2023-11-07
L’Occidente giustifica la strage in corso con categorie morali
Il fotoreporter e documentarista Giorgio Bianchi (Imagoeconomica)
L’«impero del bene», come in Ucraina, cerca una soluzione ipernazionalista. Ma stavolta questa narrazione non è valida.Uno dei principali problemi riscontrabili nella nostra società è quello dell’adolescentizzazione dell’opinione pubblica. Questioni assai complesse, spesso epocali, quali il Covid, il conflitto in Ucraina, il clima, il disastro umanitario in Palestina, vengono ridotte ai minimi termini, svuotate di qualsiasi contestualizzazione storica, sfrondate di tutti i diversi gradienti di interpretazione e presentate in maniera binaria alle masse. In un quadro, il mondo sembra essere un semplicistico luogo del bene e del male. Un approccio adulto alle questioni imporrebbe di riconoscere che tutti gli attori presenti sullo scacchiere internazionale agiscono secondo rapporti di forza. La questione morale serve esclusivamente a vendere all’opinione pubblica l’azione d’imperio dettata da logiche di potenza.In un sistema che si definisce «democratico», prima di agire di forza bisogna garantirsi il sostegno, o quantomeno la neutralità della maggioranza dell’opinione pubblica. Noi siamo i civilizzati giardinieri che si oppongono ai selvaggi abitatori della giungla, come ebbe a dire in un certo senso Borrell. Prima di qualsiasi azione occorre pertanto aprirsi la strada a colpi di propaganda: Milosevic, Saddam Hussein, Gheddafi, Putin sono i nuovi Hitler, Hamas è come l’Isis. Noi siamo gli esportatori della democrazia e dei diritti umani. Un po’ come in epoca coloniale gli occidentali si rappresentavano come civilizzatori che si opponevano ai selvaggi in preda a pulsioni animali.Ovviamente la posizione preordinata in partenza dai «padroni del discorso» viene presentata come l’unica ragionevole, scientifica, responsabile, di buonsenso e morale; l’altra viene connotata con tutte le possibili sfumature negative, lasciando esplicitamente intendere che chiunque penserà di abbracciarla rimarrà immancabilmente marchiato dagli stigmi sociali a essa associati. Se ritieni che la Russia abbia qualche ragione di preoccupazione nel tentativo di pulizia etnica ai danni dei russofoni e circa l’espansione della Nato a Est sei un «putiniano»; se sostieni che Israele stia compiendo un genocidio a Gaza sei «antisemita» e sostenitore della jihad. Ciascuno di questi attori viceversa vede la questione per quello che è, ovvero come una manifestazione di forza, così come se ne vedono da millenni. Il problema tutto contemporaneo che sono costretti di volta in volta ad affrontare è soltanto quello di far digerire al popolino il massacro dettato da motivi egemonici come una questione vitale, necessaria al raggiungimento di più alti scopi di carattere etico/morale. Le vittime innocenti divengono agli occhi delle masse il prezzo da pagare per l’ottenimento di un ordine superiore.Tutto ciò poteva anche andare bene fino a quando questo teatrino era funzionale al raggiungimento di un «ordine internazionale basato sulle regole» a guida statunitense. Ma nel momento stesso in cui il soggetto egemone si vede costretto ad abdicare all’ottenimento di tale risultato per sopraggiunta consapevolezza della sua irrealizzabilità, quelle narrazioni si trovano a poggiare sulle sabbie mobili delle contraddizioni generate dai singoli attori che si muovono in ordine sparso. In questo modo vengono lavate in un solo colpo di spugna tutte le contraddizioni del vecchio impianto e si inizia una nuova partita dialettica con presupposti nuovi e più facilmente difendibili, ovvero l’evergreen dei civilizzati contro i barbari. E i barbari per definizione sono subumani che cercano di invaderci, pertanto noi siamo legittimati a difenderci con ogni mezzo. Il massacro che si sta compiendo in questi giorni a Gaza è la rappresentazione plastica del cambio di paradigma. Secondo i parametri adottati finora per la guerra in Ucraina, quello che sta avvenendo in Palestina è semplicemente fuori scala, indifendibile, inaccettabile. Eppure c’è chi si sta coprendo di ridicolo pur di giustificarlo. Spesso contraddicendo affermazioni di fuoco pronunciate qualche mese prima. Anche le proposte avanzate per la soluzione della crisi, sono semplicemente fantascientifiche: due popoli due Stati. Altro che libro per bambini, qui siamo nel campo della fantapolitica. Chi gestirebbe le reti idriche ed elettriche? Come si dovrebbe fare con i confini vista l’assenza di continuità territoriale? I palestinesi potranno dotarsi di esercito e aviazione? Potranno detenere missili balistici? E i rifugiati all’estero potranno rientrare? Se sì dove verrebbero collocati, visto che sono milioni? Varrebbe per i palestinesi quello che è valso per anni per Israele? Nessuno di questi temi viene mai affrontato realisticamente.L’unica soluzione possibile sarebbe quella di un unico Stato con leggi uguali per tutti. Ma all’Impero piacciono gli Stati etnici, ipernazionalisti, proprio come Israele e l’Ucraina che si va delineando. Come l’«Israele curda» che ha tentato invano di istituire a cavallo di Iraq, Siria, Iran e Turchia. Amano il melting pot in Europa, ma, ove possibile, scelgono la formazione di entità statuali che ricalchino le linee di frattura etnico regionali: ex Jugoslavia docet. Divide et impera. E se non ci si riesce, allora meglio annacquare, come sta avvenendo nella vecchia Europa.