Alle 18 i risultati della consultazione online. E stavolta il voto potrebbe essere decisivo». Se vincesse il no all'accordo o ci fosse un verdetto in bilico, Luigi Di Maio potrebbe riguadagnare forza negli equilibri interni rispetto all'asse tra Beppe Grillo, Roberto Fico e Giuseppe Conte.
Alle 18 i risultati della consultazione online. E stavolta il voto potrebbe essere decisivo». Se vincesse il no all'accordo o ci fosse un verdetto in bilico, Luigi Di Maio potrebbe riguadagnare forza negli equilibri interni rispetto all'asse tra Beppe Grillo, Roberto Fico e Giuseppe Conte.La Verità l'aveva anticipato già 48 ore fa, in totale controtendenza rispetto alle ricostruzioni minimizzatrici allora più in voga: il quesito sottoposto agli iscritti alla piattaforma Rousseau, questa volta, non sarebbe stato «edulcorato» e «orientato», ma avrebbe avuto i contorni ruvidi di una domanda vera. E così è stato: «Sei d'accordo che il M5s faccia partire un governo, insieme al Pd, presieduto da Giuseppe Conte?». E capite bene che non si tratta di una prospettiva entusiasmante per il «militante grillino medio», che, diversamente dal «parlamentare medio», non ha uno stipendio (e un mutuo) da preservare. Sbattergli sotto il naso la dura realtà dell'intesa piena con il Pd (già «partito di Bibbiano», copyright Di Maio) non sembra esattamente un modo per galvanizzare le folle pentastellate. E in questo senso, comunque finisca, va dato atto a Luigi Di Maio e Davide Casaleggio di aver giocato - quasi fino alla fine, come vedremo - una partita coraggiosa, schierandosi contro il «santone» (Beppe Grillo) e una serie di «santuari». Di più: è stato anche notato che, nell'analoga consultazione grillina di primavera 2018, la Lega non era menzionata nel quesito sulla piattaforma, e l'opzione «sì» era la prima a comparire sullo schermo degli iscritti, mentre ora - in questo voto - nella parte superiore della pagina online campeggiava (prima della correzione tardiva) la risposta «no». Piccoli dettagli, ma forse non irrilevanti. A questo punto, comunque, urne aperte oggi, dalle 9 alle 18. E, per quasi tutta la giornata di ieri, un fuoco di fila di dichiarazioni grilline (in testa lo stesso Di Maio: «La nascita del nuovo governo dipenderà dal voto degli iscritti», seguito a ruota da Stefano Patuanelli: «Se la piattaforma dice no, Conte si adegui») per drammatizzare la conta. Contestualmente, Di Maio ieri mattina aveva tenuto a incontrare l'intera delegazione governativa grillina uscente (con tanto di foto celebrativa con ministri, viceministri e sottosegretari). Sorrisi inevitabilmente tesi. E per questo Di Maio aveva cercato di rassicurare tutti, aveva predicato «continuità», aveva tentato di convincerli cha la sua trattativa era anche per loro, non solo per se stesso. Ma - cosa che aveva inquietato molti - in quella riunione il vicepremier uscente era stato sfuggente e anguillesco su tutti i nodi politici veri. Su un altro piano, nel corso della giornata, la comunicazione del capo politico M5s aveva pure fatto trapelare l'ipotesi clamorosa di un ministero per Alessandro Di Battista, che ancora poco tempo fa descriveva il Pd come una piovra, con tanto di disegno dei tentacoli del Pd, regione per regione (e reato per reato).Attenzione, però, non facciamoci distrarre dalla cronaca minuta e torniamo a Rousseau. Per decifrare le cose in modo intelligente, occorre tenere presente il fattore tempo, e quindi interpretare ogni mossa «minuto per minuto». Essendo le trattative ancora aperte, Di Maio per lunghe ore ha alzato l'asticella il più possibile, ha usato il voto online sulla piattaforma un po' come uno strumento negoziale e un po' come una minaccia. Come dire: «O mi date piena soddisfazione, oppure vi scateno contro il popolo grillino». Ma improvvisamente, all'ultima curva, Di Maio si è fermato, o comunque ha rallentato bruscamente, rinunciando in una diretta Facebook serale alla sua ambizione alla vicepremiership («Il problema non esiste più»). Tuttavia, adesso, essendo un clic un atto più emotivo che razionale, diventa molto importante capire se e come l'esito di questo braccio di ferro sul ruolo di Di Maio sarà stato e sarà percepito dagli iscritti alla piattaforma. Detto in termini espliciti: se non fosse stato ancora definito lo status di Di Maio nel nuovo governo (vicepremier sì o no), il voto sarebbe stato essenzialmente centrato sull'alleanza in sé tra Pd-M5s. E (in questo senso) quasi tutti i risultati sarebbero stati buoni per Di Maio. Alleanza bocciata largamente? Un trionfo per la sua linea dura. Alleanza bocciata o promossa di stretta misura? Avrebbe potuto dire: «Ve l'avevo detto che c'era un problema politico, sono io l'interprete più attento delle sensibilità della nostra base». Dal punto di vista di Di Maio, in questo scenario, sarebbe stata catastrofica solo un'accoglienza trionfale dell'intesa Pd-M5s da parte della piattaforma: si sarebbe trattato di una sconfessione per lui, e di un successo pieno per tutti gli altri (da Giuseppe Conte a Beppe Grillo, passando per Roberto Fico). Ma siccome le cose, nella serata di ieri, sono inevitabilmente cambiate con il passo indietro di Di Maio, inevitabilmente il voto sarà anche segnato da questo fatto nuovo. Traduciamo anche qui: un militante grillino contrario all'intesa, davanti a un Di Maio vicepremier e ministro dell'Interno (massimo risultato negoziale teoricamente ipotizzabile), si sarebbe potuto fatalmente ricredere. Ora è ben difficile immaginare che ciò accada (di eventuali accordi per ministeri prestigiosi a Luigi, ovviamente, gli iscritti non sanno nulla). Oppure, al contrario: davanti alla rinuncia di Di Maio, anche un aperturista rispetto al Pd potrebbe farsi venire un dubbio, constatare che «quelli di Bibbiano» non cambiano mai, e che il vecchio establishment ha voluto umiliare il giovane leader grillino. Anche se va detto che l'opinione prevalente, ieri sera, era quella di chi considerava il passo laterale di Di Maio come lo sblocco definitivo della situazione, con relativa certezza di un voto su Rousseau ridotto a una formalità. Ma non è ancora detta l'ultima parola, per le ragioni spiegate finora. Come si vede, la partita di Di Maio è stata davvero complessa, e l'accerchiamento che ha subito (in casa e fuori) lo ha costretto a una postura acrobatica: per un verso, ha tentato fino a un certo punto di difendere il (vero o presunto) Dna anti establishment dei grillini; per altro verso, alla fine, si è dovuto adattare alla realtà. Vanno infine considerati altri tre fattori. Il primo riguarda Grillo. Vista la violenza dei suoi interventi contro Di Maio (quattro in una settimana: l'evocazione dei «mediocri» che si occupano di sottosegretari; la richiesta di ministri tecnici, per tagliare l'erba sotto i piedi al suo pupillo; il «sono esausto», con relativo invito ai «ragazzi» a fare presto; fino al feroce sarcasmo sui 20 punti di Di Maio, declassati a «punti della Standa»), non sarebbe sorprendente se - al di là dell'esito del voto di oggi - rimanessero tra i due profonde ferite umane e politiche. Il secondo fattore ha a che fare con il Quirinale e il Pd, che hanno assistito attoniti alla preparazione della cerimonia online della Casaleggio & Associati. In altri tempi, quelli del Pd espressero critiche fiammeggianti contro questi metodi. Stavolta, giusto qualche balbettio, qualche timidissimo flatus vocis: e lo spettacolo di una vecchia politica, abituata alla conta dei voti con il pallottoliere della Camere e del Senato, improvvisamente sgomenta dinanzi alle nevrosi dell'instant democracy. Il terzo e ultimo fattore ci riporta a Palazzo Madama, dove - come si sa - l'eventuale maggioranza giallorossa godrebbe di un margine piuttosto stretto, reso ancora più incerto dalle voci (ieri perfidamente alimentate dal vicesegretario leghista Andrea Crippa) di consistenti defezioni grilline. È evidente che un voto online anche solo parzialmente negativo per l'intesa, o che comunque ne mostrasse la fragilità, potrebbe trasformarsi nel segnale per la rottura degli argini. Conta dunque la «partita» di Rousseau. Ma anche il »dopopartita» si preannuncia rovente.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.