2020-11-10
Francesco Galietti: «Non finisce qui. The Donald potrebbe lanciare Mike Pompeo»
Mike Pompeo (J.Lo Scalzo/Getty Images)
L'analista: «Il destino del presidente sarà deciso in queste settimane, ma il trumpismo resta in eredità ai repubblicani».Francesco Galietti (PolicySonar), analista di rischio politico, ha accettato di delineare con La Verità alcuni scenari post elezioni Usa, immaginando riflessi e conseguenze, rispetto ai principali dossier economici e geopolitici, sia per gli Stati Uniti sia per il resto del mondo. La conversazione avviene nel pieno di una contesa politica incerta e durissima, destinata a diventare contenzioso anche legale, e quindi occorre ragionare per scenari e ipotesi. Partiamo dall'ipotesi più probabile, e cioè che Joe Biden giurerà da presidente il 20 gennaio prossimo. Se però non avesse il Senato dalla sua (per effetto di un'eventuale maggioranza ancora repubblicana o di una situazione alla pari) e la stessa prevalenza dem presso l'altro ramo del Parlamento fosse ridimensionata, quale sarebbe il quadro? «Sul versante interno, adesso tutto è ancora rovente, ma occorrerà per prima cosa che i toni si plachino, altrimenti sarà compromessa l'unità del Paese. Da anni, molto è giocato sulla polarizzazione di elettorati molto radicalizzati, tendenza che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli senza precedenti, determinando un rischio di spaccatura verticale sia nel Paese sia nelle istituzioni».Ma se la situazione parlamentare fosse quella, l'ala più oltranzista dei dem dovrebbe rinunciare alla sua agenda più incendiaria, tipo il desiderio di abolire i tagli di tasse di Trump e dare la mazzata finale alle fonti fossili?«Se fosse così, penso che i democratici dovrebbero archiviare ipotesi di questo tipo. L'idea di una vittoria facile e piena che consentisse loro il ripristino dello status quo e permettesse di considerare Trump una parentesi da chiudere o un incidente della storia sarebbe a quel punto un'ipotesi lontana».Se Biden fosse in salute e in pieno vigore psicofisico, potremmo quasi dire che quella situazione gli potrebbe dare un «leverage» rispetto alla parte più estremista dei suoi supporter, stimolando il suo istinto di vecchio politico capace di mediare.«Direi di sì. Una situazione in bilico, un equilibrio delicato, spezzerebbe le ali ai più radicali, alle Ocasio-Cortez della situazione. Se volessero governare, anche queste componenti dovrebbero mettersi in scia ai “concertatori" più centristi. Altrimenti, ma è un'ipotesi che non voglio considerare, nell'impossibilità di trovare un equilibrio interno, qualcuno potrebbe andare in cerca di un nemico esterno…».Ciò che è stato fatto a Donald Trump non fa onore né ai democratici né all'establishment Usa in genere. Stop and go sospetti nei conteggi, opacità del voto postale, aggressioni mediatiche, censure sui canali social… Nonostante tutto questo, la sua performance elettorale è stata notevolissima.«C'è da chiedersi cosa resterà della sua figura, se vorrà ancora calcare la scena da protagonista assoluto o no. In caso positivo, darebbe corpo a una sorta di “secondo papa". Certo, dal “patriziato" Usa, non solo da quello di marca democratica, gli è giunto un messaggio di odio assoluto».Trump è stato capace di attrarre in modo accresciuto rispetto al 2016 anche le minoranze etniche, salendo molto nel voto latino e afroamericano. Da questo punto di vista, si può dire che gli immigrati regolari che lavorano o che hanno un'impresa hanno a loro volta abbracciato un'agenda repubblicana e antitasse?«Non solo: questo tipo di dinamica elettorale smentisce il cliché di un Trump razzista o cose simili. Il suo elettorato, invece, è variegato, e include immigrati ben integrati i quali non si riconoscono affatto in Black lives matter, e anzi considerano quel tipo di militanti alla stregua di sfasciavetrine. Questa realtà è dunque ben lontana da una certa retorica secondo cui Trump sarebbe stato e sarebbe solo un autocrate in grado di generare mostri».Allister Heath, il brillantissimo direttore del Sunday Telegraph, ha sottolineato che il conflitto elettorale è stato più «di classe» che «di razza», nel senso che i dem hanno il sostegno di ceti medio alti, urbani, ad alta scolarizzazione, che pretenderebbero di dettare l'agenda morale e non solo politica agli altri, i quali ovviamente non ci stanno più.«Condivido, e si tratta di una tendenza che i liberal nel mondo hanno messo in atto da tempo. Una volta erano più attenti ai temi sociali, oggi quasi solo a quelli civili, lasciando spiazzati quei segmenti di elettorato che invece hanno esigenze sociali reali. Mark Lilla, un uomo di sinistra, ha ben descritto gli eccessi opposti di due fronti: di quei liberal che pensano quasi solo a sessualità fluida e diritti gender, e di un pensiero conservatore che scivola verso esiti reazionari».Trump ha subìto per quattro anni un trattamento come se fosse stato un usurpatore. I media contro, i giganti social contro, tutti contro… Ma li ha davvero destabilizzati al punto da creare una simile isteria? «Non ha mai accettato di parlare secondo una semantica preconfezionata, o di leggere dallo spartito mainstream. In un sistema in cui il plesso mediatico è pressoché totalmente legato ai liberal, gli attacchi sono divenuti ossessivi. A maggior ragione da parte di chi lo ricordava anticamente amico dei Clinton e ora lo vede quasi come un demone».Che farà adesso Trump? Il capo dell'opposizione per ricandidarsi in proprio, oppure il tessitore per una candidatura repubblicana a lui gradita nel 2024?«Molto dipenderà dalla piega che prenderanno le prossime settimane. Se scatterà un meccanismo di riconciliazione, lui stesso potrà guardare con serenità alla sua eredità e tirare la volata a chi nel mondo repubblicano non vorrà disconoscerla, e io penso in primo luogo a Mike Pompeo. Se invece ci sarà il tentativo di distruggere questa sua eredità, allora resterà in campo e farà il “papa alternativo", il “papa rosso"».Ha rimodellato il partito repubblicano a sua immagine. E ora il Gop non può fare a meno del suo apporto e della sua impronta combattiva. Potrà riuscire ai repubblicani di ritrovare il mix tra questa connessione emotiva di Trump con gli elettori e il supporto di un pezzo di establishment, che stavolta è mancato?«Difficile da dire. La vera ragione per cui Trump ha potuto incidere così profondamente è che il partito era per alcuni versi in macerie, lanciato solo verso onorevoli sconfitte con candidature alla Mc Cain».Appunto, per anni si era parlato di ragioni demografiche ed etniche che avrebbero reso strutturalmente minoritario il Gop. Ma ora proprio la coalizione con latinos e afroamericani messa in piedi da Trump è la dimostrazione che tutto non è così scontato, anzi.«Proprio per questo guardo con attenzione e fiducia a figure come Pompeo. Potrebbe valorizzare l'eredità migliore del trumpismo, riconciliandosi con il “patriziato"». Intanto, l'establishment europeo già festeggia, convinto che si ricominci con i vecchi merletti e la relazione privilegiata con i progressisti Usa. Eppure, linguaggio a parte, pure Obama era infastidito per l'avarizia europea rispetto alla Nato, e parlò degli europei come free rider, cioè praticamente come scrocconi.«A ogni debutto si registrano sogni e aspettative, e c'è chi, da questo lato dell'Atlantico, già sogna di intonare i soliti inni all'internazionalismo e al multilateralismo. Poi però ci sono le esigenze del mondo reale… Leggo di un'Ue che sogna quello che chiama il “grande reset", che invoca l'autonomia strategica europea: ma dubito che la Francia voglia totalmente lasciare lo scettro alla Germania. E in più, invece di un superstato europeo, ci sono tracce di tendenze centrifughe, starei per dire più verso il “sottostato" che verso il “sovrastato". La stessa vicenda Covid, retorica a parte, non ha manifestato alcuna coscienza collettiva europea: semmai è prevalso l'“ognun per sé", anche con una discreta tendenza allo scaricabarile verso i livelli regionali interni a ciascun Paese».I tedeschi sembrano disposti al dialogo ma pretendono molto, forse troppo…«Pretendono moltissimo, e non si rendono conto di avere anche loro significative spinte centrifughe, penso ai bavaresi. La Germania chiede molto e offre assai meno. Dice di voler rinunciare al rapporto privilegiato con Russia e Cina, ma molti non le credono. È difficile, per storia e geografia, immaginare una Germania davvero separata dall'Eurasia».E passiamo al fattore decisivo anche di questa vicenda, cioè la Cina. Senza virus cinese, Trump sarebbe stato rieletto in carrozza… Qualcuno dice che il vero vincitore delle elezioni Usa sia Xi Jinping.«No, non credo, e nemmeno personalizzerei. Ha giocato un fattore imponderabile. Per il resto, Cina e Usa erano da tempo in rotta di collisione. Si faceva finta di non vederlo, ma era solo questione di tempo. Non sono nemmeno sicuro che Trump, all'inizio, volesse lo scontro con la Cina: semmai ricordo un Trump che mostrava il suo nipotino capace di dire qualche parola in cinese, avendo una nanny cinese. Trump è un agnostico, non condizionato da paletti moralistici».Biden rispetto alla Cina si muove tra la necessità di apparire duro e gli impicci cinesi di suo figlio, in termini di business…«Non penso che cambierà molto, per le ragioni che dicevo. L'agenda del deep state è ormai condivisa: la Cina si dichiara in competizione con gli Usa per la primazia globale, e questo è un fatto che non può più essere negato e impone una risposta americana. Aggiungiamo che i dem hanno la dimensione morale e moralistica sui diritti (pensiamo alle campagne del New York Times) che nell'agnosticismo trumpiano non c'era, e quindi un confronto severo con Pechino è abbastanza inevitabile».E la Russia, in tutto questo? Lo scorso weekend ci sono state anche speculazioni sulle condizioni di salute di Vladimir Putin.«Questa è un'evocazione che torna di tanto in tanto. Si tratta di interpretare il dibattito forse sotteso a queste illazioni: la Russia guarderà a Oriente o a Occidente? Per ora - per così dire - è stata a Oriente sognando l'Occidente. Nell'establishment russo ci sono due spinte opposte, i filoccidentali e gli euroasiatisti. Si tratta di capire quale riflesso prevarrà a Mosca».
Jose Mourinho (Getty Images)