2024-09-20
«Non ci siamo salvati grazie al vaccino. La scienza è ostaggio di denaro e politica»
L’ematologo Paolo Bellavite presenta il suo ultimo libro: «La pressione di Big pharma sui singoli medici è diventata insostenibile».Non ci ha salvati il vaccino: questa considerazione, cui giunge chiunque osservi con realismo e onestà intellettuale i quattro anni di gestione del Covid, dà il titolo al recente libro di Paolo Bellavite, medico specialista in ematologia e già professore di patologia generale all’università di Verona, che da ricercatore libero da pressioni ha seguito passo dopo passo, con razionalità scientifica, gli eventi e le decisioni di politica sanitaria del periodo pandemico, giungendo - assieme ai colleghi della commissione medico scientifica indipendente - a conclusioni parecchio diverse rispetto alla vulgata ufficiale sul tema.Il testo, che fa parte della collana I libri della Bussola. Sapere per capire (edizioni La nuova bussola quotidiana), raccoglie una serie di interventi pubblicate da Bellavite tra il 2020 e il 2023, e fotografa in ordine cronologico una impressionante sequela di sbagli, male pratiche, distorsioni e bugie, tracciando un quadro che offre preziose indicazioni ad autorità politiche (a partire dalla commissione parlamentare di inchiesta sul Covid), sanitarie e agli stessi cittadini. Dalle versioni sull’origine del virus, alla mancanza delle terapie, dalle misure per arginare i contagi, all’efficacia dei vaccini, nei suoi scritti ci si imbatte in errori e menzogne che sono state acriticamente rilanciate dai mass media, difese dalle massime istituzioni - dall’ex premier Mario Draghi, al presidente della Repubblica, alla Corte costituzionale - e accettati da quasi tutti i partiti. Sono stati frutto della fretta o c’è dell’altro?«C’è dell’altro: in primis una prevalenza della politica e dell’ideologia sulla scienza. Quando scrivevo gli articoli che ora compongono il libro, mi sono sempre basato sulle conoscenze scientifiche del momento, che sono state poi confermate dai fatti. Il primo articolo, che risale ad aprile 2020, si intitolava proprio “La salvezza non viene dal vaccino”; eravamo in pieno lockdown, il ministro Roberto Speranza aveva dichiarato che sarebbe proseguito fino all’arrivo del vaccino e il suo vice ventilava obblighi vaccinali: per me era un chiaro segno dell’ingerenza della politica sulla scienza. Quando poi i vaccini arrivarono, furono presentati come salvifici, ignorando il fatto che in ambito scientifico circolavano grossi dubbi sulla loro capacità di fermare i contagi e anzi attaccando medici e scienziati che osavano dissentire».Quali lezioni si dovrebbero ricavare dall’excursus storico del suo libro?«Dal punto di vista medico osservo che questi prodotti sono stati concepiti e sviluppati in maniera rocambolesca e raffazzonata. Oggi sappiamo che sono molto più dannosi dei vaccini tradizionali e che dopo un parziale e temporaneo successo su certe categorie - anziani e fragili - c’è stata una progressiva perdita di efficacia e poi addirittura una sua inversione, rendendo necessari continui richiami; un altro problema è stato l’insufficienza della farmacovigilanza. Purtroppo, la mancanza di consapevolezza del fallimento dell’approccio biogenetico ai vaccini dimostrata della maggioranza della classe medica e dei giornalisti, fa capire che c’è ancora molto da imparare. Quanto alla politica si è arroccata in una difesa d’ufficio con il sostegno della magistratura, al punto che anche i responsabili dei peggiori errori - come la regola “Tachipirina e vigile attesa”, che ha causato una enorme mortalità - non hanno ancora ammesso di avere sbagliato e cambiato rotta».La notizia che questi prodotti biogenetici sono più pericolosi dei normali vaccini è scomparsa dal mainstream, tanto che la loro produzione continua: ne vedremo altri?«Questo è un grande business per le case farmaceutiche, che vi si sono buttate come le api sul miele, anche se ritengo improbabile una loro diffusione in tempi brevi, come nei primi due anni dell’anti Covid: possono tirarla finché vogliono ma in realtà l’efficacia millantata non c’è; piuttosto ci sono i grossi problemi evidenziati dai numeri, ad esempio quelli sulla mortalità per tutte le cause. Nella popolazione serpeggia la consapevolezza crescente di essere stata ingannata e portata a vaccinarsi senza un motivo. Resta da capire perché i mezzi di comunicazione non ne parlino e perché ci sia una censura sugli effetti avversi, ammessi perfino nei rapporti dell’Aifa».Lei che idea si è fatto sui motivi di questo silenzio?«A impedire di prendere atto del fallimento ci sono sicuramente interessi economici e forse anche problemi psicologici: le persone che ci sono cascate preferiscono non pensarci. Un ruolo lo giocano anche il “vaccinismo”, ideologia che ha sostituito la vaccinologia e fa prevalere l’interesse pubblico su quello della persona e l’idea menzognera che stimolare il sistema immunitario sia sempre una cosa buona, quando invece sappiamo che molte delle malattie del mondo moderno sono dovute a un eccesso di autoimmunità, su cui proprio questi vaccini vanno a impattare, peggiorando la situazione».Da questa esperienza come esce la classe medica?«La figura del medico è in crisi da decenni, da quando l’università ha preteso di farne un piccolo scienziato, riempiendolo di nozioni e dimenticando l’aspetto umano della professione. Così, mentre il sistema ospedaliero ancora tiene, la medicina di base è un disastro, mancando l’ars medica e prevalendo l’idea che bisogna seguire “lascienza”, che poi è quella delle virostar o delle case farmaceutiche. Il Covid ha evidenziato una totale incapacità di affrontare le problematiche, sia dal punto di vista della cura dei pazienti che della prevenzione, appiattitasi sui vaccini. A questo si aggiunge un disdicevole conflitto di interessi, visto che i medici - pediatri inclusi - sono pagati anche in base al numero di vaccini che somministrano. Oggi l’influenza delle case farmaceutiche pesa sulla operatività di ogni singolo medico. Pochi hanno il coraggio di dire “io non ci sto”».Il conflitto di interessi più macroscopico è quello dell’Organizzazione mondiale della sanità, ampiamente foraggiata da privati. Cosa dobbiamo aspettarci da questa istituzione?«Posto che le decisioni dell’Oms sono fortemente vincolate ai voleri dei finanziatori, tra i quali figurano i produttori dei vaccini, è ovvio che ci sarà una pressione a vaccinare sempre di più. L’ossessione per l’antipolio si spiega in questo modo. L’Oms è un enorme carrozzone, profumatamente pagato per fare proclami e statistiche, ma nella pratica difficilmente riesce a determinare delle politiche sanitarie, sebbene ora punti al controllo globale attraverso la minaccia di nuove pandemie. Questo perché è parte di quel disegno di un “nuovo ordine mondiale” promosso da Klaus Schwab e supportato dalla stessa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen».Da cattolico, come pensa si sia comportata la Chiesa nella vicenda Covid?«Distinguerei tra le gerarchie - in particolare il Vaticano - e il popolo di Dio: le prime si sono rapidamente adeguate alle direttive del governo, sia quanto alla chiusura delle chiese che ai vaccini, nonostante i provvedimenti puntassero a dividere la popolazione in “buoni” e “cattivi” sulla base della loro obbedienza. Ora, la divisione è tipico segno del maligno e le gerarchie avrebbero potuto dare semmai un messaggio pacificante e di unità fraterna. D’altra parte, il popolo di Dio si è mosso, dando vita, assieme a tante persone di buona volontà, a iniziative di resilienza, aiuto reciproco e analisi critica (penso ad esempio al lavoro dell’Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa). Sono molti i cattolici che hanno reagito, anche sostenendo spiritualmente le persone danneggiate dai vaccini ma dimenticate dalle autorità: certamente, in questo, sono stati ispirati dall’invito di San Paolo a non conformarsi alla mentalità di questo mondo e dalle parole del Signore: “la verità vi farà liberi”».
Jeffrey Epstein e Donald Trump (Ansa)
L'ad di SIMEST Regina Corradini D'Arienzo
La società del Gruppo Cdp rafforza il proprio impegno sui temi Esg e conferma anche la certificazione sulla parità di genere per il 2025.
SIMEST, la società del Gruppo Cassa depositi e prestiti che sostiene l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha ottenuto l’attestazione internazionale Human Resource Management Diversity and Inclusion – ISO 30415, riconoscimento che certifica l’impegno dell’azienda nella promozione di un ambiente di lavoro fondato sui principi di diversità, equità e inclusione.
Il riconoscimento, rilasciato da Bureau Veritas Italia, arriva al termine di un percorso volto a integrare i valori DE&I nei processi aziendali e nella cultura organizzativa. La valutazione ha riguardato l’intera gestione delle risorse umane — dal reclutamento alla formazione — includendo aspetti come benessere, accessibilità, pari opportunità e trasparenza nei percorsi di crescita. Sono stati inoltre esaminati altri ambiti, tra cui la gestione degli acquisti, l’erogazione dei servizi e la relazione con gli stakeholder.
L’attestazione ISO 30415 rappresenta un passo ulteriore nel percorso di sostenibilità e responsabilità sociale di SIMEST, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite, in particolare quelli relativi alla parità di genere e alla promozione di condizioni di lavoro eque e dignitose.
A questo traguardo si affianca la conferma, anche per il 2025, della certificazione UNI/PdR 125:2022, che attesta l’efficacia delle politiche aziendali in tema di parità di genere, con riferimento a governance, crescita professionale, equilibrio vita-lavoro e tutela della genitorialità.
Valeria Borrelli, direttrice Persone e organizzazione di SIMEST, ha dichiarato: «Crediamo fortemente che le persone siano la nostra più grande risorsa e che la pluralità di esperienze e competenze sia la chiave per generare valore e innovazione. Questi riconoscimenti confermano l’impegno quotidiano della nostra comunità aziendale nel promuovere un ambiente inclusivo, rispettoso e aperto alle diversità. Ma il nostro percorso non si ferma: continueremo a coltivare una cultura fondata sull’ascolto e sull’apertura, affinché ciascuno possa contribuire alla crescita dell’organizzazione con la propria unicità».
Con questo risultato, SIMEST consolida il proprio posizionamento tra le aziende italiane più attive sui temi Esg, confermando una strategia orientata a una cultura del lavoro sostenibile, equa e inclusiva.
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