro dell’Energia arabo ha sottolineato che «si tratta di una misura precauzionale per salvaguardare la stabilità del mercato del petrolio». La Russia ha poi comunicato che il taglio già deciso di 500.000 barili al giorno, in vigore da marzo fino a giugno, sarà prolungato fino alla fine del 2023. In totale, quindi, l’offerta si restringerà di 1,65 milioni di barili al giorno nella seconda parte dell’anno.Con una domanda di petrolio stimata attorno ai 100 milioni di barili al giorno, si tratta di un calo dell’1,65%, in un mercato in cui il prezzo medio del petrolio Brent nei primi tre mesi del 2023 è stato attorno agli 80 dollari al barile. Gli Stati Uniti non l’hanno presa bene. John Kirby, membro del National security council, ha affermato che la Casa Bianca dissente dalla decisione dell’Opec+: «Non crediamo sia consigliabile un taglio della produzione in questo momento, date le incertezze sul mercato. Eravamo stati chiari su questo». Il mercato ha fatto i conti e, all’apertura delle contrattazioni, il Brent è salito del 6% rispetto alla chiusura di settimana scorsa e ha toccato un massimo a 86,44 dollari al barile, per poi assestarsi su valori poco più bassi. Il taglio rappresenta un sonoro schiaffo all’Occidente. Primo perché, a meno di imprevisti, la manovra dell’Opec+ comporterà una tendenza dei prezzi a restare sopra gli 80 dollari, considerato che il grosso della ripresa di domanda cinese non si è ancora vista sul mercato. In secondo luogo, ci sarà un impatto sui prezzi al consumo soprattutto nell’Eurozona, dove l’inflazione potrebbe restare alta nonostante le azioni della Bce.La spinta al rialzo avrà un impatto anche sul prezzo del petrolio russo che, fuori dal circuito occidentale (ormai ampio), dovrebbe portarsi sopra il price cap fissato dal G7 e, dunque, incassare di più nonostante le sanzioni. Al momento, il vero ostacolo alla crescita dell’export russo è costituito dalla mancanza di petroliere. Ultimo è il tema delle scorte strategiche americane, che l’amministrazione guidata da Joe Biden ha portato ai minimi dal 1983 (371 milioni di barili) e che necessita di essere ricostituita celermente. Proprio settimana scorsa, Jennifer Granholm, segretario per l’energia dell’amministrazione Biden, aveva lasciato intendere che, nella seconda parte dell’anno, gli Usa avrebbero ricostituito la riserva strategica. Ora la Casa Bianca dovrà sborsare più del previsto. In questa chiave, il taglio Opec+ assomiglia a un tempestivo dispetto.Il taglio alla produzione di petrolio deciso da Opec+ non è, però, l’unica brutta notizia per Washington. Un mese fa la Cina si è fatta mediatrice di uno storico accordo tra Arabia Saudita e Iran teso a placare i rapporti diplomatici tra i due Paesi, in crisi da molti anni. Qualche giorno fa l’Arabia Saudita ha fatto trapelare che accetterebbe yuan quale valuta di pagamento per il petrolio esportato in Cina, al posto del dollaro americano. Ieri il maggior produttore russo Rosneft ha annunciato un patto con il più grande raffinatore indiano (Indian oil), che prevede la consegna di 11 milioni di barili al mese di greggio Urals e Sokol. Il prezzo della fornitura sarà a sconto rispetto al petrolio Dubai e non al Brent, come di solito avviene. Una decisione importante che indebolisce il riferimento europeo e rafforza quello orientale.Ciò significa minore peso delle piazze finanziarie europee dove si tratta il Brent. «Se il petrolio russo non entra nel mercato europeo, allora non c’è un riferimento. I prezzi di riferimento si formeranno dove andranno effettivamente i volumi di petrolio» ha detto Igor Sechin, che da anni guida Rosneft. L’accordo prevede, più avanti, anche il pagamento in valute diverse dal dollaro.Infine, secondo il Wall Street Journal, il Giappone avrebbe convinto gli Stati Uniti a fare un’eccezione al price cap sul petrolio russo, concedendo a Tokyo di comprare il greggio russo a un prezzo superiore ai 60 dollari, oggi stabiliti come massimo. In realtà, si tratterebbe di quantitativi marginali, legati agli accordi esistenti sul Gnl dall’isola di Sakhalin. Ma certo la crepa nel fronte alleato non è un bel segnale per la Casa Bianca.Da tutto ciò si ricava una sensazione netta: più l’Occidente che orbita attorno a Washington radicalizza le proprie posizioni, più l’area asiatica si organizza e si unisce, anche creando nuovi assi geopolitici. La guerra in Ucraina, con tutti i suoi portati, sta imprimendo un’accelerazione inusitata a quello spostamento ad oriente del baricentro mondiale che a molti osservatori sembra ormai inevitabile.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson