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2022-08-07
Noi, rovinati dai vaccini. Ora vi chiediamo verità
iStock
Le reazioni avverse al vaccino sono più numerose dei dati ufficiali. E hanno distrutto la vita di tante persone che hanno perso salute e lavoro, e ora non riescono a sbarcare il lunario. Dimenticati anche dallo Stato che ha reso l’iniezione obbligatoria. Come dimostrano queste drammatiche storie.
«Mi sento intrappolato in un corpo che non è il mio. Sono costretto a vivere una vita che non mi appartiene». Questo è il filo che unisce le storie di chi, dopo essersi sottoposto alla vaccinazione contro il Covid, ha sviluppato degli effetti avversi. Una puntura e ti risvegli privato della salute, della forza fisica e mentale per affrontare le giornate, lavoro compreso. E così oltre al danno, quello evidente che ha colpito il corpo, se ne crea anche un altro: quello lavorativo. Spesso i danneggiati mentre lottano per guarire cercando medici in grado di curarli, perdono anche la loro occupazione e di conseguenza, lo stipendio. Si innesca una spirale negativa in cui tutta la vita viene distrutta pezzo dopo pezzo, nella più totale indifferenza e solitudine, perché quello del vaccino è un meccanismo troppo perfetto che non ammette che qualcosa possa andar storto. Eppure qualcosa è sfuggito al controllo, l’ingranaggio si è inceppato, ci sono persone che da oltre un anno hanno smesso di vivere realmente.
Francesco Schenone: «Vertigini e tachicardia. A 28 anni non ho un futuro»

Francesco Schenone
«La mia era una vita normalissima, a 27 anni pensi di avere tutto il tempo che vuoi per realizzare qualsiasi cosa, ora invece non riesco neanche a immaginare come sarà il futuro». Francesco Schenone ora ha 28 anni, sono passati più di 12 mesi da quell’unica dose di vaccino che gli ha portato via tutto. «Sono sempre stato super attivo, ho iniziato a lavorare a 18 anni perché volevo avere la capacità economica di conquistare le mie cose da solo. Facevo il fruttivendolo e allo stesso tempo suonavo la batteria in una band, i soldi guadagnati li investivo per studiare musica a Milano».
Francesco è di Recco (Genova). Il 4 giugno dello scorso decise di vaccinarsi in un Open day, quelle giornate aperte a tutti, anche a chi non aveva ancora l’età per accedere alla vaccinazione, quando ancora i vaccini erano pochi e si dava precedenza alle fasce d’età più a rischio. «Mi sono immunizzato prima dei miei coetanei perché mio papà è un soggetto fragile, volevo proteggerlo. Credevo davvero nel vaccino, pensavo fosse la soluzione per poter uscire dall’incubo della pandemia, invece sono sprofondato io in un incubo senza via d’uscita».
È bastata una sola dose: Francesco già dopo poche ore ha iniziato ad avere strani spasmi muscolari. Pensava passassero, ma non è stato così. Dopo tre giorni doveva suonare con la sua band, ma il braccio non rispondeva, e così non ha potuto esibirsi. Intanto hanno iniziato a manifestarsi altri disturbi: acufeni, vertigini e una strana tachicardia. «Per un po’ ho continuato a lavorare, stringevo i denti, cercavo di resistere, non volevo accettare quello che mi stava succedendo. Intanto continuavo a fare visite specialistiche. Dopo un mese e mezzo, però, ho smesso di lavorare, non ero più in grado. C’erano momenti in cui avevo una tachicardia fortissima e poi venivo travolto dalle vertigini, così forti da non riuscire a stare in piedi». Dopo tutti gli esami, a Schenone è stata diagnosticata una pericardite post-vaccino e la Pots, una patologia neurologica che colpisce il cuore e causa proprio quelle vertigini così invalidanti che lo hanno costretto ad abbandonare tutte le sue attività, lavoro compreso.
«Ho 28 anni e non so se sarò più capace di lavorare, non so se potrò più riprendere a suonare la batteria, se sarò in grado di ricominciare a studiare musica, dovendo arrivare fino a Milano. Ora tutto mi sembra difficile, ho perso completamente la mia spensieratezza. Mi manca poter uscire di casa senza avere la paura di stare male».
Giovanna Viotto: «Volevo tutelare i pazienti, ma nessuno ha protetto me»

Giovanni Viotto
«Il mio è stato un vero e proprio calvario. Accanto alla disperazione di non capire che cosa stesse succedendo al mio corpo, c’era anche quella di cercare un modo per sostenere me e mia figlia. Mi sono sentita abbandonata, sono tutt’oggi completamente abbandonata, eppure la mia unica colpa è stata vaccinarmi». Ha le lacrime agli occhi Giovanna Viotto, 53 anni, di Biella, mentre ripensa a tutto quello che ha passato. Una figlia adolescente da mantenere e la possibilità di lavorare cancellata così, di netto, con un colpo di spugna.
«Sono un’operatrice sociosanitaria, accudisco i malati. Ho sempre lavorato in ospedale e a domicilio, mi sono vaccinata perché mi è stato detto che serviva a protegge i pazienti, e quindi non mi sono tirata indietro. Peccato che nessuno abbia protetto me». Il danno da vaccino si è manifestato subito dopo la prima dose. Ha iniziato ad avere dei forti dolori muscolari in tutto il corpo, dopo tre giorni non riusciva a camminare bene. E poi dopo dieci giorni è arrivata la paralisi totale.
«Stavo pranzando con mia figlia, a un certo punto non sono più riuscita a muovere gli arti. Le gambe immobili, le braccia sono cadute lungo il corpo, il collo si è irrigidito portando la mia testa all’indietro. Ero terrorizzata. Imprigionata in un contenitore che non rispondeva ai miei comandi. Sono state le ore più lunghe della mia vita, respiravo, ero cosciente, ma completamente bloccata». Dopo tre ore e mezzo e una siringa di cortisone e antistaminico, Giovanna ha ricominciato a muoversi. Ma il giorno dopo ha avuto un’altra paralisi. È stata portata in ospedale ed è iniziata la solita trafila tra esami e risonanze.
«Non ho camminato per sei mesi, e ovviamente ho perso il lavoro, ma oltre al danno, la beffa. Quando ho iniziato a star meglio, mi è stato detto che non avrei potuto più fare l’oss nonostante l’esenzione. Per accudire i malati ci vuole il ciclo completo vaccinale con tanto di terza dose, io mi sono fermata alla prima».
E così Giovanna a 53 anni ha dovuto reiventarsi, ha fatto la cameriera, l’aiuto cuoco, le pulizie, ma ogni volta è stata licenziata per le troppe assenze. La sua salute non è più quella di prima, gli è stata diagnosticata anche la pericardite post-vaccino. «Non so davvero come poter uscire da questa situazione, vorrei solo che qualcuno mi aiutasse. Io non ho scelto di stare male e neanche di non poter più fare il lavoro che ho sempre fatto. Ho solo ascoltato la scienza e mi sono vaccinata».
Michele Pavan: «È come se la pelle bruciasse e presto sarò disoccupato»

Michele Pavan
«È stata una cosa devastante, avevo crisi respiratorie, fitte al cuore, spilli in tutto il corpo come se la mia pelle andasse a fuoco. Mi sentivo come se pesassi cinque quintali. Non avrei mai potuto immaginare una cosa simile, eppure faccio l’infermiere, ho lavorato in ospedale per più di vent’anni». Michele Pavan, 45 anni, di Cittadella (Padova) ci accoglie mostrando le mani. «È passato più di un anno dalla prima dose che mi ha rovinato la vita. Guardate il mignolo», dice, «continua ad avere spasmi involontari. Dal 31 maggio 2021 i miei arti si contraggono senza che possa farci nulla».
Michele lavorava nel reparto di psichiatria, anche lui avendo una sola dose non può più tornare alla sua vecchia mansione, e così deve cercare di reinventarsi, mettersi in gioco in una nuova attività, nonostante ormai non sia più quello di prima. «Ho iniziato a star male poco dopo l’iniezione, ho subito avvertito un forte dolore alla testa e mi sono mancate le forze. Avevo paura di fare il vaccino perché sono allergico ad alcuni farmaci, ma mi sono dovuto vaccinare comunque. Quando vai nel centro vaccinale agli operatori non interessa chi sei e cosa ti potrebbe succedere, l’importante è che tu ti faccia fare l’iniezione. Io ho assolto al mio dovere civico, ma ora perché vengo punito per questo?».
È in attesa che una commissione si riunisca per cambiargli il ruolo, non potendo più stare a contatto con i pazienti, dovrebbe andare in amministrazione, ma sembra che non sarà così. «Dopo la malattia mi hanno messo in ferie d’ufficio, la mia ultima busta paga è stata di 330 euro, ormai non ho neanche più i soldi per comprarmi le medicine. Questo sistema, oltre che avermi abbandonato, mi ha portato alla fame, mi ha tolto la dignità. Io prima del vaccino vivevo del mio lavoro, non ho mai chiesto nulla a nessuno, e adesso? Sono in attesa di questa decisione, ma il medico del lavoro mi ha già detto che sarò licenziato».
Gli hanno diagnosticato un long Covid da vaccino, che dopo 14 mesi non smette di tormentarlo e per questo Michele deve continuare a sottoporsi a visite specialistiche. «In pratica sono stato danneggiato dal Covid, pur non avendolo preso. Ormai i soldi sono finiti, ho prosciugato tutti i risparmi. Nessuno si interessa alla tua vita, anche se è stata completamente stravolta all’improvviso. Da un giorno all’altro ti ritrovi malato, non sai cosa fare e non c’è nessuno che ti aiuta. Ti ritrovi in una strada senza via d’uscita e per di più se ne parli, non vieni creduto, anzi, ti isolano».
Giuseppe Sanacore: «Ho perso i sensi, da allora sono sulla sedia a rotelle»

Giuseppe Sanacore
«Ho lavorato nei cantieri navali per trent’anni, sono partito dal basso e pian piano ero diventato responsabile di produzione, gestivo il magazzino. Sembra banale dirlo, ma amavo il mio lavoro, entravo per primo, uscivo per ultimo, lo sforzo fisico non mi ha mai spaventato, almeno fino a un anno fa. Ora non ho più nulla, non posso neanche alzarmi in piedi». Giuseppe Sanacore ci viene incontro sulla sua sedia a rotelle, 56 anni, la maggior parte passati tra le barche e il mare che bagna Fano. Nei suoi occhi un’enorme tristezza e il ricordo di quello che era prima del vaccino contro il Covid.
«Sono sempre stato un soggetto allergico», racconta, «non posso mangiare crostacei e arachidi, il polline mi scatena l’allergia, ovviamente avevo segnalato tutto questo ai medici vaccinatori, ma l’iniezione me l’hanno fatta comunque». La prima dose non ha avuto grandi conseguenze, per Giuseppe, il solito dolore al braccio, nulla di più. È stata la seconda a distruggergli la vita. «Chi mi ha vaccinato, dopo aver sentito delle mie allergie, mi ha consigliato di aspettare almeno mezz’ora nella sala d’attesa dopo l’iniezione, e così ho fatto. Per fortuna ero lì e non alla guida, perché altrimenti non so cosa sarebbe potuto succedere». Dopo 25 minuti, infatti, gli si è annebbiata la vista, neanche il tempo di riuscire a chiamare aiuto e ha perso conoscenza. L’arrivo dell’ambulanza, la corsa in ospedale e poi ben 14 ore di buio profondo, in cui Giuseppe non è riuscito a svegliarsi. Poi finalmente ha riaperto gli occhi, ma non riusciva più ad alzarsi dal letto.
Dopo tre giorni ha provato a mettersi in piedi sorretto da un’infermiera, ma appena la donna ha lasciato le sue mani, è caduto per terra. Così è iniziato il lungo calvario fatto di analisi, visite mediche specialistiche e Tac. L’unica certezza è che le sue gambe hanno perso forza e nonostante tutti gli accertamenti - il ricovero in ospedale è durato quasi un mese - i medici non hanno trovato una cura.
«Mi è stato detto che avevo patologie nascoste che con il vaccino sono esplose, anche se non hanno ancora individuato di cosa si tratti. È passato un anno e io continuo a non capire cosa sia accaduto al mio corpo, non riesco a rassegnarmi a una vita così». Ora però il problema, oltre che fisico è diventato anche economico. «Sono qui, sulla sedia a rotelle, privato di tutto, anche del mio lavoro. Mi ero messo in malattia, ovviamente, ma quando è finita sono stato licenziato. Sono diventato un disabile che a 56 anni cerca un lavoro e non sa come mantenere la sua famiglia. Sono stato danneggiato dal vaccino e nessuno vuole aiutarmi, lo Stato non sa neanche che esisto, come farò a sopravvivere?».
Tony Taffo: «Mi è impossibile deglutire. Da un anno vivo di pappette»

Nel riquadro Tony Taffo (iStock)
«Immaginate di essere sani, perfettamente normali, felici. Di avere un lavoro, un cane, una vita tranquilla. Poi all’improvviso vi svegliate e nessuna parte del vostro corpo risponde più al vostro comando. Non riuscite neanche a deglutire. E così perdete tutto, fino ad avere una invalidità riconosciuta al 75%. Ecco, questa è la mia storia». Incontriamo Tony Taffo nell’appartamento dove vive, a Osimo (Ancona). Dimostra più dei suoi 48 anni, è magro, molto magro. «Ho perso oltre 15 chili, e con quei chili è andato via anche il mio sorriso. Nel momento peggiore ne pesavo solo 59, ero uno scheletro, mi volevano ricoverare per denutrizione».
Si alza a fatica e va verso il mobiletto della cucina, lo apre e mostra una serie di piccoli barattoli, sono omogeneizzati, pappette per neonati. «Questo è quello che mangio, o meglio che riesco a mangiare, da luglio dell’anno scorso. Dopo 3 giorni dal vaccino ho iniziato ad avere problemi a deglutire, finché una notte mi sono soffocato con la mia stessa saliva, da lì è iniziato l’inferno».
Tony ha iniziato a nutrirsi solo con cibi frullati, quelli che mangia tutt’ora. Ha sviluppato anche una broncopatia cronica, è stato ricoverato due volte, i medici gli hanno fatto tutti gli esami possibili, ma sono riusciti solo a evidenziare una disfunzione motoria della deglutizione, senza però dargli una cura o una terapia. «Mi è stato detto che il danno potrebbe essere permanente. In questi 13 mesi ho perso i capelli, spesso mi si riempiva la bocca di sangue. Da dicembre non ho più la sensibilità della lingua e non sento più i sapori». Perdendo le forze, ha perso anche il lavoro, prima faceva il giardiniere, si occupava della manutenzione delle case di riposo, un impiego faticoso che non potrà più fare.
«Mi conoscevano tutti perché mi piaceva scherzare con i vecchietti in strada, al bar, ero un po’ un burlone, ora vivo come un recluso in casa perché mi mancano le forze anche per fare le scale. Non mi riconosco più, prima del vaccino avevo dei sogni, mi dovevo trasferire a Bergamo, immaginavo una famiglia. Tutto questo mi è stato strappato via, lasciandomi nella disperazione più totale». E così dopo aver perso il lavoro, Tony non è riuscito più a pagare l’affitto, per fortuna l’intervento del Comune ha bloccato lo sfratto. «Ho rischiato anche di rimanere senza casa, adesso sopravvivo grazie alla pensione di invalidità. Passa il tempo, speri di migliorare, ma non è così, e cerchi da qualche parte la forza di continuare a vivere».
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Si chiamano Giovanna,Francesco, Michele, Tony e Giuseppe. Raccontano il loro dolore: «Qualcuno ne risponda». L’immunologo Giovanni Frajese: «Mi candido per fare luce. Subito una commissione d’inchiesta». Ricercatore rivela: «L’mRna? I difetti di quel sistema erano noti a tutti».Le reazioni avverse al vaccino sono più numerose dei dati ufficiali. E hanno distrutto la vita di tante persone che hanno perso salute e lavoro, e ora non riescono a sbarcare il lunario. Dimenticati anche dallo Stato che ha reso l’iniezione obbligatoria. Come dimostrano queste drammatiche storie.«Mi sento intrappolato in un corpo che non è il mio. Sono costretto a vivere una vita che non mi appartiene». Questo è il filo che unisce le storie di chi, dopo essersi sottoposto alla vaccinazione contro il Covid, ha sviluppato degli effetti avversi. Una puntura e ti risvegli privato della salute, della forza fisica e mentale per affrontare le giornate, lavoro compreso. E così oltre al danno, quello evidente che ha colpito il corpo, se ne crea anche un altro: quello lavorativo. Spesso i danneggiati mentre lottano per guarire cercando medici in grado di curarli, perdono anche la loro occupazione e di conseguenza, lo stipendio. Si innesca una spirale negativa in cui tutta la vita viene distrutta pezzo dopo pezzo, nella più totale indifferenza e solitudine, perché quello del vaccino è un meccanismo troppo perfetto che non ammette che qualcosa possa andar storto. Eppure qualcosa è sfuggito al controllo, l’ingranaggio si è inceppato, ci sono persone che da oltre un anno hanno smesso di vivere realmente.<div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/noi-rovinati-vaccini-chiediamo-verita-2657823311.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="francesco-schenone-vertigini-e-tachicardia-a-28-anni-non-ho-un-futuro" data-post-id="2657823311" data-published-at="1659914044" data-use-pagination="False"> Francesco Schenone: «Vertigini e tachicardia. A 28 anni non ho un futuro» Francesco Schenone «La mia era una vita normalissima, a 27 anni pensi di avere tutto il tempo che vuoi per realizzare qualsiasi cosa, ora invece non riesco neanche a immaginare come sarà il futuro». Francesco Schenone ora ha 28 anni, sono passati più di 12 mesi da quell’unica dose di vaccino che gli ha portato via tutto. «Sono sempre stato super attivo, ho iniziato a lavorare a 18 anni perché volevo avere la capacità economica di conquistare le mie cose da solo. Facevo il fruttivendolo e allo stesso tempo suonavo la batteria in una band, i soldi guadagnati li investivo per studiare musica a Milano».Francesco è di Recco (Genova). Il 4 giugno dello scorso decise di vaccinarsi in un Open day, quelle giornate aperte a tutti, anche a chi non aveva ancora l’età per accedere alla vaccinazione, quando ancora i vaccini erano pochi e si dava precedenza alle fasce d’età più a rischio. «Mi sono immunizzato prima dei miei coetanei perché mio papà è un soggetto fragile, volevo proteggerlo. Credevo davvero nel vaccino, pensavo fosse la soluzione per poter uscire dall’incubo della pandemia, invece sono sprofondato io in un incubo senza via d’uscita».È bastata una sola dose: Francesco già dopo poche ore ha iniziato ad avere strani spasmi muscolari. Pensava passassero, ma non è stato così. Dopo tre giorni doveva suonare con la sua band, ma il braccio non rispondeva, e così non ha potuto esibirsi. Intanto hanno iniziato a manifestarsi altri disturbi: acufeni, vertigini e una strana tachicardia. «Per un po’ ho continuato a lavorare, stringevo i denti, cercavo di resistere, non volevo accettare quello che mi stava succedendo. Intanto continuavo a fare visite specialistiche. Dopo un mese e mezzo, però, ho smesso di lavorare, non ero più in grado. C’erano momenti in cui avevo una tachicardia fortissima e poi venivo travolto dalle vertigini, così forti da non riuscire a stare in piedi». Dopo tutti gli esami, a Schenone è stata diagnosticata una pericardite post-vaccino e la Pots, una patologia neurologica che colpisce il cuore e causa proprio quelle vertigini così invalidanti che lo hanno costretto ad abbandonare tutte le sue attività, lavoro compreso.«Ho 28 anni e non so se sarò più capace di lavorare, non so se potrò più riprendere a suonare la batteria, se sarò in grado di ricominciare a studiare musica, dovendo arrivare fino a Milano. Ora tutto mi sembra difficile, ho perso completamente la mia spensieratezza. Mi manca poter uscire di casa senza avere la paura di stare male». <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/noi-rovinati-vaccini-chiediamo-verita-2657823311.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="giovanna-viotto-volevo-tutelare-i-pazienti-ma-nessuno-ha-protetto-me" data-post-id="2657823311" data-published-at="1659914044" data-use-pagination="False"> Giovanna Viotto: «Volevo tutelare i pazienti, ma nessuno ha protetto me» Giovanni Viotto «Il mio è stato un vero e proprio calvario. Accanto alla disperazione di non capire che cosa stesse succedendo al mio corpo, c’era anche quella di cercare un modo per sostenere me e mia figlia. Mi sono sentita abbandonata, sono tutt’oggi completamente abbandonata, eppure la mia unica colpa è stata vaccinarmi». Ha le lacrime agli occhi Giovanna Viotto, 53 anni, di Biella, mentre ripensa a tutto quello che ha passato. Una figlia adolescente da mantenere e la possibilità di lavorare cancellata così, di netto, con un colpo di spugna.«Sono un’operatrice sociosanitaria, accudisco i malati. Ho sempre lavorato in ospedale e a domicilio, mi sono vaccinata perché mi è stato detto che serviva a protegge i pazienti, e quindi non mi sono tirata indietro. Peccato che nessuno abbia protetto me». Il danno da vaccino si è manifestato subito dopo la prima dose. Ha iniziato ad avere dei forti dolori muscolari in tutto il corpo, dopo tre giorni non riusciva a camminare bene. E poi dopo dieci giorni è arrivata la paralisi totale.«Stavo pranzando con mia figlia, a un certo punto non sono più riuscita a muovere gli arti. Le gambe immobili, le braccia sono cadute lungo il corpo, il collo si è irrigidito portando la mia testa all’indietro. Ero terrorizzata. Imprigionata in un contenitore che non rispondeva ai miei comandi. Sono state le ore più lunghe della mia vita, respiravo, ero cosciente, ma completamente bloccata». Dopo tre ore e mezzo e una siringa di cortisone e antistaminico, Giovanna ha ricominciato a muoversi. Ma il giorno dopo ha avuto un’altra paralisi. È stata portata in ospedale ed è iniziata la solita trafila tra esami e risonanze.«Non ho camminato per sei mesi, e ovviamente ho perso il lavoro, ma oltre al danno, la beffa. Quando ho iniziato a star meglio, mi è stato detto che non avrei potuto più fare l’oss nonostante l’esenzione. Per accudire i malati ci vuole il ciclo completo vaccinale con tanto di terza dose, io mi sono fermata alla prima».E così Giovanna a 53 anni ha dovuto reiventarsi, ha fatto la cameriera, l’aiuto cuoco, le pulizie, ma ogni volta è stata licenziata per le troppe assenze. La sua salute non è più quella di prima, gli è stata diagnosticata anche la pericardite post-vaccino. «Non so davvero come poter uscire da questa situazione, vorrei solo che qualcuno mi aiutasse. Io non ho scelto di stare male e neanche di non poter più fare il lavoro che ho sempre fatto. Ho solo ascoltato la scienza e mi sono vaccinata». <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/noi-rovinati-vaccini-chiediamo-verita-2657823311.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="michele-pavan-e-come-se-la-pelle-bruciasse-e-presto-saro-disoccupato" data-post-id="2657823311" data-published-at="1659914044" data-use-pagination="False"> Michele Pavan: «È come se la pelle bruciasse e presto sarò disoccupato» Michele Pavan «È stata una cosa devastante, avevo crisi respiratorie, fitte al cuore, spilli in tutto il corpo come se la mia pelle andasse a fuoco. Mi sentivo come se pesassi cinque quintali. Non avrei mai potuto immaginare una cosa simile, eppure faccio l’infermiere, ho lavorato in ospedale per più di vent’anni». Michele Pavan, 45 anni, di Cittadella (Padova) ci accoglie mostrando le mani. «È passato più di un anno dalla prima dose che mi ha rovinato la vita. Guardate il mignolo», dice, «continua ad avere spasmi involontari. Dal 31 maggio 2021 i miei arti si contraggono senza che possa farci nulla».Michele lavorava nel reparto di psichiatria, anche lui avendo una sola dose non può più tornare alla sua vecchia mansione, e così deve cercare di reinventarsi, mettersi in gioco in una nuova attività, nonostante ormai non sia più quello di prima. «Ho iniziato a star male poco dopo l’iniezione, ho subito avvertito un forte dolore alla testa e mi sono mancate le forze. Avevo paura di fare il vaccino perché sono allergico ad alcuni farmaci, ma mi sono dovuto vaccinare comunque. Quando vai nel centro vaccinale agli operatori non interessa chi sei e cosa ti potrebbe succedere, l’importante è che tu ti faccia fare l’iniezione. Io ho assolto al mio dovere civico, ma ora perché vengo punito per questo?».È in attesa che una commissione si riunisca per cambiargli il ruolo, non potendo più stare a contatto con i pazienti, dovrebbe andare in amministrazione, ma sembra che non sarà così. «Dopo la malattia mi hanno messo in ferie d’ufficio, la mia ultima busta paga è stata di 330 euro, ormai non ho neanche più i soldi per comprarmi le medicine. Questo sistema, oltre che avermi abbandonato, mi ha portato alla fame, mi ha tolto la dignità. Io prima del vaccino vivevo del mio lavoro, non ho mai chiesto nulla a nessuno, e adesso? Sono in attesa di questa decisione, ma il medico del lavoro mi ha già detto che sarò licenziato».Gli hanno diagnosticato un long Covid da vaccino, che dopo 14 mesi non smette di tormentarlo e per questo Michele deve continuare a sottoporsi a visite specialistiche. «In pratica sono stato danneggiato dal Covid, pur non avendolo preso. Ormai i soldi sono finiti, ho prosciugato tutti i risparmi. Nessuno si interessa alla tua vita, anche se è stata completamente stravolta all’improvviso. Da un giorno all’altro ti ritrovi malato, non sai cosa fare e non c’è nessuno che ti aiuta. Ti ritrovi in una strada senza via d’uscita e per di più se ne parli, non vieni creduto, anzi, ti isolano». <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/noi-rovinati-vaccini-chiediamo-verita-2657823311.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="giuseppe-sanacore-ho-perso-i-sensi-da-allora-sono-sulla-sedia-a-rotelle" data-post-id="2657823311" data-published-at="1659914044" data-use-pagination="False"> Giuseppe Sanacore: «Ho perso i sensi, da allora sono sulla sedia a rotelle» Giuseppe Sanacore «Ho lavorato nei cantieri navali per trent’anni, sono partito dal basso e pian piano ero diventato responsabile di produzione, gestivo il magazzino. Sembra banale dirlo, ma amavo il mio lavoro, entravo per primo, uscivo per ultimo, lo sforzo fisico non mi ha mai spaventato, almeno fino a un anno fa. Ora non ho più nulla, non posso neanche alzarmi in piedi». Giuseppe Sanacore ci viene incontro sulla sua sedia a rotelle, 56 anni, la maggior parte passati tra le barche e il mare che bagna Fano. Nei suoi occhi un’enorme tristezza e il ricordo di quello che era prima del vaccino contro il Covid.«Sono sempre stato un soggetto allergico», racconta, «non posso mangiare crostacei e arachidi, il polline mi scatena l’allergia, ovviamente avevo segnalato tutto questo ai medici vaccinatori, ma l’iniezione me l’hanno fatta comunque». La prima dose non ha avuto grandi conseguenze, per Giuseppe, il solito dolore al braccio, nulla di più. È stata la seconda a distruggergli la vita. «Chi mi ha vaccinato, dopo aver sentito delle mie allergie, mi ha consigliato di aspettare almeno mezz’ora nella sala d’attesa dopo l’iniezione, e così ho fatto. Per fortuna ero lì e non alla guida, perché altrimenti non so cosa sarebbe potuto succedere». Dopo 25 minuti, infatti, gli si è annebbiata la vista, neanche il tempo di riuscire a chiamare aiuto e ha perso conoscenza. L’arrivo dell’ambulanza, la corsa in ospedale e poi ben 14 ore di buio profondo, in cui Giuseppe non è riuscito a svegliarsi. Poi finalmente ha riaperto gli occhi, ma non riusciva più ad alzarsi dal letto.Dopo tre giorni ha provato a mettersi in piedi sorretto da un’infermiera, ma appena la donna ha lasciato le sue mani, è caduto per terra. Così è iniziato il lungo calvario fatto di analisi, visite mediche specialistiche e Tac. L’unica certezza è che le sue gambe hanno perso forza e nonostante tutti gli accertamenti - il ricovero in ospedale è durato quasi un mese - i medici non hanno trovato una cura.«Mi è stato detto che avevo patologie nascoste che con il vaccino sono esplose, anche se non hanno ancora individuato di cosa si tratti. È passato un anno e io continuo a non capire cosa sia accaduto al mio corpo, non riesco a rassegnarmi a una vita così». Ora però il problema, oltre che fisico è diventato anche economico. «Sono qui, sulla sedia a rotelle, privato di tutto, anche del mio lavoro. Mi ero messo in malattia, ovviamente, ma quando è finita sono stato licenziato. Sono diventato un disabile che a 56 anni cerca un lavoro e non sa come mantenere la sua famiglia. Sono stato danneggiato dal vaccino e nessuno vuole aiutarmi, lo Stato non sa neanche che esisto, come farò a sopravvivere?». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/noi-rovinati-vaccini-chiediamo-verita-2657823311.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="tony-taffo-mi-e-impossibile-deglutire-da-un-anno-vivo-di-pappette" data-post-id="2657823311" data-published-at="1659914044" data-use-pagination="False"> Tony Taffo: «Mi è impossibile deglutire. Da un anno vivo di pappette» Nel riquadro Tony Taffo (iStock) «Immaginate di essere sani, perfettamente normali, felici. Di avere un lavoro, un cane, una vita tranquilla. Poi all’improvviso vi svegliate e nessuna parte del vostro corpo risponde più al vostro comando. Non riuscite neanche a deglutire. E così perdete tutto, fino ad avere una invalidità riconosciuta al 75%. Ecco, questa è la mia storia». Incontriamo Tony Taffo nell’appartamento dove vive, a Osimo (Ancona). Dimostra più dei suoi 48 anni, è magro, molto magro. «Ho perso oltre 15 chili, e con quei chili è andato via anche il mio sorriso. Nel momento peggiore ne pesavo solo 59, ero uno scheletro, mi volevano ricoverare per denutrizione». Si alza a fatica e va verso il mobiletto della cucina, lo apre e mostra una serie di piccoli barattoli, sono omogeneizzati, pappette per neonati. «Questo è quello che mangio, o meglio che riesco a mangiare, da luglio dell’anno scorso. Dopo 3 giorni dal vaccino ho iniziato ad avere problemi a deglutire, finché una notte mi sono soffocato con la mia stessa saliva, da lì è iniziato l’inferno». Tony ha iniziato a nutrirsi solo con cibi frullati, quelli che mangia tutt’ora. Ha sviluppato anche una broncopatia cronica, è stato ricoverato due volte, i medici gli hanno fatto tutti gli esami possibili, ma sono riusciti solo a evidenziare una disfunzione motoria della deglutizione, senza però dargli una cura o una terapia. «Mi è stato detto che il danno potrebbe essere permanente. In questi 13 mesi ho perso i capelli, spesso mi si riempiva la bocca di sangue. Da dicembre non ho più la sensibilità della lingua e non sento più i sapori». Perdendo le forze, ha perso anche il lavoro, prima faceva il giardiniere, si occupava della manutenzione delle case di riposo, un impiego faticoso che non potrà più fare. «Mi conoscevano tutti perché mi piaceva scherzare con i vecchietti in strada, al bar, ero un po’ un burlone, ora vivo come un recluso in casa perché mi mancano le forze anche per fare le scale. Non mi riconosco più, prima del vaccino avevo dei sogni, mi dovevo trasferire a Bergamo, immaginavo una famiglia. Tutto questo mi è stato strappato via, lasciandomi nella disperazione più totale». E così dopo aver perso il lavoro, Tony non è riuscito più a pagare l’affitto, per fortuna l’intervento del Comune ha bloccato lo sfratto. «Ho rischiato anche di rimanere senza casa, adesso sopravvivo grazie alla pensione di invalidità. Passa il tempo, speri di migliorare, ma non è così, e cerchi da qualche parte la forza di continuare a vivere».
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
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John Elkann (Getty Images)
Eppure, mentre assiste impassibile alla disfatta dell’industria automobilistica italiana, la sinistra si agita per la vendita di Gedi, ovvero di ciò che resta del gruppo editoriale che un tempo faceva capo alla famiglia De Benedetti. Nel corso degli anni, dopo aver comprato dai figli dell’Ingegnere decine di testate, tra cui Repubblica, l’Espresso e un pacchetto di giornali locali, Elkann ha provveduto a smembrare e cedere quasi tutto. Venduto lo storico settimanale che all’inizio dava il nome al gruppo e il cui titolo era quotato in Borsa. Via il Secolo XIX, quotidiano con forti radici in tutta la Liguria. Passati di mano il Tirreno a Livorno, la Nuova Sardegna a Sassari, il Piccolo a Udine, il Messaggero Veneto a Pordenone. Mollati a imprenditori locali la Gazzetta di Mantova e pure quella di Reggio Emilia e Modena, la Nuova Ferrara, la Provincia Pavese, il Mattino di Padova, la Tribuna di Treviso, la Nuova di Venezia e perfino la Sentinella del Canavese, tra Ivrea e Val d’Aosta. Insomma, un impero di carta fatto a pezzi minuti, che alla fine è rimasto con sole due testate, ovvero Repubblica (con propaggini come Huffington Post, Limes e National Geographic) e La Stampa, oltre a tre radio, la più importante delle quali è Radio Deejay. I giornali ancora nelle mani del nipote dell’Avvocato sono un buco nero, anzi rosso, di perdite. Dopo svalutazioni da centinaia di milioni, continuano a perdere soldi, oltre che copie. Le sole soddisfazioni arrivano dalle emittenti: per il resto solo dolori e niente gioie.
Si sapeva che Elkann volesse disfarsi di tutto, anche perché vorrebbe disfarsi pure degli stabilimenti e trasferirsi felice a Parigi o in America, dove peraltro studiano i figli. Si sapeva anche che il suo interesse nei confronti dei giornali fosse pari a zero. La Stampa se l’era ritrovata sulle spalle insieme con una montagna di miliardi, ma l’amore per la testata non era proprio fortissimo. Repubblica e il resto se li era comprati all’improvviso dai De Benedetti per fare quello che De Benedetti, Carlo, aveva fatto per anni benissimo, ossia accreditarsi con la politica. I giornali della sinistra dovevano coprire la ritirata dall’Italia, l’addio all’industria automobilistica. E forse sono serviti a limitare le polemiche, visto che Landini a lungo ha concesso interviste a Repubblica e Stampa senza mai lamentarsi troppo di quello che stava accadendo nelle fabbriche del gruppo.
Certo, fa un po’ impressione vedere la Bibbia di generazioni di compagni, che dopo aver soppiantato perfino l’Unità viene venduta come se fosse una Magneti Marelli qualsiasi. Una cessione nel cinquantesimo esatto della fondazione, per di più a un imprenditore straniero che pare essere in affari con quel «principe rinascimentale» (copyright Renzi) di Bin Salman, uno che i giornalisti di solito li fa a pezzi. Ma soprattutto, una vendita contro cui sindacato e sinistra chiedono l’intervento di quella Giorgia Meloni che fino a ieri era considerata una minaccia per la libertà di stampa. Tuttavia, impressiona di più la levata di scudi della sinistra per una Casta di colleghi che a lungo ha guardato con sufficienza il mondo, ritenendosi intoccabile. Poi qualcuno si chiede perché gli operai non votino più né il Pd né i cespugli che gli ruotano attorno, mentre alla Cgil siano rimasti solo i pensionati.
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