2024-04-23
Ogni giorno spunta un tele-martire. E Saviano si offende: «C’ero prima io»
Nadia Terranova e Jennifer Guerra (Ansa)
Nadia Terranova e Jennifer Guerra «si ricordano» di essere state «censurate» da viale Mazzini: è la moda del momento...Un tele-martire al giorno leva la censura di torno. Incoraggiati dallo Scurati-gate, ecco plotoni di scrittori, blogger, semplici figuranti che escono allo scoperto con la stessa storia dolente: essere stati, a loro dire, impiombati da mamma Rai mentre erano in decollo verso i rarefatti empirei della letteratura televisiva di denuncia. Tutti da un’insospettabile e anonima (3% di share) rampa di lancio: il salottino di Serena Bortone su Rai 3. Il giorno dopo la polemica di M hanno ritrovato in massa la memoria e adesso sgomitano, si accalcano, telefonano ai giornali per rendere pubblico il loro malessere psicosomatico, in un sabba che sembra un #Metoo alla vaccinara, singolare marcia d’avvicinamento a un 25 aprile davvero inclusivo. «Sono molto scossa», si è ricordata la scrittrice Nadia Terranova, che in un’intervista al manifesto ha raccontato di un monologo di un mese e mezzo fa sulle cariche della polizia ai collettivi studenteschi pro Hamas che tentavano di sfondare la zona rossa a Pisa. «La redazione di Chesarà mi aveva invitata a scriverlo e avrei anche dovuto leggerlo. Ma il testo non è stato reputato adatto alla puntata». Terranova si era lanciata in un’invettiva sul potere prendendo spunto dall’apologo dello sparviero e dell’usignolo contenuto nelle Opere e i giorni di Esiodo, metafora per denunciare il sopruso del più forte che tiene in scacco il più debole. Qualche settimana dopo i cosiddetti usignoli avrebbero mandato all’ospedale 27 poliziotti in una delle quotidiane manifestazioni universitarie, ma questo è un dettaglio. Lei non poteva saperlo. Tornando alla sua vicenda, la scrittrice chiosa: «Allora sono stata contattata e informata che avrei dovuto modificarlo, ma mi sono rifiutata. Ero in uno spazio aperto, uno spazio dal quale mi è stato impedito di marciare sulla testa dei sovrani da un palco». Che fremito, che eccitazione. Per concludere: «Non voglio farne una questione personale», dopo averla regolarmente fatta. E nella speranza che Roberto Benigni porti la pièce in teatro. Poiché un pomeriggio da Salman Rushdie non si nega a nessuno, anche la giovane saggista Jennifer Guerra - femminista militante, autrice de Il corpo elettrico - avanza sospetti di censura. Stesso programma, stesse modalità. «Sono stata trattata come Antonio Scurati. Mi hanno invitato alla trasmissione della Bortone, avrei criticato il governo Meloni sull’aborto. La mia partecipazione era data per certa ma non ho più avuto notizie. Un’autrice mi scrisse un messaggio per dirmi che non c’era più spazio in scaletta per il mio intervento». La cosa è del tutto possibile e lecita, i curatori del programma avranno trovato una femminista più autorevole per l’intervento; c’è solo l’imbarazzo della scelta. Semmai è curioso notare che nel caso della Guerra, come in quello della Terranova, la conduttrice Bortone (che dai bastioni di Rai 3 anche allora custodiva la sacralità della libertà di espressione) non ha avuto nulla da ridire. Un dettaglio che lascia interdetti; come mai non era di guardia? In ogni caso la mancata indignazione depotenzia per proprietà transitiva la protesta. La corsa all’autoinvestitura nel ruolo di «perseguitato speciale» non poteva che trovare al comando Roberto Saviano, prontissimo nel rappresentarsi da crocifisso numero uno. Con un sottile distinguo da vittima predestinata: «Quando un anno fa hanno censurato il mio programma, in tanti sono rimasti in silenzio, pensando che era un problema mio. E sono stato difeso da pochi». Fastidio palpabile di un declino.Le bordate alzo zero sulla Rai confermano due verità: l’ingenuità dirigenziale nella gestione del caso Scurati (leggere quel monologo avrebbe creato un insignificante pulviscolo invece che un polverone) e il ritorno impetuoso al vittimismo da parte dei veri doganieri del pensiero, che oggi si travestono da vestali della libertà. Con un effetto straniante perché, mentre i monologhi da sbadiglio si possono leggere ovunque sulla rete, stiamo ancora aspettando di sapere cosa avrebbero detto il direttore di Repubblica Maurizio Molinari e lo showman David Parenzo, imbavagliati davanti alle università dai manifestanti che fanno palpitare la Terranova.Non è difficile risalire la corrente e trovare esempi di censura preventiva a senso unico nella Rai culturalmente di sinistra, dove fino al 24 settembre 2022 chi non era allineato al Nazareno e dintorni semplicemente non esisteva. Quindi non c’era neppure bisogno di controllare cosa dicesse, questione di Dna. Vale la pena ricordare alcune uscite raffinate, non di ospiti saltuari ma di giornalisti dell’azienda, dopo la nomina di Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana alla seconda e terza carica dello Stato: «Se queste sono le Camere, non oso immaginare il cesso». «Una Camera ai fasci e l’altra ai talebani. A posto». Quando fa comodo, il servizio pubblico può diventare il cortile di ricreazione di un centro sociale.In attesa del prossimo outing a comando, intuiamo e comprendiamo un ulteriore motivo di irritazione postuma degli o-scurati del giorno dopo: il monologo del martire numero uno era a pagamento, il loro no.
Jose Mourinho (Getty Images)