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2022-05-12
Si vola ovunque senza bavaglio, ma da noi no
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Dal 2020, l’anno peggiore di sempre, come lo ha definito la famosa copertina del Time, abbiamo la tendenza erronea di confondere, nello scrivere le date, l’anno corrente con il passato 2020. Capitava nel 2021, e continua a capitare nel 2022. Quella che ai cittadini pare solamente un’attitudine, evidentemente per il ministero della Salute è una realtà. Mentre infatti tutta Europa toglie le mascherine al chiuso, cercando di tornare celermente all’epoca pre Covid, da noi togliere il bavaglio rimane un tabù, persino nei luoghi in cui formalmente non serve più.
Un’altra riconferma di come i ritmi europei non siano paragonabili all’eccessiva premura (a tratti psicotica) italiana è la notizia che dal 16 maggio non sarà più obbligatorio indossare la mascherina sui voli all’interno dell’Unione europea. No, non è stato tolto l’obbligo di Ffp2, non servirà nemmeno quella chirurgica. Dopo aver ricordato con nostalgia i bei tempi in cui sconosciuti potevano comodamente sedersi di fianco a te, mangiando pacchi di patatine in libertà, invadendo il tuo spazio, quel tempo è tornato a essere oggi. Almeno nei voli europei.
È ciò che si legge nelle nuove linee guida sulla sicurezza dei viaggi, stilate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Aesa). Come viene sottolineato, la fine dell’obbligo di indossare il dispositivo di protezione non deve essere un pretesto per abbassare la guardia. Dalle linee guida si evince che rimane fortemente raccomandato per chi tossisce o starnutisce e che «resta una delle difese migliori contro la trasmissione di Covid-19».
I passeggeri fragili, per tutelarsi, dovrebbero continuare a «indossare una mascherina indipendentemente dalle regole, idealmente di tipo Ffp2/N95/Kn95, che offre un livello di protezione superiore rispetto a una mascherina chirurgica standard».
L’elogio della mascherina tenta di smorzare l’entusiasmo dei passeggeri dei voli che non saranno più costretti a respirare la propria CO2 per tutto il viaggio. Lo stop all’obbligo è arrivato in base agli ultimi sviluppi della pandemia, tenendo conto del numero di contagi, ospedalizzazioni e l’alta percentuale di immunità raggiunta nei Paesi europei, tra vaccinazioni e infezioni. La decisione si inserisce in un pacchetto di misure che permetteranno di alleggerire i livelli di protezione, snellendo i costi di servizio, senza nulla togliere alla sicurezza dei propri clienti. «Sebbene i rischi permangano, abbiamo visto che gli interventi e i vaccini non farmaceutici hanno permesso alle nostre vite di tornare alla normalità. Sebbene l’uso obbligatorio della mascherina in tutte le situazioni non sia più raccomandato, è importante tenere presente che, insieme al distanziamento fisico e a una buona igiene delle mani, è uno dei metodi migliori per ridurre la trasmissione», ha commentato la direttrice dell’Ecdc, Andrea Ammon.
Va precisato però che le regole sulla mascherina non saranno universali, ma cambieranno nelle varie compagnie, a seconda delle misure presenti nel Paese di provenienza dei singoli vettori. La nota emessa da Easa ed Ecdc specifica, infatti, che «i voli da o verso una destinazione in cui è ancora richiesto l’uso della mascherina sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero continuare a incoraggiare l’impiego del dispositivo, secondo le raccomandazioni». E indovinate un po’ chi ha l’obbligo di Ffp2 nei trasporti pubblici? Sì, noi italiani. Questo malizioso pensiero è stato confermato a La Verità, dall’Enac, Ente nazionale per l’aviazione civile, spiegando che «in Italia vige l’obbligo di indossare la Ffp2 a bordo degli aeromobili e quindi tale obbligo derivante da una Diposizione del ministero della Salute è prevalente. Questo significa che anche se Easa ha tolto l’obbligo, in Italia è ancora vigente al momento».
Si creeranno, dunque, situazioni al limite del ridicolo, visto che l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui vige ancora l’obbligo nei mezzi di trasporto. In un volo da Milano a Roma, con Ryanair, per esempio, nonostante la compagnia sia irlandese, e trasporti i suoi clienti in giro per l’Europa senza mascherina, i passeggeri si vedranno obbligati a tenerla. Easyjet ci ha confermato che la discriminante sarà il Paese di provenienza o di atterraggio: in caso di obbligo «locale» bisognerà indossarla, sia per andare che per tornare. Quindi nonostante la mascherina non sia necessaria in Inghilterra, i passeggeri inglesi per venire in Italia dovranno indossarla comunque. Diverso se invece dovessero volare dall’Inghilterra alla Danimarca, dove nessuno dovrebbe obbligatoriamente indossarla. In base a queste misure europee, la Francia ha fatto sapere che farà decadere l’obbligo. Noi invece rimaniamo al 2020. Forse respirare troppa anidride carbonica non ci ha fatto bene.
Mascherine, Speranza non spiega come mai non sa se servano o no
Al ministero della Salute, qualcuno sa perché le mascherine sono utili? Non per convinzioni personali, ma perché è in possesso di studi scientifici? L’interrogativo rimane aperto, dopo il silenzio seguito allo scoop di Fuori dal coro. Come ha segnalato La Verità, durante la trasmissione condotta da Mario Giordano su Rete 4, due giorni fa è stata mostrata la risposta fornita dal direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Giovanni Rezza, a una richiesta di documentazione che attesti «l’utilità del dispositivo» in classe «senza avere ripercussioni sulla salute psicofisica» dei minori di 6 anni.
Lettera inviata da un importante studio legale di Firenze, ma agli avvocati l’epidemiologo e accademico ha detto che no, non conosce rischi e benefici. «Questa amministrazione, per quanto di competenza non è in possesso della specifica documentazione richiesta», è stata la stupefacente risposta protocollata, a firma di Rezza.
Dal ministero, ieri, sarebbe dovuto arrivare un comunicato stampa, che avrebbe chiarito la ragione di una così manifesta incompetenza dichiarata ai piani alti, però nulla è stato diramato da viale Giorgio Ribotta e neppure da Lungotevere Ripa, dove ha gli uffici Roberto Speranza. Unica indiscrezione, una fonte autorevole ha cercato di scaricare responsabilità sul Comitato tecnico scientifico, il solo che avrebbe autorità di valutare e decidere in tema di misure sanitarie.
La direzione generale e il ministero si limiterebbero ad applicare gli orientamenti suggeriti. Una versione che non regge, perché comunque Speranza e i suoi tecnici hanno accesso agli atti e non possono dire di non avere documentazione su rischi e benefici delle mascherine, così come di ogni altra misura che è stata applicata. Giovanni Rezza, inoltre, faceva parte del nuovo Cts, modificato con l’ordinanza del 17 marzo 2021, e se il Comitato si riuniva per valutare studi e ricerche, sarà pure saltato fuori qualche lavoro scientifico giudicato autorevole, illuminante per imporre le mascherine anche ai piccoletti in classe. A meno che non si invochi il segreto militare pure sui dati che dimostrerebbero l’efficacia dei dpi nel proteggere dal contagio, come ulteriore affossamento di ogni diritto alla trasparenza delle decisioni prese sulla nostra salute di cittadini.
C’è un’altra questione poi, di grande importanza. Il Cts è decaduto, con la fine dello stato di emergenza cessato il 31 marzo scorso, quindi chi risponde adesso di scelte che sono state prese «senza documentazione», come asserisce il direttore generale Giovanni Rezza? Ma soprattutto, su quali basi verranno prese prossime, eventuali misure di proroga dell’obbligo di mascherine al chiuso?
A scuola, in cinema, teatri, sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero rimanere solo fino al 15 giugno, ma se nel frattempo cambia il quadro epidemiologico o dovesse avanzare una nuova variante, sicuramente scatteranno provvedimenti restrittivi. Sempre al buio, cioè senza supporto scientifico?
È vero che il ministro Speranza ha già messo le mani avanti, attribuendosi ulteriori ambiti decisionali «al fine di rafforzare l’efficienza operativa delle proprie strutture per garantire le azioni di supporto nel contrasto alle pandemie». Metterà insieme un contingente, che dal prossimo 1 ottobre sarà composto da sei dirigenti e una cinquantina di persone con ruolo non dirigenziale, alle quali garantirà un contratto a tempo indeterminato. Il tutto con una copertura finanziaria di 760.837 euro per l’anno in corso, ma che salirà a 3.043.347 euro l’anno a partire dal 2023. Dal 31 dicembre tutte le funzioni passeranno al ministero della Salute, ma nel frattempo è urgente sapere quali sono gli esperti che decideranno sulla nostra pelle che cosa è o meno utile, mostrando su quali studi fondano le valutazioni di rischi e benefici.
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L’Europa toglie l’obbligo di protezioni sugli aerei in tutta l’Unione a partire da lunedì prossimo. Resteranno raccomandate soltanto «per i fragili e per chi tossisce». L’Italia però farà eccezione sia nelle tratte interne, sia in quelle internazionali.Silenzio del ministero della Salute sullo scoop di «Fuori dal coro». Scaricabarile sul Cts, già chiuso.Lo speciale contiene due articoli.Dal 2020, l’anno peggiore di sempre, come lo ha definito la famosa copertina del Time, abbiamo la tendenza erronea di confondere, nello scrivere le date, l’anno corrente con il passato 2020. Capitava nel 2021, e continua a capitare nel 2022. Quella che ai cittadini pare solamente un’attitudine, evidentemente per il ministero della Salute è una realtà. Mentre infatti tutta Europa toglie le mascherine al chiuso, cercando di tornare celermente all’epoca pre Covid, da noi togliere il bavaglio rimane un tabù, persino nei luoghi in cui formalmente non serve più. Un’altra riconferma di come i ritmi europei non siano paragonabili all’eccessiva premura (a tratti psicotica) italiana è la notizia che dal 16 maggio non sarà più obbligatorio indossare la mascherina sui voli all’interno dell’Unione europea. No, non è stato tolto l’obbligo di Ffp2, non servirà nemmeno quella chirurgica. Dopo aver ricordato con nostalgia i bei tempi in cui sconosciuti potevano comodamente sedersi di fianco a te, mangiando pacchi di patatine in libertà, invadendo il tuo spazio, quel tempo è tornato a essere oggi. Almeno nei voli europei. È ciò che si legge nelle nuove linee guida sulla sicurezza dei viaggi, stilate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Aesa). Come viene sottolineato, la fine dell’obbligo di indossare il dispositivo di protezione non deve essere un pretesto per abbassare la guardia. Dalle linee guida si evince che rimane fortemente raccomandato per chi tossisce o starnutisce e che «resta una delle difese migliori contro la trasmissione di Covid-19».I passeggeri fragili, per tutelarsi, dovrebbero continuare a «indossare una mascherina indipendentemente dalle regole, idealmente di tipo Ffp2/N95/Kn95, che offre un livello di protezione superiore rispetto a una mascherina chirurgica standard».L’elogio della mascherina tenta di smorzare l’entusiasmo dei passeggeri dei voli che non saranno più costretti a respirare la propria CO2 per tutto il viaggio. Lo stop all’obbligo è arrivato in base agli ultimi sviluppi della pandemia, tenendo conto del numero di contagi, ospedalizzazioni e l’alta percentuale di immunità raggiunta nei Paesi europei, tra vaccinazioni e infezioni. La decisione si inserisce in un pacchetto di misure che permetteranno di alleggerire i livelli di protezione, snellendo i costi di servizio, senza nulla togliere alla sicurezza dei propri clienti. «Sebbene i rischi permangano, abbiamo visto che gli interventi e i vaccini non farmaceutici hanno permesso alle nostre vite di tornare alla normalità. Sebbene l’uso obbligatorio della mascherina in tutte le situazioni non sia più raccomandato, è importante tenere presente che, insieme al distanziamento fisico e a una buona igiene delle mani, è uno dei metodi migliori per ridurre la trasmissione», ha commentato la direttrice dell’Ecdc, Andrea Ammon. Va precisato però che le regole sulla mascherina non saranno universali, ma cambieranno nelle varie compagnie, a seconda delle misure presenti nel Paese di provenienza dei singoli vettori. La nota emessa da Easa ed Ecdc specifica, infatti, che «i voli da o verso una destinazione in cui è ancora richiesto l’uso della mascherina sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero continuare a incoraggiare l’impiego del dispositivo, secondo le raccomandazioni». E indovinate un po’ chi ha l’obbligo di Ffp2 nei trasporti pubblici? Sì, noi italiani. Questo malizioso pensiero è stato confermato a La Verità, dall’Enac, Ente nazionale per l’aviazione civile, spiegando che «in Italia vige l’obbligo di indossare la Ffp2 a bordo degli aeromobili e quindi tale obbligo derivante da una Diposizione del ministero della Salute è prevalente. Questo significa che anche se Easa ha tolto l’obbligo, in Italia è ancora vigente al momento».Si creeranno, dunque, situazioni al limite del ridicolo, visto che l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui vige ancora l’obbligo nei mezzi di trasporto. In un volo da Milano a Roma, con Ryanair, per esempio, nonostante la compagnia sia irlandese, e trasporti i suoi clienti in giro per l’Europa senza mascherina, i passeggeri si vedranno obbligati a tenerla. Easyjet ci ha confermato che la discriminante sarà il Paese di provenienza o di atterraggio: in caso di obbligo «locale» bisognerà indossarla, sia per andare che per tornare. Quindi nonostante la mascherina non sia necessaria in Inghilterra, i passeggeri inglesi per venire in Italia dovranno indossarla comunque. Diverso se invece dovessero volare dall’Inghilterra alla Danimarca, dove nessuno dovrebbe obbligatoriamente indossarla. In base a queste misure europee, la Francia ha fatto sapere che farà decadere l’obbligo. Noi invece rimaniamo al 2020. 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Come ha segnalato La Verità, durante la trasmissione condotta da Mario Giordano su Rete 4, due giorni fa è stata mostrata la risposta fornita dal direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Giovanni Rezza, a una richiesta di documentazione che attesti «l’utilità del dispositivo» in classe «senza avere ripercussioni sulla salute psicofisica» dei minori di 6 anni. Lettera inviata da un importante studio legale di Firenze, ma agli avvocati l’epidemiologo e accademico ha detto che no, non conosce rischi e benefici. «Questa amministrazione, per quanto di competenza non è in possesso della specifica documentazione richiesta», è stata la stupefacente risposta protocollata, a firma di Rezza. Dal ministero, ieri, sarebbe dovuto arrivare un comunicato stampa, che avrebbe chiarito la ragione di una così manifesta incompetenza dichiarata ai piani alti, però nulla è stato diramato da viale Giorgio Ribotta e neppure da Lungotevere Ripa, dove ha gli uffici Roberto Speranza. Unica indiscrezione, una fonte autorevole ha cercato di scaricare responsabilità sul Comitato tecnico scientifico, il solo che avrebbe autorità di valutare e decidere in tema di misure sanitarie. La direzione generale e il ministero si limiterebbero ad applicare gli orientamenti suggeriti. Una versione che non regge, perché comunque Speranza e i suoi tecnici hanno accesso agli atti e non possono dire di non avere documentazione su rischi e benefici delle mascherine, così come di ogni altra misura che è stata applicata. Giovanni Rezza, inoltre, faceva parte del nuovo Cts, modificato con l’ordinanza del 17 marzo 2021, e se il Comitato si riuniva per valutare studi e ricerche, sarà pure saltato fuori qualche lavoro scientifico giudicato autorevole, illuminante per imporre le mascherine anche ai piccoletti in classe. A meno che non si invochi il segreto militare pure sui dati che dimostrerebbero l’efficacia dei dpi nel proteggere dal contagio, come ulteriore affossamento di ogni diritto alla trasparenza delle decisioni prese sulla nostra salute di cittadini. C’è un’altra questione poi, di grande importanza. Il Cts è decaduto, con la fine dello stato di emergenza cessato il 31 marzo scorso, quindi chi risponde adesso di scelte che sono state prese «senza documentazione», come asserisce il direttore generale Giovanni Rezza? Ma soprattutto, su quali basi verranno prese prossime, eventuali misure di proroga dell’obbligo di mascherine al chiuso? A scuola, in cinema, teatri, sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero rimanere solo fino al 15 giugno, ma se nel frattempo cambia il quadro epidemiologico o dovesse avanzare una nuova variante, sicuramente scatteranno provvedimenti restrittivi. Sempre al buio, cioè senza supporto scientifico? È vero che il ministro Speranza ha già messo le mani avanti, attribuendosi ulteriori ambiti decisionali «al fine di rafforzare l’efficienza operativa delle proprie strutture per garantire le azioni di supporto nel contrasto alle pandemie». Metterà insieme un contingente, che dal prossimo 1 ottobre sarà composto da sei dirigenti e una cinquantina di persone con ruolo non dirigenziale, alle quali garantirà un contratto a tempo indeterminato. Il tutto con una copertura finanziaria di 760.837 euro per l’anno in corso, ma che salirà a 3.043.347 euro l’anno a partire dal 2023. Dal 31 dicembre tutte le funzioni passeranno al ministero della Salute, ma nel frattempo è urgente sapere quali sono gli esperti che decideranno sulla nostra pelle che cosa è o meno utile, mostrando su quali studi fondano le valutazioni di rischi e benefici.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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