2024-04-09
Oggi il Def a «metà» con l’ok di Bruxelles. Dal 2025 arrivano i nuovi piani triennali
Daria Perrotta, possibile nuovo Ragioniere dello Stato (Imagoeconomica)
Il documento non conterrà dati programmatici: una decisione concordata con l’Europa ma l’opposizione fa polemica.Oggi il cdm partorirà l’ultimo Documento di economia e finanza. Dal prossimo anno entrerà in vigore la rivoluzione copernicana del nuovo Patto di stabilità. Def e relativa Nota di aggiornamento scompariranno per lasciare spazio ai piani di assestamento triennali, direttamente concordati con Bruxelles. Un cambio di passo che già in molti paragonano alle riforme calate dall’alto all’indomani dell’unità d’Italia, quando gli staterelli si trovarono ad applicare le regole di bilancio piemontesi. Tradotto, può piacere o meno, ma una volta accettato il nuovo schema, non si può tornare indietro.È buffo quindi leggere le dichiarazioni delle opposizioni o gli articoli dei grandi giornali legati al gruppo Gedi nei quali si denuncia nel testo che verrà ufficializzato oggi l’assenza dei numeri programmatici che lasceranno spazio esclusivamente ai tendenziali. «Questo è l’ultimo Def classico che conosciamo, perché poi la programmazione sarà fatta con gli atti comunitari all’esercizio del nuovo Patto di stabilità e crescita, quindi è un Def che secondo me non si discosterà molto da quelle che sono già state le previsioni che il governo ha fatto nella Nadef dello scorso inverno», ha detto ieri il sottosegretario all'Economia, Federico Freni. Ciò che il sottosegretario non ha rilevato è che per conoscere i dettagli e quindi la messa a terra del Patto di stabilità dovremo aspettare l’ultima settimana di giugno o forse addirittura la prima di luglio. Non solo, la scelta di omettere nel Def i numeri programmatici deriva da una interlocuzione proprio con la Commissione. Il Mef ha chiesto infatti nelle scorse settimane di ricevere indicazioni più precise. È stato risposto che al momento è prematuro e di procedere con uno schema generale, senza dati programmatici. Insomma, nessuno scandalo né anomalia. Non solo. Immaginiamo le reazioni di fronte a una scelta opposta. Cioè se il governo potesse decidere di partorire un Def tradizionale per poi doversi trovare ad applicare le nuove norme magari con importanti scostamenti. Saette e fulmini dall’opposizione e da tutta la componente socialista della Commissione Ue. E giù paginate e paginate pro Ue e contro il governo. Perché, va ribadito anche se l’abbiamo scritto più volte, è ovvio che, qualunque versione del Patto venga validata, avrà un impatto sulla legge finanziaria 2025. E richiederà tagli. Un conto però sono 4 miliardi, un conto 7 o addirittura 8. Nel primo caso potrebbe bastare l’eliminazione degli incentivi alle fonti non rinnovabili per coprire il taglio e, comunque, garantire il rinnovo delle coperture del cuneo fiscale e degli intervisti pro partite Iva e limatura Irpef. Nel caso degli 8 miliardi ovviamente le grane aumenterebbero. Insomma, si capirà anche perché nel frattempo pure la componente tendenziale va valutata con attenzione per via del Superbonus. Quella della settimana appena passata è stata l’ultima finestra utile per comunicare i dati alle Entrate, vista l’eliminazione della remissione in bonis prevista dal decreto di fine marzo, e ora il passaggio dall’Agenzia al ministero consente ai tecnici di via XX Settembre di ricalcolare l’impatto dei bonus sui conti pubblici. Sul deficit, ma ancora di più sul debito. Per questo serve il consuntivo sugli sconti in fattura e le cessioni dei crediti dei bonus edilizi per le spese del 2023 e per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese del 2020, 2021 e 2022. Con margine di errore possiamo però dire che, visto che nella Nadef l’indebitamento netto per il 2024 era fissato al 4,3% del Pil e il debito al 140,1%, il governo sarebbe propenso a mantenersi il più possibile in linea con quelle stime. Se così fosse, per il 2024 l’asticella del debito ondeggerebbe infatti ancora intorno al 140%. Se però, una volta conosciuto il concreto onere sull’erario delle detrazioni edilizie, i numeri dovessero distanziarsi molto da quelli di settembre, il tendenziale potrà essere ritoccato. Gli ultimi conteggi sui bonus sono quelli forniti da Freni: oltre 210 miliardi. A giugno Eurostat dovrebbe spiegare come conteggiare i crediti 2024 e quelli incagliati. Mentre, secondo le stime di Bankitalia il Pil è in crescita dello 0,6% nel 2024, dell’1% nel 2025 e dell’1,2% nel 2026. Riviste al ribasso le stime dell’inflazione che «diminuirebbe nettamente nel 2024, all’1,3%, mentre a dicembre scorso prevedeva 1,9%». L’occupazione, dopo il forte aumento del 2023, «dovrebbe continuare a crescere ma a ritmi inferiori». Ne segue che la Def attesa per oggi potrebbe indicare la crescita del Pil intorno all’1 %. Chi lavora al Mef, in questi giorni balla più del solito. Sono svolte storiche comprensibili, salvo il fatto che le novità si sommano a temi vecchi quanto la Repubblica. Cioè le nomine e cambi di incarico. Non è una novità che i rapporti tra il ministro Giancarlo Giorgetti e il Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta non siano più idilliaci. Non è da escludere che il nome del grand commis compaia nella lista dei cda che entro metà giugno dovranno essere nominati da Palazzo Chigi o dal Mef stesso. Per il suo posto si fa il nome di Renato Loiero, attuale consigliere economico di Giorgia Meloni, e di Daria Perrotta, attuale capo del legislativo di via XX Settembre. La scelta del secondo nome sarebbe però da leggere come l’avvio di un cambio di passo importante al Mef. O meglio, sarebbe indice della decisione di spostare Giorgetti a Bruxelles con l’incarico di commissario. La scelta garantirebbe alla Meloni la permanenza di Raffaele Fitto nel ruolo di sceriffo del Pnrr, fondamentale per la campagna elettorale che si terrà nel 2027. Invece, un ruolo di Giorgetti a Bruxelles aggiungerebbe un nome nella scarsa lista di candidati alla presidenza della Repubblica. Ovviamente per il dopo Mattarella.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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