<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/oggi-in-edicola-2656421513.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2656421513" data-published-at="1642451368" data-use-pagination="False">
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 dicembre con Carlo Cambi
Ursula von der Leyen (Ansa)
Sondaggio Censis per Coldiretti: due cittadini su tre giudicano le istituzioni europee poco trasparenti e democratiche. Prandini: togliere il voto all’unanimità farebbe venir meno «il principio di precauzione».
Rombano i trattori e marciano di nuovo su Bruxelles dove l’Italia già ieri si è fatta sentire ieri con il ministro per le risorse agricole e la sovranità alimentare Francesco Lollobrigida. Il ministro nel corso di Agrifish – è la riunione dei responsabili politici del settore agricoltura dei 27 – insieme con il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e l’amministratore delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia ha presentato alla Commissione la candidatura ufficiale dell’Italia per ospitare l’autorità doganale e di controllo dell’Ue, che dovrà essere basata a Roma.
La ragione? Molto semplice. L’ha spiegata Vincenzo Gesmundo, segretario generale della Coldiretti che dall’assemblea d’autunno della prima organizzazione agricola italiana (oltre 1,6 milioni di imprese associate) ha lanciato due messaggi; basta con le politiche di Bruxelles che penalizzano l’agricoltura, basta con le frontiere colabrodo. «Occorre arrivare a un sistema di controllo che copra il 100% dei prodotti, concentrandosi in particolare sulle filiere che risultano già compromesse all’origine. Non è accettabile che l’agricoltura con il maggior tasso di distintività e potenziale venga continuamente esposta ad attacchi che ne mettono a rischio il valore» ha messo in rilievo Gesmundo, ricordando che solo il 3% delle merci che passano la dogana a Rotterdam, principale porto di sbarco delle importazioni agroalimentari d’Europa, subisce controlli.
Gesmundo ha lanciato anche un altro ammonimento che poggia su un sondaggio che mette sul banco degli accusati Ursula von der Leyen e l’Ue: «Serve», ha scandito, «un disordine virtuoso per trarne un nuovo ordine a partire dalla mobilitazione del 18 dicembre a Bruxelles, che vedrà la partecipazione di migliaia di agricoltori Coldiretti insieme a quelli da tutta Europa. Sarà solo l’inizio, saremo rumorosi». Ettore Prandini, che di Coldiretti è il presidente, ha aggiunto. «Non si possono imporre regole stringenti ai nostri produttori e poi spalancare le frontiere a chi produce senza rispettarle. È inaccettabile, se si confronta la mole di verifiche cui sono sottoposte le nostre aziende con la leggerezza riservata alle merci provenienti dall’estero. La mancanza di reciprocità delle regole finisce per mettere in ginocchio il made in Italy a tavola, con effetti rischiosi anche per la salute dei cittadini». Nel mirino ci sono le politiche con cui la leadership europea affronta oggi temi come innovazione, sicurezza alimentare, agricoltura e democrazia e una forte opposizione alle idee di Mario Draghi e associati che vogliono togliere il voto all’unanimità in Europa facendo venire meno il «principio di precauzione indispensabile».
A provarlo ci sono le cifre. La Coldiretti ha chiesto al Censis un sondaggio sul rapporto degli italiani con l’Ue. Per il 70% degli intervistati «le politiche della Commissione Von der Leyen sono lontane dagli interessi dei cittadini e delle imprese». Due su tre ritengono che «le élite decisionali sono poco trasparenti e lontane dal confronto democratico» e con la stessa percentuale sono convinti che «la tecnocrazia prevalga sul Parlamento europeo». Ancora più ampia la bocciatura dei tagli alla Pac visto che il 76% degli intervistati si dichiara «contrario ai tagli ai fondi agricoli e di welfare per destinarli al rafforzamento militare».
Un via libera alla manifestazione del 18 dicembre che coinciderà - lo ha annunciato il ministro per gli affari europei Tommaso Foti - «con la discussione del Mercosur nel Consiglio europeo. Su questo», ha spiegato il ministro, «manteniamo la nostra riserva rispetto alla reciprocità delle norme, come abbiamo già ribadito il no ai tagli della Pac; è una posizione che ripeterò al Consiglio Affari Generali a Bruxelles, dove sarà ancora in esame la bozza del quadro finanziario pluriennale».
Ce n’è abbastanza per riaccendere i trattori. Lo ha fatto capire Francesco Lollobrigida che, incassato il successo della dichiarazione Unesco della cucina italiana quale patrimonio immateriale dell’umanità, ora insiste per una maggiore tutela dei prodotti del made in Italy. Lollobrigida ha specificato che i dazi Usa non fanno bene, ma non hanno creato - almeno nell’agroalimentare - i disastri che si paventavano. E poi ha aggiunto che oggi semmai la sfida è far cambiare idea a una Commissione che sull’agricoltura e sulla necessità di assicurare la sovranità alimentare all’Europa non fa scelte corrette. «Non si può farsi invadere, in nome della solidarietà, da riso proveniente da Cambogia e Birmania, applicando dazi zero per aiutare la loro agricoltura. E del pari», sostiene sempre Lollobrigida, «devono esser contrastati i cattivi maestri che cominciano a dire che la Cina è un esempio di efficienza; bisogna rispondere: vai tu a vivere in un luogo dove le persone non godono delle libertà e della democrazia di cui godiamo noi». Da qui la richiesta sì di ricontrattare i dazi con gli Usa, ma di non sbagliare obbiettivo. Perciò il ministro dice degli agricoltori: «Fanno bene a manifestare, manifestano per l’Europa, non contro l’Europa».
Continua a leggere
Riduci
Ansa
Per non urtare la sensibilità di chi professa altre fedi, una primaria di Reggio Emilia ha rivisto la versione italiana di «Jingle Bells» sostituendo Cristo con vaghe allusioni alla pace. L’«assessora» islamica aveva invitato gli istituti a «decolonizzare lo sguardo».
Includere escludendo, il club degli intelligenti per decreto è sempre un giro avanti anche sul Natale. Dopo avere trasformato i pastori in migranti, i re Magi in attivisti pro Pal, la Madonna in una peripatetica, San Giuseppe in una drag queen e la stella cometa in un razzo su Gaza, non restava che cancellare Gesù Bambino. In attesa di farlo dal presepe, a Reggio Emilia lo hanno espulso dal canto più amato dai bimbi, Jingle Bells. Una deportazione canora in piena regola, messa a punto dai parolieri della scuola primaria San Giovanni Bosco (istituto comprensivo Ligabue) che hanno deciso l’epurazione religiosa dalla versione italiana per il consueto motivo peloso: non urtare la suscettibilità dei musulmani. I quali, peraltro, da anni vedono in questa gratuita sottomissione culturale uno dei segnali più evidenti della degenerazione dei valori occidentali.
Il laicismo intrinseco della canzone americana - nata nel New England per celebrare la festa del ringraziamento fra cavalli, slitte e campanelli - non bastava a soddisfare il fanatismo anticlericale progressista. Nel testo italiano c’è quel nome, Gesù, che in vista della recita di Natale infastidiva a pelle gli ayatollah del woke. Nessun problema, i Mogol da scuola elementare hanno cambiato due strofe. Invece di «Aspettando quei doni che regala il buon Gesù» ecco «Aspettano la pace e la chiedono di più». E ancora «Oggi è nato il buon Gesù» diventa «Oggi è festa ancor di più». Il Dio cristiano è sparito dai radar e le nuove rime somigliano a un’omelia del cardinal Matteo Zuppi.
Tutti contenti in collegio docenti, soprattutto la preside Francesca Spadoni che ai genitori perplessi si è limitata a dire: «Jingle Bells, canto laico e folcloristico, esiste in molteplici versioni. Il team docente, nell’esercizio della propria libertà d’insegnamento, ha semplicemente scelto una versione in linea con i suoi obiettivi pedagogici e didattici». Se valesse il principio, sarebbe interessante leggere la sua versione onirica della Divina Commedia o del 5 Maggio del Manzoni. Del resto, se Dio è morto (Friedrich Nietzsche) non si capisce perché debba resistere quel neonato nella mangiatoia. Poiché siamo a Reggio Emilia, farebbero prima a metterci la benemerita Francesca Albanese con il pugno chiuso, e come nenia utilizzare gli sfottò della medesima al sindaco Marco Massari.
Il Pd locale gongola. Non gli restava che cancellare Gesù Bambino dai canti di Natale, terremotare i simboli della cristianità. Il consigliere comunale dem Federico Macchi ha parlato per tutti con prosopopea da Luciano Canfora: «La scuola, che peraltro è laica, deve educare e nel testo proposto ai bambini (in particolare dove al posto dell’attesa dei doni si è sostituita l’attesa di pace) colgo proprio un meritorio invito a riflettere sui valori universali di convivenza, solidarietà e pace, temi che sempre dovrebbero caratterizzare la missione educativa dei nostri istituti». Già, perché Jingle Bells (titolo italiano Din don dan) è una pericolosa canzone bellicista.
L’annullamento culturale in nome di un’inclusione superficiale e sgangherata non ha nulla a che vedere con il libero arbitrio di uno Stato, ma fa parte dello sciocchezzaio progressista al quale si accodano timidi cattodem avvolti nei sensi di colpa. In questo caso il partito di maggioranza si sentiva in dovere di assecondare le richieste dell’assessora alle Politiche educative con delega alla Scuola dell’obbligo, Marwa Mahmoud (musulmana di origine egiziana), che un mese fa aveva catechizzato gli insegnanti invitandoli a «decolonizzare lo sguardo» e a promuovere «una formazione continua per superare approcci coloniali verso gli studenti». Detto fatto. Sbianchettare Gesù Bambino da Jingle Bells in italiano è il nobile risultato, ottenuto applicando il vecchio principio comunista «eliminarne uno per educarne cento».
L’iniziativa sta provocando inevitabili polemiche. Il capogruppo della Lega di Reggio Emilia, Alessandro Rinaldi, ha alzato il volume della radio: «Censurare Gesù dalle canzoni di Natale nelle scuole in nome dell’inclusione è una deriva inaccettabile. Una scelta sbagliata, ideologica e profondamente diseducativa. Il Natale ha un’identità chiara: è una festa cristiana». Il segretario provinciale di Fdi, Alessandro Aragona, definisce l’episodio «atto di autolesionismo culturale, la prova di una deriva ideologica della sinistra che mira a cancellare le radici storiche e della civiltà europea».
Il dossier è sulla scrivania del ministro Giuseppe Valditara, che potrebbe decidere di inviare gli ispettori per chiarire le responsabilità. Ma la reazione ministeriale sarebbe sproporzionata, addirittura superflua. In questi casi dovrebbero essere i genitori a prendere le distanze dal ridicolo. Anche perché la sacra famiglia, pur strapazzata dalla superficialità di chi pretende di includere escludendo 2.000 anni di cristianesimo, continua a parlarci. E giudica chi la sta violentando.
Continua a leggere
Riduci
Maurizio Landini (Ansa)
È ufficiale: Maurizio Landini, ossia colui che da tempo prova a paralizzare l’Italia rivendicando fantasiose scelte di politica economica, parla di tasse e redditi senza sapere nulla di tasse e redditi.
Pur di giustificare l’ennesima manifestazione a ridosso del fine settimana (senza weekend i cortei andrebbero deserti), in un’intervista concessa a Repubblica il segretario della Cgil spiega le ragioni dello sciopero di oggi con una serie di balle, inventando di sana pianta numeri a sostegno delle sue tesi. Cominciamo dalla magica soluzione con cui lui risolverebbe il problema delle risorse finanziarie per aumentare i redditi di lavoratori e pensionati. L’idea è la solita vecchia trovata della patrimoniale, che però Landini non applicherebbe sulla proprietà, ma sui redditi. «Chiediamo al governo di introdurre un contributo di solidarietà (meglio non chiamarla tassa, è poco carino, ndr) dell’1,3 per cento su 500.000 italiani con redditi netti annui sopra i due milioni: vale 26 miliardi».
Immagino che il segretario della Cgil abbia fatto i conti prevedendo redditi lordi intorno ai quattro milioni, perché un prelievo dell’1,3 per cento su redditi netti da due milioni applicato a 500.000 italiani dà esattamente la metà di quel che stima Landini. Ma il tema non è se il leader del principale sindacato abbia calcolato il contributo di solidarietà al netto o al lordo dello stipendio. Il problema è che in Italia non esistono 500.000 italiani che percepiscano né due né quattro milioni l’anno. Non so chi abbia raccontato questa balla al segretario, ma basta consultare le tabelle ministeriali per fasce di contribuenti per scoprire che nel nostro Paese a dichiarare più di 300.000 euro lordi (ossia meno di un decimo di quanto Landini vorrebbe tassare) sono 59.533 italiani, ovvero all’incirca un ottavo dei 500.000 a cui il leader Cgil vorrebbe prelevare l’1,3 per cento. Le statistiche del ministero non rivelano quanti siano i contribuenti che percepiscono quattro milioni lordi l’anno, ma basta girare la domanda a Chatgpt per vedersi rispondere che la fascia di chi si mette in tasca ogni anno due milioni netti è «una sottoclasse molto piccola di quella già piccolissima dei redditi molto elevati». Vado al sodo: se gli italiani che guadagnano 300.000 euro lordi sono meno di 60.000, a incassare quattro milioni saranno, forse, centinaia di persone. Dunque, la mirabolante soluzione di Landini è una «supercazzola» che, se introdotta, sarebbe un super flop, perché non porterebbe mai agli introiti da lui immaginati.
Ma Landini inanella anche altre sciocchezze degne di nota. Innanzitutto intima al governo di restituire 25 miliardi di tasse pagate da 38 milioni di lavoratori negli ultimi tre anni (guarda caso sono proprio gli anni in cui governa Giorgia Meloni: si vede che prima, pensionati e lavoratori non erano soggetti a scippi). Come spiega spesso numeri alla mano Alberto Brambilla, fondatore di «Itinerari previdenziali», centro di ricerca che si occupa di pensioni e redditi, il 43 per cento degli italiani non paga l’Irpef e il 12 per cento versa 26 euro. Dunque, dove stanno questi 38 milioni (i contribuenti in Italia sono 42 milioni) a cui sono stati scippati 25 miliardi? Nella fantasia del segretario. Il quale parla degli effetti del drenaggio fiscale, ma, come ha ben spiegato giorni fa il nostro Giuseppe Liturri, una recente ricerca della Bce ha dimostrato come le riforme fiscali del 2022-2023, unitamente alla riduzione dei contributi sociali, hanno quasi completamente azzerato il prelievo fiscale sui salari che viene applicato per effetto dell’aumento delle retribuzioni, con l’applicazione di aliquote più elevate. Anche qui lo dicono i numeri, quindi le decine di miliardi che sarebbero state sottratte a pensionati e lavoratori e di cui Landini chiede la restituzione sono un’altra super balla, perché dal 2022 l’aumento dei salari reali ha superato l’inflazione cumulata nello stesso periodo. Insomma, niente di quel che il segretario rivendica corrisponde al vero. Dunque, perché cerca di trascinare in piazza pensionati e lavoratori? Per difendere il suo salario prossimo venturo. Cioè per garantirsi una rendita di posizione quando non sarà più alla guida della Cgil.
Continua a leggere
Riduci





