- Taiwan, Kaliningrad, Repubbliche baltiche, Sahel africano, Mediterraneo orientale: ecco le zone calde del mondo che la diplomazia internazionale sottovaluta. Regioni che potrebbero molto presto esplodere se non si interviene.
- Per Alessia Amighini (Ispi) i cinesi vanno alla conquista con ricatti sottili: «O con noi o sarete tagliati fuori come Hong Kong».
Taiwan, Kaliningrad, Repubbliche baltiche, Sahel africano, Mediterraneo orientale: ecco le zone calde del mondo che la diplomazia internazionale sottovaluta. Regioni che potrebbero molto presto esplodere se non si interviene.Per Alessia Amighini (Ispi) i cinesi vanno alla conquista con ricatti sottili: «O con noi o sarete tagliati fuori come Hong Kong».Lo speciale contiene due articoli.Gli occhi del mondo sono concentrati sul conflitto in Ucraina, ma a destare preoccupazione ci sono altri fronti dove le tensioni, le mire di una sorta di nuovo colonialismo economico, possono esplodere da un momento all’altro. L’aumento del fabbisogno energetico e la ricerca di aree di interesse economico sia per i giacimenti di petrolio e gas sia per le cave di estrazione delle materie prime, ma anche la strategia di allargare le zone di influenza geopolitica, stanno determinando squilibri internazionali. La crisi in Ucraina potrebbe scatenare una reazione a catena nelle vicine Repubbliche ex sovietiche o addirittura avere ripercussioni in aree molto più lontane. Si è detto che da anni in Ucraina si potevano cogliere segnali premonitori che sarebbero potuti sfociare in uno scontro bellico. Ecco dunque le altre principali zone di crisi nel mondo dove è opportuno intervenire subito per scongiurare che precipitino in conflitti armati.TaiwanAlcuni esperti di strategie geopolitiche sostengono che in base a come evolverà il conflitto ucraino, se la Russia ne uscirà vincitrice, la Cina potrebbe cogliere il pretesto per tornare a reclamare in modo muscolare la sovranità su Taiwan e sferrare il colpo decisivo. L’allerta sull’isola è alta. Il ministro degli Esteri, Joseph Wu, ha dichiarato che il governo di Taipei sta tenendo d’occhio il Dragone: «La Cina potrebbe pensare di usare un’azione militare contro Taiwan in qualsiasi momento, e dobbiamo essere preparati per questo», ha affermato a Itv News. Il suo omologo cinese, Wang Yi, in risposta ha detto al ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che la Cina «rispetta sempre la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi». Sta di fatto che pochi giorni fa il governo della nazione insulare, piccola per la geografia ma grande per l’economia, ha denunciato l’incursione di nove caccia militari cinesi nella sua zona di identificazione aerea e si rincorrono voci di navi da guerra entrate nelle sue acque territoriali.Alla questione taiwanese si aggiungono le molteplici rivendicazioni di Pechino sui confini marittimi dei Paesi che si affacciano sul Mar Cinese meridionale. L’Indo-Pacifico è una delle aree geografiche più calde del pianeta. Basta una scintilla, magari causata da una scaramuccia, per generare un pericoloso effetto domino che potrebbe portare a una nuova guerra.KaliningradL’exclave russa sul mar Baltico tra Polonia e Lituania potrebbe essere il prossimo obiettivo dell’esercito di Vladimir Putin. Il territorio, abitato da poco meno di 500.000 persone, appartiene a Mosca ma i confini sono lontani almeno 500 chilometri. A 104 chilometri si trova invece la frontiera con la Bielorussia, Paese vassallo della Russia. Lungo questa striscia di confine, che prende il nome di corridoio di Suwalki (città polacca), la tensione è alle stelle perché gli strateghi militari lo considerano il tallone d’Achille della Nato in Europa orientale. A Mosca basterebbe blindare questo passaggio per isolare le tre repubbliche baltiche, tutte e tre aderenti all’Unione europea (con tanto di moneta unica) e all’Alleanza atlantica con truppe e armamenti Nato sui rispettivi territori. Kaliningrad, un tempo capitale della Prussia orientale chiamata Koenigsberg, è l’unico porto marittimo di tutta la Russia che non ghiaccia mai ed è un caposaldo commerciale e militare di assoluto rilievo.AfghanistanIl ritorno al potere dei talebani dopo la ritirata degli Stati Uniti ha gettato di nuovo il Paese nel caos facendo crescere il rischio di una guerra civile visti i recenti attentati rivendicati dall’Isis. Il presidente Usa Joe Biden ha promesso che saranno vendicati i soldati americani uccisi all’aeroporto di Kabul, ma la contesa potrebbe essere concentrata sullo sfruttamento delle miniere di terre rare. La Cina avrebbe già un accordo con i talebani, mentre gli Usa sarebbero tagliati fuori. Biden potrebbe tornare in Afghanistan solo in una nuova guerra al terrorismo anche per cercare di limitare l’espansione di Pechino. Forti tensioni anche nel confinante Pakistan. Il conflitto del Kashmir va avanti dal 1947 e coinvolge anche India e Cina. La fine della guerra, che ha provocato negli anni decine di migliaia di morti, ancora appare lontana.Il MediterraneoNell’area del Mediterraneo continuano a incrociarsi interessi e strategie contrapposti. La Libia (tra i principali fornitori di gas all’Italia) è lacerata dalla guerra civile. Le elezioni in programma a dicembre sono state annullate e i due governi di Tripoli e Bengasi ancora non hanno deposto le armi. In gioco ci sono le risorse del sottosuolo e la presenza di mercenari turchi e russi non favorisce il raggiungimento di un’intesa politica. Con Tripoli sono schierati Stati Uniti, buona parte dell’Ue, Regno Unito, Turchia, Qatar, Sudan, Algeria, Marocco e Tunisia; con Bengasi invece Russia, Egitto, Francia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Ciad, Siria e Bielorussia.Il SahelNonostante la pandemia, in Africa sono aumentati gli scontri e la violenza politica. Ai conflitti di lunga data in Nigeria e nella Repubblica democratica del Congo si sono aggiunti nuovi teatri di crisi. I jihadisti di Al Shabaab sono tra i cinque gruppi armati più attivi e violenti soprattutto nelle regioni del Corno d’Africa e del Sahel, caratterizzate dalla presenza di gruppi terroristici locali con legami più o meno acclarati con le reti del terrorismo islamico internazionale. Il fenomeno jihadista è una fortissima minaccia alla sicurezza. Ai numerosi gruppi affiliati ad Al Qaeda che operano nel Sahel e in Libia, Tunisia, Algeria, Mauritania, Ciad, Camerun, Mali, Costa d’Avorio, Kenia e Burkina Faso, si sono aggiunti fazioni dello Stato islamico provenienti da Siria e Iraq che operano in modo indipendente e spesso in lotta con i gruppi di Al Qaeda. In queste zone sono presenti anche truppe russe e mercenari, soprattutto in Mali, Sudan e Repubblica Centrafricana, mentre la Cina ha da tempo avviato una politica spregiudicata di colonizzazione economica con il finanziamento diretto di opere pubbliche. Pechino oggi è il primo partner commerciale dell’Africa e detiene il 14% del suo debito.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/oltre-ucraina-altre-crisi-2656854644.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-strategia-di-pechino-su-taipei-persuasione-senza-invasione-armata" data-post-id="2656854644" data-published-at="1646599599" data-use-pagination="False"> La strategia di Pechino su Taipei: persuasione senza invasione armata «Mettiamo in chiaro un tema: Taiwan non sarà mai un’Ucraina bis. Per quella che è la strategia di sempre della Cina, tendo a escluderlo senza dubbio. Non vedo in prospettiva incursioni armate anche se sono stati avvistati sui cieli dell’isola caccia militari cinesi. Pechino si muove in altro modo, non usa la forza per conquistare ma la strategia raffinata della persuasione, del ricatto sottile. Secondo un principio della filosofia confuciana, il Dragone ama vincere le guerre senza combatterle». Alessia Amighini, condirettore Asia dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, delinea lo scenario orientale con una prospettiva diversa dalla narrazione dominante. Da attenta studiosa di quell’area ha raccolto, tramite contatti sul posto, il mood del Paese. «È in atto una raffinata strategia di persuasione con un pressing costante sulla realtà produttiva», dice Amighini parlando di Taiwan. «Agli imprenditori vengono prospettati i vantaggi dell’annessione alla Cina ma soprattutto i rischi qualora dovesse prevalere, alle elezioni del prossimo anno, il movimento indipendentista. Vengono disegnati scenari catastrofici con una similitudine a Hong Kong, ormai tagliata fuori dallo scenario internazionale. E per chi è in affari è una prospettiva inquietante». Amighini sottolinea che l’unico interesse di Pechino è rappresentato dall’alta capacità produttiva dell’industria dei microprocessori di cui la Cina ha bisogno: al momento riesce a coprire soltanto il 20% del suo fabbisogno e con una tecnologia obsoleta. «Senza questa motivazione molto forte», sottolinea la studiosa, «non so quanto la riunificazione sarebbe impellente. La Cina ha già dichiarato che vuole diventare leader della tecnologia rendendosi indipendente dalle importazioni di microprocessori e si è posta obiettivi molto vicini. Ma questo comporta l’inclusione di Taiwan, altrimenti non ce la farebbe mai. Il paradosso è che se la Cina non può fare a meno di Taiwan, questa può benissimo fare a meno della Cina perché ha come sbocco tutto il resto del mondo affamato della sua tecnologia». E allora perché Taipei teme Pechino? «Sa che non sarà invasa, ma al tempo stesso subisce il peso di questa potenza che preme sulle spalle. È una condizione psicologica più che reale. La Cina è molto abile a usare l’arma del ricatto. Sta diffondendo, in modo sotterraneo, tra la popolazione, la narrazione che senza Pechino il Paese subirebbe un rapido impoverimento e che l’annessione porterà benessere più di quanto potrebbe derivarne dalla democrazia. C’è la minaccia di togliere il beneficio della grande capacità produttiva. Se questa visione riuscirà a far breccia, sarà la popolazione stessa a voler rinunciare all’indipendentismo. Così Pechino avrebbe vinto la sua guerra senza sparare un colpo». È quello che sta facendo in Africa stringendo accordi con i vari governi, per assicurarsi l’approvvigionamento delle materie prime, versando finanziamenti che poi tornano a suo esclusivo vantaggio perché alla popolazione non va nulla. Pechino quindi si muove in modo diverso da Mosca: «La strategia è di evitare qualsiasi situazione di instabilità, difficile da gestire. Il cinese di fronte all’imprevisto, all’incertezza, va in tilt e non ama l’uso delle armi. Questo spiega anche l’imbarazzo verso l’azione militare di Putin. Per questo mi sento di escludere un’invasione di Taiwan. Pechino intensificherà la campagna sottotraccia di persuasione in vista delle elezioni del prossimo anno, e poi si vedrà. Ma le armi non sono nei piani di Xi Jinping».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.