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2025-12-28
Alessandro Morelli: «Ora si cambi il decreto Ucraina. L’Ue non boicotti la pace di Trump»
Alessandro Morelli (Imagoeconomica)
Il sottosegretario leghista a tutto campo: «Sto correndo per le Olimpiadi, mi sono rotto già tre costole. Il partito? Ha un solo leader: Matteo. Fortunatamente a Kiev non c’è una Flotilla per rovinare gli accordi».
Alessandro Morelli, non è passata inosservata ad alcuni fotografi una sua smorfia di dolore mentre partecipava ai lavori della legge di bilancio fra i banchi della Lega. Pure a lei questa legge non piace?
«Assolutamente no. La smorfia di dolore è legata al fatto che alle Olimpiadi Invernali di febbraio io sto dando letteralmente anima e corpo».
Eh?
«Visitando i cantieri a Livigno per le Olimpiadi e per la Coppa del Mondo di sci (tenutasi ieri, Ndr) sono caduto e purtroppo mi sono rotto tre costole. Ma il giorno dopo ero a votare a Roma (tossisce, Ndr)».
Fa male tossire con le costole rotte. Vero?
«Ancora peggio starnutire».Perché manca il controllo. Un po’ come alla Lega che al Senato ha addirittura dato battaglia al suo ministro Giorgetti. Sicuro che va tutto bene?
«La Lega è solo una, con un unico leader: Matteo. Detto ciò, abbiamo due responsabilità: una di governo - che avvertiamo tutti - e una nei confronti dei nostri elettori».
Giù le mani dalle pensioni quindi…
«In realtà ancora una volta abbiamo trovato la quadra in questa legge di bilancio. Il Governo raggiunge i suoi obiettivi e gli obiettivi Lega sono stati raggiunti. Un segno di maturità nella discussione. Nessuna becera spaccatura».
Il Parlamento avrebbe fatto il suo lavoro. Anche se per poche ore. Solita legge di bilancio calata da Palazzo Chigi. Discussioni zero...
«L’opposizione dice che non si è dato il tempo di discutere».
Questo è vero, su!
«No! E le dico perché. È la settima legge di bilancio che io voto. È una di quelle che in assoluto ha avuto la maggiore discussione parlamentare. Tenga conto che la legge di bilancio si cucina in Commissione. E qui la discussione è stata ampia e approfondita. Come non mai. Poi la legge viene servita in aula. E qui i tempi sono più compressi. Ma la Commissione è Parlamento».
Ponte sullo Stretto. Avete rinunciato a un po’ di fondi per dare più soldi alle imprese.
«Ancora una volta il buonsenso di chi sa governare. Per non sollevare dubbi avremmo potuto lasciare lì quei fondi».
Ma?
«Ma il momentaneo stop della Corte dei conti non ci ha consentito spendere quanto avevamo preventivato nel 2025 (732 milioni) e da bravi amministratori abbiamo spostato quella cifra negli anni successivi. Dove avevamo previsto di spendere molto di più. E questo di più si aggiunge alle coperture extra di questa legge di bilancio. Il ministro Giorgetti ha abilmente sfruttato un ulteriore spazio di manovra».
È anche così che avete racimolato ulteriori 3,5 miliardi. Ieri il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami ha detto che ci sarà un intervento a favore dell’Ucraina a 360 gradi. Quindi vuol dire aiuti militari. E su questo la Lega ne ha fatto una battaglia identitaria. Cosa ci dobbiamo aspettare dal prossimo decreto Ucraina?
«Che nei 360 gradi ci sia un’assoluta priorità per gli investimenti legati alla difesa delle popolazioni civili. Quindi, per esempio, a strumenti che possono permettere anche la sopravvivenza in situazioni chiaramente di guerra. Pensiamo alla possibilità di produzione energetica, di riscaldamento o d’altro. Nei 360 gradi ci sta un’assoluta priorità relativamente alla difesa e alla tutela dei civili. Coerente con i nostri obiettivi. Per noi è fondamentale innanzitutto cambiare il decreto nella sua struttura. Che non sia fotocopia dei precedenti. Siamo in un momento, vedi l’incontro fra Trump e Zelensky, dove l’iniziativa diplomatica è sempre più avanzata. Fortunatamente in questo caso non abbiamo una flottiglia fra i piedi che per esigenze di visibilità mette i bastoni fra le ruote al processo di pace»
Però, le dico il mio pensiero, c’è l’Unione europea a mettersi nel mezzo. Un finanziamento da 90 miliardi per le esigenze belliche non aiuta secondo me il raggiungimento della pace. Mentre i servizi ucraini avrebbero smascherato un gruppo criminale organizzato per lucrare sugli aiuti. Dentro il quale ci starebbero anche alcuni deputati ucraini.
«Il problema è rappresentato sì dai 90 miliardi, ma ancora peggio dalla posizione che l’Europa continua ad avere. È rimasta a guardare i leader mondiali e non hanno giocato d’anticipo neppure sui leader europei. Ennesima prova che l’Ue è costruita su basi finanziarie più che politiche. L’auspicio è che ora Bruxelles non si metta di traverso di fronte agli sforzi di Trump».
Ultima domanda: Mohammad Hannoun, capo dei palestinesi in Italia, con l’accusa di collateralismo ad Hamas. Sotto sotto vi piace inchiodare l’opposizione alla manifesta vicinanza con questo soggetto.
«Il problema non è tanto Hannoun. Quanto piuttosto la connivenza della sinistra con una strategia politica che sta portando l’estremismo islamico dentro ai confini d’Europa. Cosa che sta avvenendo oramai da anni. I Fratelli musulmani sono considerati terroristi in molti Paesi arabi e invece sono spesso accolti a braccia aperte da noi E questa è solo la punta dell’iceberg. Questo è un caso puramente politico. Questa operazione che dimostra l’altissimo livello di efficienza del Ministero dell’Interno in tutte le sue compagini, dall’altra parte però ci palesa come una buona parte della sinistra sia connivente con frange sicuramente ostili alla nostra cultura e alla nostra politica. Consideri che ci siamo assuefatti alla violenza purtroppo. E glielo dice uno che per aver criticato questo mondo oggi ha le spalle guardate dai poliziotti. Quando arriva un ordine dall’alto pronunciato da un imam, a quel punto chiunque si sente autorizzato ad agire».
Una corsa a chi è più zelante nel realizzare quell’ordine…
«Consideri che i familiari di chi si sacrifica per obbedire all’ordine (oppure viene arrestato) viene poi sostenuta e finanziata dalle organizzazioni. Abitudine questa tipica nelle associazioni criminali organizzate come la mafia».
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Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky (Ansa)
La Carta Onu voleva bandire i conflitti. Invece, ha solo fatto sì che non venissero più apertamente dichiarati. Rendendo anche più difficile trovare vie d’uscita diplomatiche.
C’erano una volta le dichiarazioni di guerra. Frutto di meticolosa preparazione nelle cancellerie diplomatiche, illustravano con dovizia di argomentazioni il perché della ritenuta necessità della guerra contro il Paese cui la dichiarazione era diretta. E c’erano i trattati di pace, che mettevano formalmente fine alle guerre, il più delle volte con reciproche concessioni, ovviamente più pesanti da parte di chi, complessivamente, era risultato soccombente nel confronto di forze sui campi di battaglia. Le guerre non erano dirette alla reciproca distruzione dei belligeranti ma solo a risolvere, con una sorta di «giudizio di Dio», le controversie che non si erano potute appianare per via diplomatica.
Non a caso sui cannoni compariva non di rado l’iscrizione: «Ultima ratio regum» e cioè ultimo argomento al quale i re, quali capi di Stato, ricorrevano a sostegno delle reciproche pretese. E le guerre finivano quando uno dei contendenti, senza essere stato totalmente debellato, si rendeva conto della inferiorità delle proprie forze e della convenienza, quindi, di venire a patti con l’avversario per evitare danni maggiori. Questo modello cominciò gradualmente ad affermarsi a partire dalla fine, nel 1648, della guerra dei trent’anni (ultima tra le guerre europee riconducibili a motivazioni di ordine religioso) e durò, sostanzialmente, fino all’inizio della prima guerra mondiale. Il primo segno della sua crisi fu costituito dalla pace di Versailles, che pose fine a quella guerra. Essa non fu, infatti, a differenza delle precedenti, frutto di vere e proprie trattative, ma assunse la forma del diktat nei confronti dei Paesi sconfitti, ai quali si volle addebitare anche la esclusiva responsabilità morale di quella che si era rivelata come un’imprevista e immane tragedia, della quale occorreva scongiurare il ripetersi.
La guerra cominciò, quindi, a non essere più considerata, secondo la nota formula di Karl von Clausevitz, una prosecuzione della politica con altri mezzi e, pertanto, un legittimo strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Per metterla al bando fu creata la Società delle nazioni, seguita poi, dopo la fine della seconda guerra mondiale (che essa non aveva potuto impedire), dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), nel cui statuto era, per la prima volta, espressamente affermato, all’articolo 2, comma 3, che le controversie internazionali dovevano essere risolte solo «con mezzi pacifici». Si ammetteva soltanto, all’articolo 51, il diritto di autodifesa di ciascuno Stato a fronte di un attacco armato, ma solo «fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali».
Ma il Consiglio di sicurezza quasi mai si è dimostrato in grado di assolvere a tali compiti, essenzialmente a causa della pressoché costante contrapposizione, nell’ambito dei cinque membri permanenti, ciascuno dotato del potere di veto, tra Russia e Cina, da una parte, e Usa, Francia e Gran Bretagna, dall’altra. Di conseguenza le controversie internazionali hanno continuato imperterrite a dar luogo a conflitti armati non più preceduti, però, da formali dichiarazioni di guerra, essendo queste da evitarsi se non altro per non incorrere in una conclamata violazione dello Statuto dell’Onu. Ed ecco, allora, che l’azione di guerra viene, molto semplicemente, posta in essere ex abrupto, confidando nell’effetto sorpresa e nell’altrui acquiescenza al fatto compiuto. Fu questo il caso, ad esempio, dell’occupazione del territorio portoghese di Goa, nella penisola indiana, ad opera dell’India governata dal «pacifista» Jawaharlal Nehru, nel 1961; quello dell’occupazione di parte dell’isola di Cipro ad opera della Turchia, nel 1974 o, ancora, quello dell’occupazione delle isole Falkland, sotto sovranità britannica, da parte dell’Argentina, nel 1982. Caso, quest’ultimo, in cui, però, a differenza dei precedenti, l’aggressore ebbe a subire l’imprevisto, vittorioso contrattacco dell’aggredito. In altri casi, più recenti, le azioni di guerra, condotte da Usa e alleati vari (ivi compresa, talvolta, l’Italia) , sono state contrabbandate sotto mentite spoglie quali, ad esempio, quelle di: «operazione di polizia internazionale» (guerre contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 1990 e nel 2003); «intervento umanitario» (guerra aerea, nel 1999, contro la Serbia di Slobodan Milosevic, presunta responsabile di violenze in danno degli abitanti del Kosovo); sostegno alla «primavera araba» (altra guerra aerea, nel 2011, contro la Libia del «dittatore» Muhammar Gheddafi). Non stupisce, quindi, che, alla luce di tali esempi, sia stata definita «operazione militare speciale» la guerra intrapresa nel 2022 dalla Russia di Vladimir Putin, volta a impedire l’adesione dell’Ucraina alla Nato e ad annetterne i territori a popolazione russofona.
Alla mancanza della dichiarazione di guerra fa poi da riscontro quella di un trattato di pace che la concluda. Le ostilità cessano per effetto del completo e irreversibile successo di uno dei due contendenti ovvero quando la loro prosecuzione si appalesa, per le più varie ragioni, almeno al momento e per un tempo più o meno lungo, come impossibile o inutile, senza che, però, ne segua una stabile definizione del contenzioso dal quale il conflitto armato ha avuto origine. E proprio quest’ultima, con riguardo al conflitto russo - ucraino, appare la più realistica delle ipotesi. La Russia, infatti, vincitrice o, comunque, in posizione di forte vantaggio sul campo, mai potrebbe accettare una vera e propria «pace» che non comportasse il riconoscimento del passaggio sotto la sua sovranità dei territori ucraini da essa rivendicati e, per buona parte, occupati. Ma a una tale soluzione non si rassegnano quanti - a cominciare dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per finire alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, passando per il gruppo anglo-franco-tedesco dei cosiddetti - vogliono, in realtà, per occulte (ma non tanto) ragioni, la prosecuzione della guerra. E costoro hanno buon gioco nell’appellarsi al principio, chiaramente desumibile dallo statuto dell’Onu, secondo cui non sono ammissibili modifiche territoriali ottenute con la forza. Di qui una paradossale ma ineludibile conclusione: quella, cioè, che proprio il generalizzato divieto di uso della forza per la soluzione delle controversie internazionali, non essendo presidiato da un’autorità in grado di farlo rispettare, può finire per porsi come ostacolo - pretestuoso, forse, ma non per questo meno efficace - al conseguimento di quella che, come nel caso del conflitto russo-ucraino, appaia, piaccia o non piaccia, l’unica «pace» effettivamente possibile. Chissà se, allora, tutto sommato, non sarebbe forse meglio per tutti un ritorno a Von Clausevitz.
Pietro Dubolino
Presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione
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D’accordo, le feste non sono ancora terminate, ma di sicuro un po’ di avanzi li avete già accumulati e, soprattutto pensando al cenone di San Silvestro, potete dare prova – stupendo gli ospiti – di una insospettata abilità di pasticceria semplicemente dedicandovi a uno dei dolci più tradizionali d’Italia che in questo caso trattiamo alla fiorentina, cioè a forma di zuccotto, con anche una finalità anti-spreco.
Ingredienti - 800 gr di panettone, 1L di latte, 8 cucchiai di farina 00, 8 cucchiai colmi di zucchero semolato, 4 uova, un limone non trattato, 4 cucchiai di cacao in polvere o 80 gr di cioccolata meglio se fondente, 125 cc di Alchermes (nel caso abbiate dei bambini e non volete usare alcol allora 125 ml di latte più una fialetta di colore rosso per dolci).
Procedimento - Iniziate a fare la crema scaldando in una pentolina capiente il latte, aggiungete a poco a poco la farina sempre girando con la frusta in modo che non si formino grumi, poi lo zucchero, la buccia del limone evitando di intaccare l’albedo e infine fuori fuoco le uova continuando a girare sempre con la frusta. Quando le uova si sono ben incorporate rimettete sul fuoco a fiamma molto bassa e fate addensare la crema sempre rigirando. A questo punto eliminate la scorza di limone e prendete un terzo della crema e versatela in un altro pentolino aggiungendo la polvere di cacao oppure la cioccolata sbriciolata. In questo secondo caso fate prendere ancora un po’ di calore per far sciogliere la cioccolata. Dovete sempre girare il composto per evitare che si formino grumi. Ora prendete una forma da zuccotto (basta una bastardella) e rivestitela di pellicola trasparente all’interno, vi faciliterà il distacco della zuppa inglese una volta freddata. Fate a fette abbastanza sottili il panettone e rivestite le pareti dello stampo. Bagnate con l’Alchermes poi versate la crema al cioccolato. Compattate bene e chiudete lo strato con altro panettone bagnato di liquore. Ora versate la crema bianca e chiudete con altre fettine di panettone. Sigillate con la pellicola e andate in frigo per almeno un’ora. Una volta che lo zuccotto si è consolidato, sformatelo sul piatto di portata togliendo la pellicola.
Come far divertire i bambini - Date a loro l’incombenza di rivestire lo stampo con le fette di panettone, scoprirete quanto sanno essere precisi.
Abbinamento - Abbiamo optato per un Marsala stravecchio, vanno benissimo un Sagrantino di Montefalco passito, una Vernaccia di Serrapetrona amabile oppure se volete un impatto più sofisticato un Torcolato di Breganze o una Malvasia delle Lipari passita.
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