2018-09-20
Omissioni sulla pillola dei cinque giorni dopo
Sul sito autorizzato dal ministero si legge che il farmaco è antiovulatorio, ma molti studi dimostrano che impedisce l'annidamento dell'embrione. Nessuno dice che le gravidanze indesiderate non sono diminuite e che gli aborti in alcuni Paesi stanno aumentando.Un paio di settimane fa La Verità ha svelato che Hra pharma, l'azienda produttrice della pillola dei 5 giorni dopo, ha inaugurato un sito autorizzato dal ministero della Salute per pubblicizzare il suo prodotto e, nelle parole del general manager di Hra pharma Italia, «informare correttamente le donne». Ora si potrebbe rimanere perplessi di fronte al fatto che un ministro di un Paese in coma demografico, il cui alleato in maggioranza ha fatto del sostegno alla natalità uno dei punti programmatici della propria azione, tra la miriade di specialità farmaceutiche da potere accreditare abbia deciso di sceglierne proprio una studiata e pensata apposta per non far nascere i bambini. Se il ministro della Salute pentastellato Giulia Grillo avesse alzato la cornetta per parlarne col ministro della famiglia Lorenzo Fontana, non avrebbe rischiato di certo l'ernia. Ma, supponendo che l'operazione abbia inteso davvero fornire una corretta informazione alle donne, resta sempre da capire se effettivamente il messaggio contenga davvero soltanto notizie corrette e complete. Tra le informazioni più rilevanti da fornire a una donna, prima che questa assuma un presidio farmaceutico post coitale, vi è senza dubbio quella che riguarda il meccanismo d'azione.l'inizio della vitaA questo riguardo sono stati pubblicati almeno 5 studi su riviste mediche internazionali, in cui un gran numero di donne sia americane che europee non assumerebbe un prodotto in grado d'impedire l'annidamento dell'embrione, anche se si trattasse solo di una possibilità. Si può giocare quanto si vuole con le parole, stabilendo convenzionalmente che il concepimento coincide con l'annidamento dell'embrione e non con la fecondazione, ma l'inizio della vita umana coincide con l'unione dello spermatozoo e l'ovocita e impedire all'embrione di impiantarsi nell'endometrio è l'impedimento della nascita di un essere vivente, cioè un aborto; nascosto, inavvertito dalla donna, ma pur sempre un aborto. Nella pubblicità approvata dal ministero, si legge che essa «posticipa il rilascio dell'ovulo dall'ovaio finché gli spermatozoi non sono più vitali». Poiché non si fa cenno a possibili altri meccanismi, una donna è indotta a pensare che quello antiovulatorio sia il solo meccanismo d'azione della pillola. È questa un'informazione che si definirebbe completa? Se il medico la ripetesse alla donna, avrebbe fornito un consenso informato valido? La letteratura scientifica ha da dirci qualcosa in proposito. L'ulipristal al dosaggio di 30 milligrammi si comporta da bloccante dei recettori del progesterone, l'ormone che sostiene la gestazione. La molecola è sì in grado di bloccare l'ovulazione, ma sappiamo dagli esperimenti di Vivian Brache pubblicati sulla rivista Human Reproduction nel 2010 e confermati dal gruppo del Karolinska institute tre anni dopo, che il blocco è del 100% nei giorni che precedono il rialzo dell'ormone Lh, scende al 78,6% quando l'ormone luteinizzante inizia ad aumentare nel sangue, per poi essere pressoché nullo dopo il picco di Lh (solo 8,3% di efficacia antiovulatoria). Se il meccanismo d'azione fosse soltanto il blocco o il ritardo dell'ovulazione, allora l'assunzione di ulipristal nelle 10-12 ore che separano il picco di Lh dall'ovulazione e le 24 ore successive all'ovulazione stessa (periodo in cui la cellula uovo è fecondabile), sarebbe perfettamente inutile. Tuttavia, se il farmaco fosse capace di determinare modificazioni dell'endometrio tali da renderlo inospitale all'annidamento dell'embrione provocandone la morte, allora assumerlo quando esso non è più in grado di bloccare l'ovulazione garantirebbe ancora l'efficacia. Pamela Stratton, dell'ospedale di Bethesda, ha dimostrato che una singola dose compresa tra 10 e 100 milligrammi di Ulipristal è in grado di indurre modificazioni endometriali antinidatorie (Human Reproduction, 2000; Fertility & Sterility, 2010). Recentemente quelle osservazioni sono state confermate da due pubblicazioni del 2017 e del 2018 sulla rivista Molecular and Cellular Endocrinology da parte di un gruppo di ricercatori di Città del Messico, i quali hanno evidenziato che ulipristal induce modificazioni in senso antinidatorio dell'espressione genetica del tessuto endometriale. Peraltro, se ulipristal agisse soltanto con meccanismo antiovulatorio, allora l'efficacia dovrebbe diminuire, quanto più l'assunzione avviene in ritardo rispetto al rapporto sessuale, perché ciò aumenterebbe progressivamente la probabilità di assumerla quando il prodotto non è più in grado di bloccare l'ovulazione. Ma i dati pubblicati da Paul Fine su Obstetric & Gynaecology nel 2010 mostrano invece proprio il contrario: ulipristal mantiene la stessa efficacia nelle 120 ore dopo il rapporto sessuale, per questo è chiamata pillola dei 5 giorni dopo. Supposte evidenze in senso contrario (Berger C, 2015 e Li Hwr, 2016) a un'analisi attenta si rivelano totalmente inidonee a smentire l'effetto antinidatorio; esse mostrano che l'effetto antinidatorio di ulipristal è presente e il fatto che esso non raggiunga la significatività statistica è dovuto al sottodimensionamento del campione studiato. Assumere questi studi come prova che la pillola non impedisce l'impianto dell'embrione, è più o meno come dire che i batteri non esistono perché non li hai visti con la lente contafili. Alla luce di tali dati, sarebbe stato da attendersi che il ministero avesse preteso che fosse lasciata la porta aperta ad altri meccanismi d'azione (e tra questi meccanismi antinidatori), in linea con quanto implicitamente scritto nella scheda dell'Ente regolatorio europeo (Emea) che parla di quello antiovulatorio come «meccanismo d'azione primario», la stessa espressione usata nella più recente revisione pubblicata giusto questo mese sulla rivista Contraception and Reproductive Medicine. Ci si sarebbe altresì atteso un avvertimento che la stessa azienda mette bene in chiaro nel suo sito in Usa, dove si specifica che «le pillole contraccettive d'emergenza non proteggono dalle infezioni sessualmente trasmesse». Sarebbe stato un avviso quanto mai opportuno, alla luce dei dati pubblicati da Christine Piette Durrance, professore associato al Dipartimento di salute pubblica dell'Università del Nord Carolina, la quale ha dimostrato in una pubblicazione del 2013 su Economic Inquiry che la distribuzione delle pillole del giorno dopo senza obbligo di ricetta ha determinato l'incremento in Usa dei casi di gonorrea. Sourafel Girma e David Paton, economisti dell'Università di Nottingham, avevano dimostrato un fenomeno analogo tra le adolescenti inglesi. C'è un ultimo aspetto che non dovrebbe essere ignorato. Sebbene riferiti al levonorgestrel, tutti gli studi hanno dimostrato che la diffusione a livello di popolazione della pillola del giorno dopo non riduce né le gravidanze indesiderate, né gli aborti a livello di popolazione. Nel marzo di quest'anno, la rivista Lancet Global Health ha pubblicato uno studio che mostra come, nonostante l'avvento di contraccettivi sempre meglio tollerati, il ritorno di moda delle spirali e la commercializzazione delle pillole dei giorni dopo, la riduzione delle gravidanze indesiderate registrata tra il 1990 e il 2014 è stata nel Nord Europa di appena il 5% ed è risultata addirittura nulla nell'Europa occidentale, mentre la rispettiva variazione della probabilità di aborto in queste gravidanze è stata pari al -2% e +6%. Nell'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge 194 approntata dal ministro Beatrice Lorenzin è stata posta in relazione, seppure quale ipotesi, la riduzione degli aborti con l'eliminazione dell'obbligo di ricetta e il conseguente incremento delle vendite della pillola dei 5 giorni dopo. Ma se davvero così fosse, come si spiega che in Francia, tra il 1999 e il 2010 in cui il numero di confezioni di pillole post coitali vendute è passato da meno di 200.000 a 1.200.000, il numero di aborti è cresciuto da 196.885 a 225.127?boom di venditeNel 2008 Willy Pedersen scriveva su Acta Obstetricia et Gynecologica un articolo il cui titolo diceva tutto: Contraccezione d'emergenza: perché l'effetto assente sui tassi di aborto?. Pedersen mostrava come in Norvegia in 10 anni il numero di pillole del giorno dopo vendute era cresciuto da meno di 5.000 confezioni all'anno a oltre 150.000, senza alcun effetto sugli aborti tra le 900.000 donne in età fertile di quel Paese. Si trattava del levonorgestrel, non dell'ulipristal, ma è dimostrato che anche il potentissimo antiprogestinico mifepristone, consegnato in anticipo alle donne per usarlo ogni volta che lo ritengono utile (sono gli studi di Advance provision), viene sì assunto da un numero di donne superiore del 250%, ma queste non mostrano alcuna riduzione delle gravidanze (Hu, Contraception 2005). È normale spendere il nome del ministero per un prodotto di cui a oggi non vi è evidenza di benefici? Il ministro dispone di un organo di consulenza nel Consiglio superiore di sanità, è stato consultato? I 5 stelle hanno sempre fatto della trasparenza un vanto, speriamo che ora non si tirino indietro e rendano noti i vari passaggi, spiegando chi ha deciso cosa e perché.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)