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Stefano Donnarumma, ad di Fs
L’ad Stefano Donnarumma presenta le nuove strategie: pronti 18 miliardi per il 2025 e progetti per 177 miliardi fino al 2034. La flotta verrà rinnovata e si punterà su digitalizzazione della rete e apertura ai privati. Matteo Salvini rilancia i cantieri e il Ponte di Messina.
Investimenti per 18 miliardi nel 2025, 7 di questi solo per il Pnrr. Cifre senza precedenti per il gruppo Fs come spiegato dall’amministratore delegato Stefano Donnarumma ieri in occasione della presentazione del Piano strategico 2025-2029. «Questi risultati rappresentano le fondamenta della traiettoria di lungo periodo delineata nell’aggiornamento del Piano strategico, che prevede ulteriori investimenti per 177 miliardi di euro nel periodo 2026-2034. Il prossimo anno puntiamo a superare il target dei 18 miliardi», mentre per quanto riguarda gli obiettivi al 2029, nonostante una perdita iniziale pari a 200 milioni di euro nel 2024, restano gli stessi: «20 miliardi di euro di ricavi, 3,5 miliardi di euro di Ebitda e un risultato netto pari a 500 milioni di euro, coerenti con la traiettoria di crescita prevista per i prossimi anni», ha commentato presentandosi sul palco vestito da ferroviere per «trasmettere l’orgoglio e l’emozione di essere ferrovieri e italiani».
Occhi puntati sul tema ritardi: «Noi pensavamo di riportare nelle fasce di orario 50.000 treni in cinque anni, ne abbiamo riportati 35.000 in un solo anno», assicura Donnarumma che rivendica anche l’ammodernamento della flotta «con l’introduzione di 241 nuovi mezzi tra treni e autobus».
Avviata anche «una profonda trasformazione industriale: abbiamo riorganizzato la governance del gruppo, reso operative le nuove Business Unit, lanciato la Scuola Fs e definito un piano tecnologico da 20 miliardi di euro al 2034 per digitalizzare la rete, rafforzare la sicurezza dell’infrastruttura e migliorare la gestione dei cantieri». Mentre su Anas spiega: «nessuno ha dubbi sulla necessità di una separazione, non c’è beneficio che l’Anas sia all’interno del gruppo. Ci sono già norme che sono state scritte per andare in questa direzione».
È in conferenza stampa che l’ad ha l’occasione si rispondere a chi gli chiede conto della segnalazione dell’Ance circa la cessione del ramo d’azienda ferroviario della storica azienda di Parma, la Pizzarotti, a Fs. L’Ance, nei giorni scorsi, aveva sollevato dubbi in riferimento a concorrenza, codice degli appalti e commistioni tra pubblico e privato, funzionamento dell’in house ed equilibrio tra stazione appaltante e società che esegue i lavori oltre che profili sugli aiuti di Stato. «Abbiamo ricevuto una segnalazione assolutamente inappropriata. Agiremo in tutte sedi per difendere inostri diritti», ha sottolineato Donnarumma. C’è interesse anche l’ingresso di investitori privati nello sviluppo infrastrutturale sulla base del modello Rab che prevede l’autofinanziamento con l’eventuale apertura al capitale di terzi. Secondo Donnarumma, nonostante l’impegno congiunto con il Mef, resta complicato disegnare il sistema sull’Alta velocità. «Il progetto non è concluso o fallito, è solo molto complesso il contesto di applicazione giuridico normativa. Ci sono elementi di carattere procedurale e tecnico che devono essere adottati. Però non è detto che non ci siano le soluzioni. A gennaio riprenderemo». Poi ha aggiunto: «Negli ultimi anni assistiamo a un sempre più forte interesse di investimenti nel nostro Paese da parte di fondi degli Emirati Arabi e del Qatar. Non abbiamo ancora però preso una decisione su questo. Se, invece, ci sarà il coinvolgimento di fondi esteri su attività internazionali credo che parleremo di fondi di matrice americana ed europea».
Anche il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, il vicepremier Matteo Salvini, è intervenuto dal palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma esordendo con una battuta: «Speriamo portiate fortuna, oggi doveva essere la giornata del mio processo in Cassazione è stata aggiornata alla settimana prossima». Rivendica i cantieri in corso nonostante le critiche sui ritardi: «Se siamo costretti ad avere oggi il massimo storico di cantieri aperti è perché qualcuno in passato o si era distratto oppure si occupava di altro», precisa non tenendosi però una stoccatina nei confronti dell’ad di Fs Donnarumma: «Fatemi arrabbiare il meno possibile nel 2026 e mandare meno messaggi», ribadendo tuttavia di essere «estremamente orgoglioso di quello che state facendo». Poi sul ponte di Messina rilancia: «Rinnovo la mia determinazione ad avviare i lavori entro la fine del mio mandato». Infine, circa lo sciopero della Cgil indetto per oggi: «Irresponsabile bloccare il Paese con l’ennesimo sciopero generale che mette in ginocchio il Paese in un momento delicato».
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Riduci
Iniezione letale (iStock)
Donna affetta da una patologia rara, ma non grave, si deprime per le tempistiche dell’operazione e ottiene l’ok al fine vita.
Una donna affetta da una malattia rara, ma tutt’altro che in fin di vita bensì semplicemente stanca di aspettare l’intervento chirurgico di cui avrebbe bisogno, arriva a chiedere - e ottiene - la morte assistita. Sembra assurdo che un caso simile possa esistere e, probabilmente, lo è. Peccato sia una storia vera: quella che vede suo malgrado protagonista Jolene Van Alstine, 37 anni, residente nella provincia canadese del Saskatchewan. La donna soffre da otto anni di iperparatiroidismo primario normocalcemico, una malattia paratiroidea molto rara ma curabile. Il punto è che nel Saskatchewan pare non ci siano chirurghi in grado di eseguire l’operazione di cui ha bisogno. Per questo, la trentasettenne deve essere indirizzata fuori provincia, ma non può ottenere un’indicazione senza prima essere visitata da un endocrinologo e - di quelli della sua zona, alcune decine - nessuno accetta nuovi pazienti.
Di qui l’interminabile attesa, così interminabile da averla portata a chiedere la morte assistita. Che, a differenza del sospirato intervento, le è stata subito fissata. C’è già la data: il 7 gennaio 2026. Jolene Van Alstine ha scelto questa strada per porre fine a quello che, per lei, è un calvario: «I miei amici hanno smesso di venirmi a trovare. Sono isolata. Sono otto anni che me ne sto sdraiata sul divano, malata e rannicchiata in posizione fetale, aspettando che la giornata finisca». «Vado a letto alle sei di sera perché non riesco più a stare sveglia», ha aggiunto e suo marito, Miles Sundeen, ha detto che stanno cercando aiuto da molto tempo.
«È un caso complesso perché ha già subito diversi interventi chirurgici, ma non hanno avuto successo al 100%», ha spiegato l’uomo, «abbiamo davvero bisogno di aiuto per trovare un endocrinologo e un chirurgo che la prendano in cura e che abbiano molta familiarità con casi più complessi».
Le istituzioni sono al corrente di tutto, tanto che - stimolato dal ministro ombra dell’opposizione, Jared Clarke - il ministro della Salute del Saskatchewan, Jeremy Cockrill, ha incontrato la donna giorni fa per cercare di capire se poteva aiutarla, ma sembra che neppure il suo interessamento, per ora, sia riuscito a sbloccare la situazione. Con il risultato che, salvo sorprese, a inizio 2026 la Van Alstine potrebbe davvero ottenere la morte assistita a causa, di fatto, dei ritardi del sistema sanitario. Un caso che potrebbe diventare, se davvero così sarà, il primo d’una lunga serie dato che non in Canada non è già raro, anzi, morire in attesa delle cure.
Secondo i dati diffusi a fine novembre dal think tank canadese Secondstreet.org, infatti, tra aprile 2024 e marzo 2025 sono deceduti quasi 24.000 pazienti - 23.746, il numero esatto - che erano nelle liste d’attesa per le cure. Va però detto che il caso di Jolene Van Alstine sta scuotendo molto l’opinione pubblica ed è partita una vera e propria gara di solidarietà per salvarle la vita. In prima linea c’è il commentatore conservatore americano Gleen Beck, attivatosi dichiarando di volersi far carico delle spese di viaggio e mediche per Jolene esortando il Canada a porre fine a questa «follia». Gli aggiornamenti delle ultime ore da parte di Beck sono di cauto ottimismo. «Siamo in contatto con Jolene e suo marito! Continuate a pregare per la sua salute», ha infatti scritto su X. Staremo a vedere che sviluppi avrà la vicenda.
Quel che è certo è che l’odissea di Jolene Van Alstine non è casuale. E questo non solo per la gran facilità con cui è possibile accedere in Canada alla morte assistita - 90.000 casi dal 2016 ad oggi sono un numero oggettivamente enorme -, ma pure per il clima di abbandono terapeutico che la cultura eutanasica ha generato in un Paese dove, contestualmente all’introduzione del decesso on demand, si è subito iniziato a ragionare apertamente sui risparmi che ciò avrebbe comportato per le casse pubbliche.
Uno studio di Aaron J. Trachtenberg e Braden Manns, pubblicato ancora nel 2017 sul Canadian Medical Association Journal, basandosi su stime realizzate nei Paesi Bassi, aveva quantificato in una forbice oscillante tra i 35 e i quasi 139 milioni di dollari l’anno i risparmi che la «dolce morte» può assicurare alle finanze pubbliche. Da parte loro, Trachtenberg e Manns avevano tenuto a sottolineare di non voler alcun modo incoraggiare la gente a morire, e ci mancherebbe, ma è ovvio che laddove la vita di alcuni cittadini, rei solo di non essere abbastanza sani o abbastanza giovani, inizia ad essere rubricata alla voce «costi evitabili», essi siano indotti a togliere il disturbo. Era già accaduto, restando sempre in Canada, qualche anno fa con l’atleta paralimpica Christine Gauthier - che aveva osato protestare per i ritardi nell’installazione in casa sua di un montascale, sentendosi offrire la morte assistita - e di fatto succede ancora oggi con il caso di Jolene Van Alstine che, a proposito della sbandierata libertà di scelta, ora ha davanti a sé due strade: la morte assistita o quella in attesa di cure. Bel modo di essere «liberi fino alla fine», non c’è che dire.
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Riduci
Marco Scatarzi e Lorenzo Cafarchio raccontano boicottaggi, accuse grottesche e tentativi di censura tra fiere del libro e festival. Perché il pluralismo diventa un problema solo quando non è di sinistra?
Vaccini (iStock)
È provato che il farmaco usato per il Covid, specie nei soggetti giovani, possa causare microlesioni rilevabili solo con esami mirati. Spesso la sintomatologia è nulla: arriva solo un’aritmia improvvisa e fatale. Eppure la «scienza» dà dei cialtroni alle tante vittime.
Il malore improvviso ha un nome. La mio/pericardite associata ai vaccini a mRna contro Sars-CoV-2, è un fenomeno epidemiologicamente ben documentato, in particolare nei maschi tra 12 e 29 anni. Studi pubblicati su The Lancet, Nature, Jama hanno confermato infatti un aumento dell’incidenza rispetto ai tassi di background pre-Covid, soprattutto nella settimana successiva alla seconda dose.
Miocardite vuol dire che un soggetto prima sano diventa malato, che un soggetto che prima correva la maratona può non riuscire a salire due piani di scale. Ci assicurano tutti gli articoli che il fenomeno è raro, i casi sono «pochi». L’aggettivo è sorprendente. Che cosa vuol dire pochi? Non stiamo parlando di un farmaco che cura il cancro. Esiste una bizzarra cosa che si chiama deontologia, sarebbe in parole povere l’etica applicata alla medicina. Il punto A al paragrafo 1 di qualsiasi libro di deontologia recita: «Non nuocere». Farmaci che curano malattie devastanti e mortali possono avere effetti collaterali gravi, a volte potenzialmente mortali. Con un danno minore e un rischio di morte minore cerchiamo di combattere danni maggiori e certezza di morte.
I vaccini si somministrano a persone sane. Non possono avere effetti collaterali gravi o potenzialmente mortali, o abbiamo violato il pilastro centrale della deontologia medica. Inoltre se somministro un farmaco a Mario Rossi, deve essere nell’interesse esclusivo di Mario Rossi, non della comunità, non degli anziani, dei fragili, degli immunodepressi, della patria, del popolo, di Mario Draghi, di Mattarella, ma solo di Mario Rossi. Sacrificare la vita o la salute di Mario Rossi ad altri, rientra nello schema della deontologia medica nazista. Molti dei medici condannati a Norimberga stavano studiando vaccini, malaria e tubercolosi, e trovavano corretto sacrificare la vita di poche centinaia di deportati per salvarne in futuro milioni. La miocardite è stata definita dal virologo Burioni una malattia benigna, in realtà può portare allo scompenso cardiaco o ad aritmie gravi fino all’arresto cardiaco.
Definire una malattia potenzialmente mortale una malattia benigna è sbagliato. La miocardite post vaccino colpisce persone giovani, è stata causata dall’inoculazione di un farmaco in fase sperimentale fino a pochi mesi fa, spesso imposto, che doveva evitare una malattia che, nelle persone giovani, è, se non irrilevante, sicuramente, lei sì, benigna. Anche i «pochi» casi sono troppi. Ora sorge il dubbio che la miocardite post vaccino non sia così rara, che i casi non siano così pochi. Miopericardite subclinica indotta dal vaccino Covid-19: fisiopatologia, diagnosi e gestione clinica» , è il titolo dell’articolo pubblicato il 25 novembre scorso da Nicolas Hulscher e altri negli Archivi di Ricerca Medica della Società Europea di Medicina. Secondo l’articolo la mio/pericardite può decorrere in maniera subclinica. Questo implica che non siamo in grado di stabilirne la percentuale, e che, potendosi riacutizzare improvvisamente, potrebbe essere la causa delle morti improvvise, ribattezzate «malori improvvisi », di persone collassate e morte improvvisamente anche su campi sportivi.
Elena Alberton del comitato Salvaguardia ha raccontato di suo figlio, uomo atletico e sano, morto a quarant’anni, dopo la terza dose obbligatoria per lavorare, di «malore improvviso» non preceduto da segni premonitori. Queste morti troppo spesso non sono seguite da un’autopsia. Elena Alberton con estrema difficoltà è riuscita ad ottenere l’autopsia per suo figlio, ma in questa autopsia, fatta quindi per un decesso per arresto cardiaco improvviso, il cuore non è stato esaminato. Secondo l’articolo si sta verificando un’epidemia silenziosa di mio/pericardite subclinica e lesioni cardiache, spesso senza sintomi, senza preavviso e, in alcuni casi, con un arresto cardiaco improvviso come primo segno e purtroppo spesso ultimo segno della malattia.
La miopericardite subclinica indotta dal vaccino Covid-19 sarebbe un’infiammazione cardiaca causata dal vaccino mRna contro il Covid-19 che si manifesta senza i classici segnali d’allarme osservati nella miocardite conclamata. Invece di un forte dolore toracico o di un ricovero ospedaliero, la lesione si manifesta in modo silenzioso, dolore toracico sistemico, senso di palpitazione, irregolarità della pressione o del battito. È rilevabile solo attraverso biomarcatori (troponina, Bnp, galectina-3, D-dimero), alterazioni dell’Ecg (cambiamenti dell’onda St/t, aritmie), imaging (ispessimento o fibrosi del miocardio), misurazioni di anticorpi/spike. I sintomi sono aspecifici e lievi. La diagnosi è strumentale, se non si fanno gli esami ematologici, gli elettrocardiogrammi, le visite, l’ecografia, la risonanza magnetica, la diagnosi non è possibile. In alcuni individui, la manifestazione iniziale può essere catastrofica: arresto cardiaco improvviso senza alcun sintomo precedente. Gli studi autoptici mostrano cicatrici infiammatorie piccole, a volte appena rilevabili dalla risonanza magnetica, ma perfettamente in grado di innescare aritmie letali.
Dato che i sintomi sono lievi e solo eseguendo esami si arriva alla diagnosi, la malattia è sottostimata, potrebbe colpire dall’1 al 3% dei vaccinati, cioè milioni di persone. Occorre l’astensione temporanea dall’attività fisica intensa, dato che l’esercizio fisico intenso aumenta le catecolamine e può scatenare aritmie o arresti cardiaci improvvisi nel miocardio infiammato: questo è il motivo dell’ecatombe nello sport. Gli sportivi devono fare imperativamente questi esami. In realtà tutti i vaccinati dovrebbero fare questi esami. Occorre eseguire periodicamente la misurazione di troponina, Bnp, galectina-3 e D-dimero, l’Ecg, e ripetere l’imaging cardiaco, ecocardiogramma e, quando indicato, la risonanza magnetica cardiaca, fare attenzione ai sintomi premonitori. Per quanto riguarda la gestione clinica, la letteratura concorda nel ritenere che la maggior parte dei casi documentati risponda a un trattamento di supporto. La miopericardite subclinica indotta dal vaccino contro il Covid-19 rappresenterebbe una forma silenziosa, diffusa e devastante di danno cardiaco. Innumerevoli persone in tutto il mondo convivrebbero con un’infiammazione cardiaca non diagnosticata, senza evidenti segnali d’allarme. Per quattro anni i pazienti sono stati ignorati, la loro sofferenza è stata negata, sono stati trattati da isterici.
È stato coniato il vezzoso termine «malore improvviso», per descrivere l’ arresto cardiaco da aritmia conseguente alla miopericardite subclinica. È necessario aumentare gli screening diagnostici, pretendere il silenzio di tutti gli sprovveduti laureati in medicina, mi rifiuto di chiamarli medici, che continuano a informare il mondo che il vaccino Covid non aveva e non ha effetti collaterali. La scheda tecnica di questi farmaci include un’impressionante serie di patologie, inclusa la miocardite. I paladini del vaccino negano persino gli effetti collaterali scritti sulla scheda tecnica. Chi, in conseguenza all’inoculazione del vaccino, è rimasto invalido, chi ha sviluppato una patologia oncologica, chi ha la vita distrutta, persino chi muore: secondo costoro sono tutti cialtroni complottisti che vogliono far fare una cattiva figura alla «scienza».
Non esiste nessuna scienza che ha dichiarato innocui i vaccini Covid esattamente come non esiste nessuna scienza che dichiara innocui i vaccini pediatrici, soprattutto se inoculati insieme, in esavalenti a bambini molto piccoli. La scienza non dichiara niente: la scienza è un metodo per arrivare alla verità attraverso la discussione, la validazione e l’invalidazione continui. Eppure in Italia la legge Lorenzin condanna alla radiazione i medici che parlano delle criticità di ogni farmaco definito vaccino e innumerevoli pediatri trattano da irresponsabili e isterici i genitori giustamente perplessi davanti all’incredibile numero di vaccini pediatrici somministrati in Italia, tutti insieme, anche a bambini piccolissimi, pratica ritenuta pericolosa in altre nazioni. La scienza è ecumenica: non può essere differente da un paese all’altro.
Occorre abolire immediatamente la legge Lorenzin e liberare la «scienza», che con il bavaglio muore: può vivere e prosperare solo dove sia riconosciuta la libertà di discussione. Occorre un’autorità che intervenga sui laureati in medicina che negano il dolore e deridono i sofferenti.
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Riduci





