2025-09-21
Oggi i funerali di Kirk con Trump e Vance. Il mondo Maga diviso sulle epurazioni
Per Cruz, alleato del tycoon, è lecito ogni commento sull’omicidio. Il presidente Usa, però, ragiona in termini di egemonia culturale.Il dibattito sul Primo emendamento scuote il Partito repubblicano. Tutto è nato dopo che il comico Jimmy Kimmel ha falsamente lasciato intendere che l’assassino di Charlie Kirk apparterrebbe al mondo Maga. È infatti noto come l’attivista conservatore, i cui funerali si terranno oggi in Arizona alla presenza dello stesso Donald Trump e di JD Vance (allo stadio di Glendale sono attese 100.000 persone ed è stato allestito un servizio di sicurezza ai livelli del Super Bowl), sia stato ucciso da un ventiduenne, Tyler Robinson, il quale, secondo i suoi stessi famigliari, si era ormai da tempo attestato su posizioni politiche progressiste. Le parole di Kimmel hanno quindi scatenato un putiferio. E così, poco dopo che il presidente della Federal Communications Commission, Brendan Carr, aveva minacciato di prendere provvedimenti, l’emittente Abc ha sospeso il programma del comico. Una circostanza, quest’ultima, che ha innescato l’irritazione del senatore repubblicano del Texas, Ted Cruz, il quale ha paragonato il comportamento di Carr a quello di un «mafioso». «Detesto quello che ha detto Jimmy Kimmel. Sono entusiasta che sia stato licenziato. Ma lasciatemelo dire: se il governo si mette a dire: “Non ci piace quello che voi, media, avete detto: vi bandiremo dalle frequenze se non dite quello che ci piace”, questo farà finir male i conservatori», ha aggiunto. «Non sono d’accordo con Ted Cruz», ha replicato il presidente Usa. «Credo che a Brendan Carr non piaccia vedere le frequenze utilizzate in modo illegale, scorretto e volutamente orribile», ha continuato, definendo inoltre Carr «un grande americano».Queste tensioni sono significative. Da ormai diversi anni, infatti, Cruz è uno dei principali alleati parlamentari di Trump. Per cercare di entrare più in profondità rispetto a quanto sta avvenendo, è forse utile fare un passo indietro. Questo dibattito si inserisce in un quadro più ampio: quello delle accuse di censura che i repubblicani da anni muovono ai democratici e all’universo progressista. Accuse che, diciamolo, non risultano esattamente infondate. Nel gennaio 2021, Michelle Obama chiese che le grandi piattaforme social bloccassero gli account di Trump: cosa che effettivamente sarebbe avvenuta di lì a poco. Nel marzo 2023, i leader dem del Congresso, Chuck Schumer e Hakeem Jeffries, inviarono una lettera all’allora presidente di Fox News, Rupert Murdoch, in cui si leggeva: «Vi chiediamo di ordinare a Tucker Carlson e agli altri conduttori della vostra rete di smettere di diffondere false narrazioni elettorali e di ammettere in diretta di aver sbagliato a comportarsi in modo così negligente». Non solo. Quando, il mese dopo, Fox News cancellò lo show di Carlson, vari deputati dem, tra cui Alexandria Ocasio-Cortez, esultarono.È da qui che bisogna partire per capire lo scontro in atto tra Trump e Cruz. La posizione del senatore è vicina a un’interpretazione «originalista» della Costituzione americana: un’interpretazione secondo cui la carta fondante va interpretata in base alla comprensione che ne avevano i padri costituenti nel momento in cui venne redatta. In tal senso Cruz, pur denunciando da sempre le censure di marca progressista, sta mettendo in guardia la Casa Bianca dall’attuare censure di segno politico opposto.Trump si sta invece muovendo in un’ottica differente. E attenzione: non è che il presidente sia in disaccordo con la filosofia giuridica sposata da Cruz. In fin dei conti, durante il primo mandato ha nominato tre giudici originalisti alla Corte Suprema. Nel dibattito con il senatore del Texas, Trump si sta muovendo su un piano completamente diverso: vale a dire quello della lotta per l’egemonia politico-culturale. Da quando è sceso in campo nel lontano 2015, l’attuale presidente ha impostato la sua linea politica contro un establishment che, tanto democratico quanto repubblicano, aveva, secondo lui, portato l’America sull’orlo del collasso. E così, dopo la sua (per molti) inattesa vittoria nel 2016, quell’establishment ha fatto di tutto per fermarlo, con mezzi non sempre puliti (basti pensare al Russiagate che tenne «in ostaggio» la sua amministrazione dal 2017 al 2019, per poi concludersi in una bolla di sapone). Il punto è che, dopo la sconfitta di Trump nel 2020, quell’establishment ha rivelato tutta la sua fragilità politica durante i quattro anni dell’amministrazione Biden. E ha quindi provato ad arroccarsi: l’Fbi mise nel mirino gruppi sgraditi (come gli attivisti pro life, i cattolici tradizionalisti e i genitori ostili ai curricula liberal nelle scuole), mentre il Dipartimento di Giustizia nominava un procuratore speciale per indagare sul principale rivale elettorale dello stesso Joe Biden. Fu in questo quadro che si ebbero il raid a Mar-a-Lago, le quattro incriminazioni, il tentativo di estromettere la candidatura di Trump col Quattordicesimo emendamento. Una demonizzazione costante, capace di creare un brodo di coltura che ha poi contribuito a portare all’attentato di Butler.Ecco perché il presidente si sta muovendo oggi in un’ottica di lotta politica sulla base del principio «o me o loro». Trump promuove un cambio di paradigma. Ed è in quest’ottica che va inserita la vicenda di Kimmel. Ciò non significa che la condotta odierna del presidente sui giornalisti e i programmi televisivi a lui ostili non sia assai controversa e, a tratti, problematica. Significa semmai guardare le cose in prospettiva storica. Perché si sa: una volta che apri il vaso di Pandora, poi può succedere di tutto. Il punto è che quel vaso non è stato Trump a scoperchiarlo. La crisi della democrazia liberale, negli Stati Uniti, viene da lontano. E i democratici ne sanno qualcosa.
Germanio, strozzatura cinese. Aumenta la domanda di navi a prova di ghiaccio. Porti, gli USA contro la Cina. Petrolio, nebbia sui dati. Terre rare, l’accordo Ue-Cina non funziona.