2021-11-08
Le Olimpiadi della discordia
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Non si placano le polemiche sulle Olimpiadi invernali di Pechino, in programma per il prossimo febbraio. La stampa estera denuncia opacità nell'organizzazione da parte della Repubblica Popolare, mentre richieste di boicottaggio diplomatico per la questione dei diritti umani sono arrivate dall'Europarlamento e da ampi settori del Congresso americano. Secondo quanto riferito da Bloomberg News lo scorso 2 novembre, i rappresentanti della stampa estera hanno sollecitato il CIO, per ottenere maggiore accesso all'organizzazione dei giochi: un accesso che –al contrario– la Repubblica popolare sta cercando in tutti i modi di ostacolare. In particolare, il Foreign Correspondents Club of China ha reso noto che «nell'ultimo anno, la stampa straniera è stata continuamente ostacolata nella sua copertura dei preparativi per i giochi olimpici invernali, le è stata negata la partecipazione agli eventi di routine e le è stato impedito di visitare impianti sportivi in Cina». «Abbiamo messo insieme una storia televisiva con materiale da un tour di una sede olimpica e abbiamo menzionato il boicottaggio dei diritti umani», ha detto un giornalista dell'associazione. «Poco dopo, l'organizzatore del tour mi ha chiamato su WeChat, l'app di chat cinese, e mi ha urlato contro in inglese e cinese per il mio report, minacciando di non invitarci in futuro. Da allora non ci è stato concesso l'accesso». Un comportamento opaco, quello della Cina, che di fatto viola le disposizione del CIO in materia di trasparenza.Pechino, dal canto suo, ha comunque teso a minimizzare le critiche, con il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin che ha citato questioni di sicurezza legate al Covid, garantendo inoltre che i giornalisti stranieri saranno invitati ad eventi futuri. Una posizione che non ha convinto però gli Stati Uniti. «Esortiamo i funzionari della Repubblica popolare cinese a non limitare la libertà di movimento e accesso per i giornalisti e a garantire che rimangano al sicuro e in grado di riferire liberamente, anche ai Giochi Olimpici e Paralimpici», ha dichiarato pochi giorni fa il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price. Ricordiamo che questi giochi siano da tempo finiti al centro di polemiche, a causa della situazione dei diritti umani in Cina (a partire dalla questione della repressione degli uiguri nello Xinjiang). E' in questo contesto che, a luglio scorso, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione non vincolante che chiede alle istituzioni europee e agli Stati membri «di rifiutare gli inviti rivolti a rappresentanti del governo e diplomatici a partecipare alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022, a meno che il governo cinese non dimostri un miglioramento verificabile della situazione dei diritti umani a Hong Kong, nella regione uigura dello Xinjiang, in Tibet, nell'area interna Mongolia e altrove in Cina». Non è tuttavia detto che questa linea sarà automaticamente sposata dai singoli Stati. Il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ha infatti per esempio accettato l'invito a presenziare ai giochi, rivoltogli dal presidente cinese Xi Jinping. Una scelta molto probabilmente dettata dalla sempre più pressante influenza economico-politica che il Dragone sta esercitando su Atene. Posizioni battagliere frattanto si registrano oltreatlantico. A fine ottobre, un gruppo bipartisan di senatori statunitensi ha proposto un emendamento al National Defense Authorization Act del 2022, che prevedrebbe un boicottaggio diplomatico dell'evento sportivo. Più dura ancora è stata, nei mesi scorsi, l'ex ambasciatrice all'Onu, la repubblicana Nikki Haley, che ha invocato un boicottaggio dei giochi, chiedendo inoltre al CIO di spostarli altrove. Una linea non troppo dissimile è stata sposata anche dall'ex segretario di Stato americano, Mike Pompeo. Joe Biden non ha al momento preso una posizione definita. La questione rischia tuttavia di metterlo progressivamente sotto pressione, tanto più alla luce del fatto che la sua amministrazione non risulti troppo compatta davanti al dossier cinese. Se il segretario di Stato Tony Blinken ha più volte avanzato la questione dei diritti umani, l'inviato speciale per il clima John Kerry auspica un approccio più morbido che consenta una cooperazione tra Washington e Pechino sul tema ambientale (una cooperazione che non si è finora tuttavia granché verificata).
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco