2024-12-25
Oro italiano, forzieri stranieri. La metà delle riserve nazionali è all’estero
Palazzo Koch a Roma, sede di Banca d'Italia (iStock)
Quanti dobloni ci sono nei forzieri della Banca d’Italia? A quanto ammontano le riserve auree del nostro Paese? Dove sono dislocate? E il resto del mondo com’è messo in fatto di oro?
La riserva aurea di una nazione è l’insieme dei fondi di oro detenuti dalla banca centrale. Tale riserva è considerata una risorsa strategica: questo perché l’oro è tradizionalmente visto come un bene rifugio, che conserva il suo valore anche in tempi di crisi. Quanto più sono colmi i bauli di un Paese, tanto più, di norma, essi sono visti come un indicatore della sua solidità finanziaria e della sua capacità di onorare i debiti internazionali. Questo perché dalle riserve auree dipende la capacità di uno Stato di fornire garanzie ai propri partner commerciali e di chiedere prestiti nei momenti di difficoltà.
A riprova dell’importanza di possedere una riserva aurea ingente, anche l’Italia, talvolta, ha dovuto dar fondo al suo tesoro per far fronte a difficoltà economiche. Nel 1976, in piena crisi petrolifera, il nostro Paese chiese un prestito alla Germania di 2 miliardi di marchi. Prestito che, su indicazione dei Tedeschi, fu concesso soltanto a una condizione: il deposito dell’equivalente somma in oro, per un valore di 543 tonnellate.
Ma forse non tutti sanno che l’Italia non si qualifica affatto male nella classifica dei Paesi detentori di quel bel metallo giallo, raro e luccicante: dopo gli Stati Uniti, medaglia d’oro in fatto di possedimenti (nei caveau della Federal Reserve ci sono 8.133 tonnellate di lingotti), e dopo la Germania, che ne ha 3.352 tonnellate, noi ci posizioniamo sul terzo gradino (quarto, in realtà, se consideriamo il Fondo monetario internazionale, con un patrimonio di 2.814 tonnellate di metallo prezioso), con 2.452 tonnellate, costituite da oltre 95.000 lingotti, di peso variabile tra i 4,2 e i 19,7 chili, e per una parte minore da monete. Lingotti e monete provengono da epoche e parti del mondo differenti: alcuni pezzi giungono dall’Inghilterra, altri dagli Stati Uniti e dalla Russia e altri ancora hanno come marchio di emissione l’aquila che tiene la svastica, segno inconfondibile della Germania nazista. Dopo di noi seguono la Francia, con 2.437 tonnellate, la Russia, 2.336, e la Cina, 2.264, rispettivamente al quinto e sesto posto.
Eppure, non tutto l’oro italiano si trova effettivamente nella «Sagrestia», così si chiama il caveau, a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Anzi, ad essere precisi, meno della metà del totale è custodito a Roma. Di quelle 2.452 tonnellate, 141,2 dormono sotto il letto del Tamigi, conservate nei forzieri della Bank of England di Londra; 149,3 si trovano alla Schweizerische Nationalbank di Berna, la Banca dei regolamenti internazionali; e 1.061,5 tonnellate sono conservate alla Fed di New York. Stiamo parlando di più del 55 per cento di oro custodito all’estero. Tale scelta deriverebbe da strategie di diversificazione finalizzate alla minimizzazione dei rischi e dei costi. Infatti, un quantitativo delle riserve viene custodito in prossimità delle principali piazze dove viene negoziato l’oro al fine di avere la possibilità, in caso di necessità, di poter vendere rapidamente e di minimizzare i costi legati al trasporto del metallo.
Eppure, tale dipendenza da custodi esteri solleva interrogativi sulla reale autonomia economica dell’Italia: in uno scenario di crisi internazionale, sarebbe davvero possibile recuperare il controllo di questo oro?
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Neanche il 45% del metallo prezioso si trova a Palazzo Koch. Il resto è custodito tra la Bank of England, la Fed e Berna.Quanti dobloni ci sono nei forzieri della Banca d’Italia? A quanto ammontano le riserve auree del nostro Paese? Dove sono dislocate? E il resto del mondo com’è messo in fatto di oro? La riserva aurea di una nazione è l’insieme dei fondi di oro detenuti dalla banca centrale. Tale riserva è considerata una risorsa strategica: questo perché l’oro è tradizionalmente visto come un bene rifugio, che conserva il suo valore anche in tempi di crisi. Quanto più sono colmi i bauli di un Paese, tanto più, di norma, essi sono visti come un indicatore della sua solidità finanziaria e della sua capacità di onorare i debiti internazionali. Questo perché dalle riserve auree dipende la capacità di uno Stato di fornire garanzie ai propri partner commerciali e di chiedere prestiti nei momenti di difficoltà. A riprova dell’importanza di possedere una riserva aurea ingente, anche l’Italia, talvolta, ha dovuto dar fondo al suo tesoro per far fronte a difficoltà economiche. Nel 1976, in piena crisi petrolifera, il nostro Paese chiese un prestito alla Germania di 2 miliardi di marchi. Prestito che, su indicazione dei Tedeschi, fu concesso soltanto a una condizione: il deposito dell’equivalente somma in oro, per un valore di 543 tonnellate.Ma forse non tutti sanno che l’Italia non si qualifica affatto male nella classifica dei Paesi detentori di quel bel metallo giallo, raro e luccicante: dopo gli Stati Uniti, medaglia d’oro in fatto di possedimenti (nei caveau della Federal Reserve ci sono 8.133 tonnellate di lingotti), e dopo la Germania, che ne ha 3.352 tonnellate, noi ci posizioniamo sul terzo gradino (quarto, in realtà, se consideriamo il Fondo monetario internazionale, con un patrimonio di 2.814 tonnellate di metallo prezioso), con 2.452 tonnellate, costituite da oltre 95.000 lingotti, di peso variabile tra i 4,2 e i 19,7 chili, e per una parte minore da monete. Lingotti e monete provengono da epoche e parti del mondo differenti: alcuni pezzi giungono dall’Inghilterra, altri dagli Stati Uniti e dalla Russia e altri ancora hanno come marchio di emissione l’aquila che tiene la svastica, segno inconfondibile della Germania nazista. Dopo di noi seguono la Francia, con 2.437 tonnellate, la Russia, 2.336, e la Cina, 2.264, rispettivamente al quinto e sesto posto. Eppure, non tutto l’oro italiano si trova effettivamente nella «Sagrestia», così si chiama il caveau, a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Anzi, ad essere precisi, meno della metà del totale è custodito a Roma. Di quelle 2.452 tonnellate, 141,2 dormono sotto il letto del Tamigi, conservate nei forzieri della Bank of England di Londra; 149,3 si trovano alla Schweizerische Nationalbank di Berna, la Banca dei regolamenti internazionali; e 1.061,5 tonnellate sono conservate alla Fed di New York. Stiamo parlando di più del 55 per cento di oro custodito all’estero. Tale scelta deriverebbe da strategie di diversificazione finalizzate alla minimizzazione dei rischi e dei costi. Infatti, un quantitativo delle riserve viene custodito in prossimità delle principali piazze dove viene negoziato l’oro al fine di avere la possibilità, in caso di necessità, di poter vendere rapidamente e di minimizzare i costi legati al trasporto del metallo. Eppure, tale dipendenza da custodi esteri solleva interrogativi sulla reale autonomia economica dell’Italia: in uno scenario di crisi internazionale, sarebbe davvero possibile recuperare il controllo di questo oro?
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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