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2022-05-12
Si vola ovunque senza bavaglio, ma da noi no
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Dal 2020, l’anno peggiore di sempre, come lo ha definito la famosa copertina del Time, abbiamo la tendenza erronea di confondere, nello scrivere le date, l’anno corrente con il passato 2020. Capitava nel 2021, e continua a capitare nel 2022. Quella che ai cittadini pare solamente un’attitudine, evidentemente per il ministero della Salute è una realtà. Mentre infatti tutta Europa toglie le mascherine al chiuso, cercando di tornare celermente all’epoca pre Covid, da noi togliere il bavaglio rimane un tabù, persino nei luoghi in cui formalmente non serve più.
Un’altra riconferma di come i ritmi europei non siano paragonabili all’eccessiva premura (a tratti psicotica) italiana è la notizia che dal 16 maggio non sarà più obbligatorio indossare la mascherina sui voli all’interno dell’Unione europea. No, non è stato tolto l’obbligo di Ffp2, non servirà nemmeno quella chirurgica. Dopo aver ricordato con nostalgia i bei tempi in cui sconosciuti potevano comodamente sedersi di fianco a te, mangiando pacchi di patatine in libertà, invadendo il tuo spazio, quel tempo è tornato a essere oggi. Almeno nei voli europei.
È ciò che si legge nelle nuove linee guida sulla sicurezza dei viaggi, stilate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Aesa). Come viene sottolineato, la fine dell’obbligo di indossare il dispositivo di protezione non deve essere un pretesto per abbassare la guardia. Dalle linee guida si evince che rimane fortemente raccomandato per chi tossisce o starnutisce e che «resta una delle difese migliori contro la trasmissione di Covid-19».
I passeggeri fragili, per tutelarsi, dovrebbero continuare a «indossare una mascherina indipendentemente dalle regole, idealmente di tipo Ffp2/N95/Kn95, che offre un livello di protezione superiore rispetto a una mascherina chirurgica standard».
L’elogio della mascherina tenta di smorzare l’entusiasmo dei passeggeri dei voli che non saranno più costretti a respirare la propria CO2 per tutto il viaggio. Lo stop all’obbligo è arrivato in base agli ultimi sviluppi della pandemia, tenendo conto del numero di contagi, ospedalizzazioni e l’alta percentuale di immunità raggiunta nei Paesi europei, tra vaccinazioni e infezioni. La decisione si inserisce in un pacchetto di misure che permetteranno di alleggerire i livelli di protezione, snellendo i costi di servizio, senza nulla togliere alla sicurezza dei propri clienti. «Sebbene i rischi permangano, abbiamo visto che gli interventi e i vaccini non farmaceutici hanno permesso alle nostre vite di tornare alla normalità. Sebbene l’uso obbligatorio della mascherina in tutte le situazioni non sia più raccomandato, è importante tenere presente che, insieme al distanziamento fisico e a una buona igiene delle mani, è uno dei metodi migliori per ridurre la trasmissione», ha commentato la direttrice dell’Ecdc, Andrea Ammon.
Va precisato però che le regole sulla mascherina non saranno universali, ma cambieranno nelle varie compagnie, a seconda delle misure presenti nel Paese di provenienza dei singoli vettori. La nota emessa da Easa ed Ecdc specifica, infatti, che «i voli da o verso una destinazione in cui è ancora richiesto l’uso della mascherina sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero continuare a incoraggiare l’impiego del dispositivo, secondo le raccomandazioni». E indovinate un po’ chi ha l’obbligo di Ffp2 nei trasporti pubblici? Sì, noi italiani. Questo malizioso pensiero è stato confermato a La Verità, dall’Enac, Ente nazionale per l’aviazione civile, spiegando che «in Italia vige l’obbligo di indossare la Ffp2 a bordo degli aeromobili e quindi tale obbligo derivante da una Diposizione del ministero della Salute è prevalente. Questo significa che anche se Easa ha tolto l’obbligo, in Italia è ancora vigente al momento».
Si creeranno, dunque, situazioni al limite del ridicolo, visto che l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui vige ancora l’obbligo nei mezzi di trasporto. In un volo da Milano a Roma, con Ryanair, per esempio, nonostante la compagnia sia irlandese, e trasporti i suoi clienti in giro per l’Europa senza mascherina, i passeggeri si vedranno obbligati a tenerla. Easyjet ci ha confermato che la discriminante sarà il Paese di provenienza o di atterraggio: in caso di obbligo «locale» bisognerà indossarla, sia per andare che per tornare. Quindi nonostante la mascherina non sia necessaria in Inghilterra, i passeggeri inglesi per venire in Italia dovranno indossarla comunque. Diverso se invece dovessero volare dall’Inghilterra alla Danimarca, dove nessuno dovrebbe obbligatoriamente indossarla. In base a queste misure europee, la Francia ha fatto sapere che farà decadere l’obbligo. Noi invece rimaniamo al 2020. Forse respirare troppa anidride carbonica non ci ha fatto bene.
Mascherine, Speranza non spiega come mai non sa se servano o no
Al ministero della Salute, qualcuno sa perché le mascherine sono utili? Non per convinzioni personali, ma perché è in possesso di studi scientifici? L’interrogativo rimane aperto, dopo il silenzio seguito allo scoop di Fuori dal coro. Come ha segnalato La Verità, durante la trasmissione condotta da Mario Giordano su Rete 4, due giorni fa è stata mostrata la risposta fornita dal direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Giovanni Rezza, a una richiesta di documentazione che attesti «l’utilità del dispositivo» in classe «senza avere ripercussioni sulla salute psicofisica» dei minori di 6 anni.
Lettera inviata da un importante studio legale di Firenze, ma agli avvocati l’epidemiologo e accademico ha detto che no, non conosce rischi e benefici. «Questa amministrazione, per quanto di competenza non è in possesso della specifica documentazione richiesta», è stata la stupefacente risposta protocollata, a firma di Rezza.
Dal ministero, ieri, sarebbe dovuto arrivare un comunicato stampa, che avrebbe chiarito la ragione di una così manifesta incompetenza dichiarata ai piani alti, però nulla è stato diramato da viale Giorgio Ribotta e neppure da Lungotevere Ripa, dove ha gli uffici Roberto Speranza. Unica indiscrezione, una fonte autorevole ha cercato di scaricare responsabilità sul Comitato tecnico scientifico, il solo che avrebbe autorità di valutare e decidere in tema di misure sanitarie.
La direzione generale e il ministero si limiterebbero ad applicare gli orientamenti suggeriti. Una versione che non regge, perché comunque Speranza e i suoi tecnici hanno accesso agli atti e non possono dire di non avere documentazione su rischi e benefici delle mascherine, così come di ogni altra misura che è stata applicata. Giovanni Rezza, inoltre, faceva parte del nuovo Cts, modificato con l’ordinanza del 17 marzo 2021, e se il Comitato si riuniva per valutare studi e ricerche, sarà pure saltato fuori qualche lavoro scientifico giudicato autorevole, illuminante per imporre le mascherine anche ai piccoletti in classe. A meno che non si invochi il segreto militare pure sui dati che dimostrerebbero l’efficacia dei dpi nel proteggere dal contagio, come ulteriore affossamento di ogni diritto alla trasparenza delle decisioni prese sulla nostra salute di cittadini.
C’è un’altra questione poi, di grande importanza. Il Cts è decaduto, con la fine dello stato di emergenza cessato il 31 marzo scorso, quindi chi risponde adesso di scelte che sono state prese «senza documentazione», come asserisce il direttore generale Giovanni Rezza? Ma soprattutto, su quali basi verranno prese prossime, eventuali misure di proroga dell’obbligo di mascherine al chiuso?
A scuola, in cinema, teatri, sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero rimanere solo fino al 15 giugno, ma se nel frattempo cambia il quadro epidemiologico o dovesse avanzare una nuova variante, sicuramente scatteranno provvedimenti restrittivi. Sempre al buio, cioè senza supporto scientifico?
È vero che il ministro Speranza ha già messo le mani avanti, attribuendosi ulteriori ambiti decisionali «al fine di rafforzare l’efficienza operativa delle proprie strutture per garantire le azioni di supporto nel contrasto alle pandemie». Metterà insieme un contingente, che dal prossimo 1 ottobre sarà composto da sei dirigenti e una cinquantina di persone con ruolo non dirigenziale, alle quali garantirà un contratto a tempo indeterminato. Il tutto con una copertura finanziaria di 760.837 euro per l’anno in corso, ma che salirà a 3.043.347 euro l’anno a partire dal 2023. Dal 31 dicembre tutte le funzioni passeranno al ministero della Salute, ma nel frattempo è urgente sapere quali sono gli esperti che decideranno sulla nostra pelle che cosa è o meno utile, mostrando su quali studi fondano le valutazioni di rischi e benefici.
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L’Europa toglie l’obbligo di protezioni sugli aerei in tutta l’Unione a partire da lunedì prossimo. Resteranno raccomandate soltanto «per i fragili e per chi tossisce». L’Italia però farà eccezione sia nelle tratte interne, sia in quelle internazionali.Silenzio del ministero della Salute sullo scoop di «Fuori dal coro». Scaricabarile sul Cts, già chiuso.Lo speciale contiene due articoli.Dal 2020, l’anno peggiore di sempre, come lo ha definito la famosa copertina del Time, abbiamo la tendenza erronea di confondere, nello scrivere le date, l’anno corrente con il passato 2020. Capitava nel 2021, e continua a capitare nel 2022. Quella che ai cittadini pare solamente un’attitudine, evidentemente per il ministero della Salute è una realtà. Mentre infatti tutta Europa toglie le mascherine al chiuso, cercando di tornare celermente all’epoca pre Covid, da noi togliere il bavaglio rimane un tabù, persino nei luoghi in cui formalmente non serve più. Un’altra riconferma di come i ritmi europei non siano paragonabili all’eccessiva premura (a tratti psicotica) italiana è la notizia che dal 16 maggio non sarà più obbligatorio indossare la mascherina sui voli all’interno dell’Unione europea. No, non è stato tolto l’obbligo di Ffp2, non servirà nemmeno quella chirurgica. Dopo aver ricordato con nostalgia i bei tempi in cui sconosciuti potevano comodamente sedersi di fianco a te, mangiando pacchi di patatine in libertà, invadendo il tuo spazio, quel tempo è tornato a essere oggi. Almeno nei voli europei. È ciò che si legge nelle nuove linee guida sulla sicurezza dei viaggi, stilate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Aesa). Come viene sottolineato, la fine dell’obbligo di indossare il dispositivo di protezione non deve essere un pretesto per abbassare la guardia. Dalle linee guida si evince che rimane fortemente raccomandato per chi tossisce o starnutisce e che «resta una delle difese migliori contro la trasmissione di Covid-19».I passeggeri fragili, per tutelarsi, dovrebbero continuare a «indossare una mascherina indipendentemente dalle regole, idealmente di tipo Ffp2/N95/Kn95, che offre un livello di protezione superiore rispetto a una mascherina chirurgica standard».L’elogio della mascherina tenta di smorzare l’entusiasmo dei passeggeri dei voli che non saranno più costretti a respirare la propria CO2 per tutto il viaggio. Lo stop all’obbligo è arrivato in base agli ultimi sviluppi della pandemia, tenendo conto del numero di contagi, ospedalizzazioni e l’alta percentuale di immunità raggiunta nei Paesi europei, tra vaccinazioni e infezioni. La decisione si inserisce in un pacchetto di misure che permetteranno di alleggerire i livelli di protezione, snellendo i costi di servizio, senza nulla togliere alla sicurezza dei propri clienti. «Sebbene i rischi permangano, abbiamo visto che gli interventi e i vaccini non farmaceutici hanno permesso alle nostre vite di tornare alla normalità. Sebbene l’uso obbligatorio della mascherina in tutte le situazioni non sia più raccomandato, è importante tenere presente che, insieme al distanziamento fisico e a una buona igiene delle mani, è uno dei metodi migliori per ridurre la trasmissione», ha commentato la direttrice dell’Ecdc, Andrea Ammon. Va precisato però che le regole sulla mascherina non saranno universali, ma cambieranno nelle varie compagnie, a seconda delle misure presenti nel Paese di provenienza dei singoli vettori. La nota emessa da Easa ed Ecdc specifica, infatti, che «i voli da o verso una destinazione in cui è ancora richiesto l’uso della mascherina sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero continuare a incoraggiare l’impiego del dispositivo, secondo le raccomandazioni». E indovinate un po’ chi ha l’obbligo di Ffp2 nei trasporti pubblici? Sì, noi italiani. Questo malizioso pensiero è stato confermato a La Verità, dall’Enac, Ente nazionale per l’aviazione civile, spiegando che «in Italia vige l’obbligo di indossare la Ffp2 a bordo degli aeromobili e quindi tale obbligo derivante da una Diposizione del ministero della Salute è prevalente. Questo significa che anche se Easa ha tolto l’obbligo, in Italia è ancora vigente al momento».Si creeranno, dunque, situazioni al limite del ridicolo, visto che l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui vige ancora l’obbligo nei mezzi di trasporto. In un volo da Milano a Roma, con Ryanair, per esempio, nonostante la compagnia sia irlandese, e trasporti i suoi clienti in giro per l’Europa senza mascherina, i passeggeri si vedranno obbligati a tenerla. Easyjet ci ha confermato che la discriminante sarà il Paese di provenienza o di atterraggio: in caso di obbligo «locale» bisognerà indossarla, sia per andare che per tornare. Quindi nonostante la mascherina non sia necessaria in Inghilterra, i passeggeri inglesi per venire in Italia dovranno indossarla comunque. Diverso se invece dovessero volare dall’Inghilterra alla Danimarca, dove nessuno dovrebbe obbligatoriamente indossarla. In base a queste misure europee, la Francia ha fatto sapere che farà decadere l’obbligo. Noi invece rimaniamo al 2020. Forse respirare troppa anidride carbonica non ci ha fatto bene.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/obbligo-mascherina-aereo-italia-2657305062.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mascherine-speranza-non-spiega-come-mai-non-sa-se-servano-o-no" data-post-id="2657305062" data-published-at="1652302884" data-use-pagination="False"> Mascherine, Speranza non spiega come mai non sa se servano o no Al ministero della Salute, qualcuno sa perché le mascherine sono utili? Non per convinzioni personali, ma perché è in possesso di studi scientifici? L’interrogativo rimane aperto, dopo il silenzio seguito allo scoop di Fuori dal coro. Come ha segnalato La Verità, durante la trasmissione condotta da Mario Giordano su Rete 4, due giorni fa è stata mostrata la risposta fornita dal direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Giovanni Rezza, a una richiesta di documentazione che attesti «l’utilità del dispositivo» in classe «senza avere ripercussioni sulla salute psicofisica» dei minori di 6 anni. Lettera inviata da un importante studio legale di Firenze, ma agli avvocati l’epidemiologo e accademico ha detto che no, non conosce rischi e benefici. «Questa amministrazione, per quanto di competenza non è in possesso della specifica documentazione richiesta», è stata la stupefacente risposta protocollata, a firma di Rezza. Dal ministero, ieri, sarebbe dovuto arrivare un comunicato stampa, che avrebbe chiarito la ragione di una così manifesta incompetenza dichiarata ai piani alti, però nulla è stato diramato da viale Giorgio Ribotta e neppure da Lungotevere Ripa, dove ha gli uffici Roberto Speranza. Unica indiscrezione, una fonte autorevole ha cercato di scaricare responsabilità sul Comitato tecnico scientifico, il solo che avrebbe autorità di valutare e decidere in tema di misure sanitarie. La direzione generale e il ministero si limiterebbero ad applicare gli orientamenti suggeriti. Una versione che non regge, perché comunque Speranza e i suoi tecnici hanno accesso agli atti e non possono dire di non avere documentazione su rischi e benefici delle mascherine, così come di ogni altra misura che è stata applicata. Giovanni Rezza, inoltre, faceva parte del nuovo Cts, modificato con l’ordinanza del 17 marzo 2021, e se il Comitato si riuniva per valutare studi e ricerche, sarà pure saltato fuori qualche lavoro scientifico giudicato autorevole, illuminante per imporre le mascherine anche ai piccoletti in classe. A meno che non si invochi il segreto militare pure sui dati che dimostrerebbero l’efficacia dei dpi nel proteggere dal contagio, come ulteriore affossamento di ogni diritto alla trasparenza delle decisioni prese sulla nostra salute di cittadini. C’è un’altra questione poi, di grande importanza. Il Cts è decaduto, con la fine dello stato di emergenza cessato il 31 marzo scorso, quindi chi risponde adesso di scelte che sono state prese «senza documentazione», come asserisce il direttore generale Giovanni Rezza? Ma soprattutto, su quali basi verranno prese prossime, eventuali misure di proroga dell’obbligo di mascherine al chiuso? A scuola, in cinema, teatri, sui mezzi di trasporto pubblico dovrebbero rimanere solo fino al 15 giugno, ma se nel frattempo cambia il quadro epidemiologico o dovesse avanzare una nuova variante, sicuramente scatteranno provvedimenti restrittivi. Sempre al buio, cioè senza supporto scientifico? È vero che il ministro Speranza ha già messo le mani avanti, attribuendosi ulteriori ambiti decisionali «al fine di rafforzare l’efficienza operativa delle proprie strutture per garantire le azioni di supporto nel contrasto alle pandemie». Metterà insieme un contingente, che dal prossimo 1 ottobre sarà composto da sei dirigenti e una cinquantina di persone con ruolo non dirigenziale, alle quali garantirà un contratto a tempo indeterminato. Il tutto con una copertura finanziaria di 760.837 euro per l’anno in corso, ma che salirà a 3.043.347 euro l’anno a partire dal 2023. Dal 31 dicembre tutte le funzioni passeranno al ministero della Salute, ma nel frattempo è urgente sapere quali sono gli esperti che decideranno sulla nostra pelle che cosa è o meno utile, mostrando su quali studi fondano le valutazioni di rischi e benefici.
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.