2025-01-09
Nel nuovo filmato sulla morte di Ramy non ci sono prove contro i carabinieri
Le immagini diffuse da La7 e «Tg3» non chiariscono la dinamica della tragedia al Corvetto. Per l’avvocato Massimiliano Strampelli (diritto militare), l’inseguimento «è legittimo, così come il comportamento tenuto dalle pattuglie».«Se i carabinieri hanno intimato di fermarsi e i due in motorino non si sono fermati, l’inseguimento che ne è scaturito è pienamente legittimo, secondo il nostro ordinamento penale. Di certo non bastava che prendessero la targa del mezzo che stava fuggendo». L’avvocato Massimiliano Strampelli è tra le voci più autorevoli in ambito militare. Docente di diritto militare all’Università degli Studi Link, come legale ha seguito diversi casi dell’Arma e spiega alla Verità il suo punto di vista su quanto accaduto la notte del 24 novembre a Milano, quando uno scooter guidato da Fares Bouzidi con a bordo Ramy Elgaml fu inseguito per 8 chilometri dalle vie del centro fino alla periferia. Alla fine Ramy ha perso la vita, sbalzato a terra all’angolo tra via Ripamonti e via Quaranta. Il guidatore è risultato poi positivo al thc (principio attivo della cannabis), ma è soprattutto stata la condotta di guida di Bouzidi a portare i carabinieri a un inseguimento estenuante, con fasi anche molto concitate, come hanno dimostrato i video usciti nelle ultime settimane. Va, comunque, ricordato che, al di fuori del caso specifico, per i carabinieri non esistono «regole di ingaggio»: «I militari hanno il dovere di perseguire reati a norma del codice di procedura penale e la condotta di chi non si ferma all’intimazione di alt ponendo in essere una condotta pericolosa per i militari o per i terzi per il modo di guidare costituisce reato di resistenza a pubblico ufficiale per giurisprudenza di cassazione pacifica», aggiunge Strampelli.«Dopo un inseguimento di decine di minuti con quelle modalità, anzi, avrebbero dovuto procedere all’arresto, seppure facoltativo. L’unico limite in astratto, non travalicato, era l’uso delle armi. Ora saranno le indagini della Procura a stabilire la verità. Certo è che non si può pretendere in un contesto operativo che i militari non usino una necessaria, seppure proporzionata, azione anche pericolosa di guida», precisa il docente della Link. Ieri in Procura si ragionava sull’ipotesi di omicidio con dolo eventuale nel caso da contestare ad uno o più carabinieri. Ma, a quanto risulta alla Verità, la Procura di Milano avrebbe già escluso di contestare al carabiniere alla guida l’accusa di omicidio volontario come invece sostengono i legali dei familiari di Ramy. Al momento l’ipotesi di reato contestata al vicebrigadiere che guidava la Giulietta dell’Arma è omicidio stradale in concorso. Altri due militari sono indagati per favoreggiamento e depistaggio per le relazioni successive all’incidente mortale, in seguito al presunto tentativo di cancellazione di un video girato da un testimone sul luogo dell’incidente.Sarà, in ogni caso, la perizia commissionata dalla Procura all’ingegner Domenico Romaniello a stabilire se c’è stato un eccesso o meno nelle fasi dell’inseguimento. E, soprattutto, se c’è stata la volontarietà di farli cadere. Sarà depositata entro la fine del mese. Di certo, un contatto tra i due mezzi c’è stato, come dimostrano le strisciate su motorino e auto dei carabinieri. Nell’ultimo video pubblicato ieri da La7 e dal Tg3 si possono vedere altri dettagli dei venti minuti della fuga lungo il tragitto di otto chilometri. I due sono inseguiti da un’auto dei carabinieri del Nucleo radiomobile, identificata come «Volpe 40», con a bordo un vicebrigadiere e un carabiniere scelto. Una seconda auto dell’Arma, «Volpe 60», segue l’inseguimento a distanza. Come detto, il momento dell’incidente che si rivelerà mortale si verifica all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta. Nelle immagini, durante le fasi concitate dell’inseguimento, si sentono frasi come «vaff... non è caduto» o «chiudilo, chiudilo… no, mer… non è caduto».In ogni caso, quando si vede il primo impatto (quello in cui il motorino resta comunque in piedi) si nota che i carabinieri frenano per evitarlo. Alla fine del video si vede che l’auto affianca la moto, che può girare a sinistra, ma invece va dritta forse perché ha perso il controllo del mezzo. La prima telecamera mostra i fari della macchina dei carabinieri che procede contromano, mentre più avanti si scorge lo scooter. All’altezza dell’incrocio, entrambi i mezzi svoltano a velocità sostenuta. Non è chiaro se l’impatto sia accidentale. Bouzidi aveva sostenuto, nel suo interrogatorio di fronte al gip, che «non c’era» stato «nessun alt» da parte dei militari dell’Arma: «Mi sono spaventato perché non ho la patente. Durante la fuga io speravo di fermarmi o rallentare così che Rami scendesse». E aveva anche detto di essere stato spinto da dietro.Debora Piazza, l’avvocato che difende Bouzidi, chiede l’accusa di omicidio volontario e dice: «Il video e gli audio che si possono sentire sono veramente agghiaccianti e lo dico non solo come avvocato difensore di Fares, ma anche come cittadino. Fermarli a tutti i costi, indipendentemente dalle conseguenze. E questo è proprio inaccettabile in uno Stato di diritto come dovrebbe essere il nostro». Ma, secondo Strampelli, «il comportamento dei carabinieri è pienamente legittimo. Anche perché, durante la fuga dei due in scooter, è stata messa a repentaglio l’incolumità pubblica. Durante la guida in contromano potevano essere investite delle persone, tanto più se il guidatore era in uno stato alterato. Non solo. I carabinieri non potevano sapere se chi era a bordo del veicolo non aveva armi o droga. C’è stata una resistenza a pubblico ufficiale che sarebbe stata evitata se i due ragazzi si fossero fermati semplicemente all’alt da parte delle forze dell’ordine».Ora la palla passa al perito, poi sarà la Procura a decidere come procedere.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)