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2023-02-16
«La disciplina è il tuo destino»: a proposito di uno strano revival dello stoicismo
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Zenone di Cizio, testa in marmo del Museo Archeologico di Napoli (Getty Images)
Ce lo ricordiamo dal liceo: lo stoicismo fa parte di quelle filosofie tipiche del periodo ellenistico, in cui la dimensione della polis, della partecipazione del singolo al destino collettivo, si offusca e in primo piano si presentano le esigenze dell'individuo. Ecco quindi fiorire tutta una serie di correnti filosofiche centrate sul benessere psicofisico della persona, nonché sulla sua intangibilità rispetto alle istanze del mondo esterno, potere politico compreso. In questo senso, non stupisce il recente revival stoico che sembra verificarsi nel mondo della cultura: se lo stoicismo è dottrina per periodi di decadenza e ripiego su di sé dell'individuo, la nostra epoca sembra decisamente fornire l'humus ideale. Ne ha parlato recentemente Neil Durrant, della Macquarie University, con un articolo comparso su Scroll.in.
Tra i testi della nuova Stoà mania, ci sono Reasons not to worry: how to be stoic in chaotic times, della giornalista australiana Brigid Delaney, Discipline is Destiny: the power of self control, dell'ex dirigente del marketing per American Apparel, Ryan Holiday, e anche How to Be a Stoic: Using Ancient Philosophy to Live a Modern Life dell'italiano, ma accademico a New York, Massimo Pigliucci, quest'ultimo tradotto anche nella nostra lingua per Garzanti. L'approccio di questi testi, va detto, è un po' quello – molto anglosassone – dei corsi di auto miglioramento, che non di rado attingono a sapienze ancestrali rilette (spesso superficialmente) come guide per la contemporaneità, sullo stile dei libri tipo Bushido per aspiranti manager di successo e cose simili. Holiday, per esempio, gestisce una pagina Instagram di grande successo chiamata dailystoic.
La prima cosa che colpisce, tuttavia, è che il tono generale che emanano questi testi ha più di un aspetto in controtendenza rispetto alle linee generali del pensiero dominante. Pensiamo solo all'effetto che fa un titolo come Discipline is Destiny. Dopo anni di discorsi sulla personalità liquida, a un certo punto la disciplina torna di moda. Non «accettati come sei», ma «migliorati», «domina te stesso», «datti una forma». Dopo anni di letture (peraltro superficiali) di Michel Foucault, con l’aggettivo «disciplinare» utilizzato come connotazione negativa rispetto a qualsiasi struttura di potere, un titolo così netto colpisce.
Durrant, che descrive il fenomeno con notevoli perplessità, illustra inoltre un altro aspetto potenzialmente dissonante rispetto allo spirito del tempo: l’indifferenza verso la sensibilità altrui. Una vera blasfemia per l’ideologia woke, che si basa tutta sulla definizione di sensibilità da non offendere. Scrive Durrant: «Sono in disaccordo con l'argomentazione secondo cui se qualcuno si sente ferito da qualcosa che ho fatto o detto, il problema è in realtà nella sua testa, piuttosto che nelle mie azioni. Se capovolgo le prospettive, non potrei semplicemente dire che sono libero di fare quello che voglio e se le persone si sentono ferite, beh, è colpa loro? Quindi in che senso sono obbligato a comportarmi bene con gli altri?».
Non tutte le critiche di Durrant sono tuttavia figlie di preoccupazioni politicamente corrette. Esistono infatti aspetti intrinsecamente problematici in una certa ricezione acritica dello stoicismo. Un possibile messaggio «stoico» potrebbe per esempio essere letto come: «Non ribellarti, ma sopporta, impara a soffrire». A ben vedere, un messaggio che qualsiasi oligarchia si sentirebbe di sottoscrivere per i propri sudditi. Lo stoicismo ci invita a non cambiare il mondo, ma a cambiare noi stessi. Ed è un’indicazione che può essere pericolosa. Come dice Durrant, c’è il rischio che questo neo stoicismo «militi contro l'attivismo, promuovendo l'accettazione di tutto ciò che è al di fuori del nostro controllo diretto». E, anzi, c’è il rischio che il singolo che soffre perché patisce un’ingiustizia venga colpevolizzato: se subisci un sopruso e stai male, la colpa è tua, significa che non sai essere abbastanza forte, non ti sei autiodisciplinato abbastanza. Certo, rispetto alla «cultura del piagnisteo» onnipresente, imparare non frignare sarebbe già un passo avanti. il rischio, tuttavia, è di finire con l’accettare «stoicamente» qualsiasi abuso.
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In America, e non solo, la lezione di Zenone sta diventando una guida per affrontare le asprezze del mondo moderno. Una tendenza interessante, ma non priva di pericoli.Ce lo ricordiamo dal liceo: lo stoicismo fa parte di quelle filosofie tipiche del periodo ellenistico, in cui la dimensione della polis, della partecipazione del singolo al destino collettivo, si offusca e in primo piano si presentano le esigenze dell'individuo. Ecco quindi fiorire tutta una serie di correnti filosofiche centrate sul benessere psicofisico della persona, nonché sulla sua intangibilità rispetto alle istanze del mondo esterno, potere politico compreso. In questo senso, non stupisce il recente revival stoico che sembra verificarsi nel mondo della cultura: se lo stoicismo è dottrina per periodi di decadenza e ripiego su di sé dell'individuo, la nostra epoca sembra decisamente fornire l'humus ideale. Ne ha parlato recentemente Neil Durrant, della Macquarie University, con un articolo comparso su Scroll.in. Tra i testi della nuova Stoà mania, ci sono Reasons not to worry: how to be stoic in chaotic times, della giornalista australiana Brigid Delaney, Discipline is Destiny: the power of self control, dell'ex dirigente del marketing per American Apparel, Ryan Holiday, e anche How to Be a Stoic: Using Ancient Philosophy to Live a Modern Life dell'italiano, ma accademico a New York, Massimo Pigliucci, quest'ultimo tradotto anche nella nostra lingua per Garzanti. L'approccio di questi testi, va detto, è un po' quello – molto anglosassone – dei corsi di auto miglioramento, che non di rado attingono a sapienze ancestrali rilette (spesso superficialmente) come guide per la contemporaneità, sullo stile dei libri tipo Bushido per aspiranti manager di successo e cose simili. Holiday, per esempio, gestisce una pagina Instagram di grande successo chiamata dailystoic. La prima cosa che colpisce, tuttavia, è che il tono generale che emanano questi testi ha più di un aspetto in controtendenza rispetto alle linee generali del pensiero dominante. Pensiamo solo all'effetto che fa un titolo come Discipline is Destiny. Dopo anni di discorsi sulla personalità liquida, a un certo punto la disciplina torna di moda. Non «accettati come sei», ma «migliorati», «domina te stesso», «datti una forma». Dopo anni di letture (peraltro superficiali) di Michel Foucault, con l’aggettivo «disciplinare» utilizzato come connotazione negativa rispetto a qualsiasi struttura di potere, un titolo così netto colpisce. Durrant, che descrive il fenomeno con notevoli perplessità, illustra inoltre un altro aspetto potenzialmente dissonante rispetto allo spirito del tempo: l’indifferenza verso la sensibilità altrui. Una vera blasfemia per l’ideologia woke, che si basa tutta sulla definizione di sensibilità da non offendere. Scrive Durrant: «Sono in disaccordo con l'argomentazione secondo cui se qualcuno si sente ferito da qualcosa che ho fatto o detto, il problema è in realtà nella sua testa, piuttosto che nelle mie azioni. Se capovolgo le prospettive, non potrei semplicemente dire che sono libero di fare quello che voglio e se le persone si sentono ferite, beh, è colpa loro? Quindi in che senso sono obbligato a comportarmi bene con gli altri?».Non tutte le critiche di Durrant sono tuttavia figlie di preoccupazioni politicamente corrette. Esistono infatti aspetti intrinsecamente problematici in una certa ricezione acritica dello stoicismo. Un possibile messaggio «stoico» potrebbe per esempio essere letto come: «Non ribellarti, ma sopporta, impara a soffrire». A ben vedere, un messaggio che qualsiasi oligarchia si sentirebbe di sottoscrivere per i propri sudditi. Lo stoicismo ci invita a non cambiare il mondo, ma a cambiare noi stessi. Ed è un’indicazione che può essere pericolosa. Come dice Durrant, c’è il rischio che questo neo stoicismo «militi contro l'attivismo, promuovendo l'accettazione di tutto ciò che è al di fuori del nostro controllo diretto». E, anzi, c’è il rischio che il singolo che soffre perché patisce un’ingiustizia venga colpevolizzato: se subisci un sopruso e stai male, la colpa è tua, significa che non sai essere abbastanza forte, non ti sei autiodisciplinato abbastanza. Certo, rispetto alla «cultura del piagnisteo» onnipresente, imparare non frignare sarebbe già un passo avanti. il rischio, tuttavia, è di finire con l’accettare «stoicamente» qualsiasi abuso.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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