2018-11-24
Niente contrattone con Mediaset, lo show di Renzi va in onda sul Nove
Lucio Presta, manager dell'ex premier, aveva iniziato un trattativa con il Biscione per «Firenze secondo me», il docufilm del Bullo. L'accordo è saltato e l'opera andrà sul canale di Discovery, in concorrenza con Roberto Saviano. La prima puntata, si legge ancora, «andrà in onda sabato 15 dicembre alle ore 21:25».E pensare che aveva ottenuto anche la benedizione di Piero Angela: «Lui è uno che la sa lunga e ce la potrebbe fare. Anche se non credo che si occuperà di divulgazione scientifica», disse il celebre conduttore non più tardi dello scorso luglio. Ma erano ancora i tempi in cui, riguardo a Matteo Renzi, si favoleggiava di un esordio televisivo sulle reti Mediaset. In effetti, durante la conferenza stampa di presentazione dei programmi all'inizio di settembre, Piersilvio Berlusconi apparve parecchio propositivo: «A me piacerebbe avere il docufilm di Renzi sulle mie reti perché stimo Renzi», dichiarò. «Appena vedremo il prodotto vedremo se potremo averlo sulle nostre reti: io spero di sì». Sembrava quasi che fosse fatta, si ventilava lo sbarco sul canale Focus o addirittura su Rete 4. E invece, a quanto pare, Mediaset ha «visto il prodotto» e ha deciso che non era cosa. Anche perché - come ha rivelato La Verità - le pretese di Renzi e Presta erano belle impegnative. Sulle prime si è parlato di 4 milioni di euro per 8 puntate, cioè 500.000 euro a puntata. Poi, di fronte al muro dell'azienda berlusconiana, la richiesta è scesa fino a 120.000 euro a episodio, per un costo complessivo inferiore al milione di euro. In ogni caso, la notizia è che l'ormai leggendario docufilm renziano andrà in onda, come annuncia un comunicato stampa uscito ieri (e come il nostro giornale aveva anticipato mesi fa), «sul canale Nove del gruppo Discovery Italia». La prima puntata, si legge ancora, «andrà in onda sabato 15 dicembre alle ore 21:25». In piena prima serata, dunque. E pensare che Lucio Presta (potenza catodica e produttore del documentario tramite la sua Arcobaleno Tre) aveva svelato alla Stampa alcune difficoltà legate proprio al posizionamento in prime time: «Queste puntate, otto, sono state pensate per la seconda serata mentre Mediaset vorrebbe lanciarle in prima». Sul Nove, alla fine, si vedrà un «progetto in quattro episodi da 90 minuti, è prodotto e distribuito da Arcobaleno Tre e scritto con Sergio Rubino». Non ci sarà il cameo di Roberto Benigni, ma già si sapeva.Il comunicato della rete è a dir poco trionfalistico: «Firenze secondo me è un documentario sulla città in cui l'ex presidente del Consiglio è nato e cresciuto fino a diventarne sindaco. Un vero e proprio evento televisivo - dal forte respiro internazionale - che mostra lo splendore di un luogo unico, ricco di storia e di bellezza», declama. «Le telecamere spazieranno da Palazzo Vecchio al cuore degli Uffizi , dal corridoio del Vasari alla Basilica di Santa Croce, da Palazzo Pitti al Giardino di Boboli. Un viaggio unico attraverso i luoghi simbolo del capoluogo toscano e il racconto degli avvenimenti storici che hanno fatto di Firenze una delle città più visitate al mondo». Per la serie: non stiamo più nella pelle.Lucio Presta, a suo tempo, spiegò: «È la città raccontata da dentro, con un ritmo veloce che niente ha a che vedere con la divulgazione». E, in effetti, aveva pienamente ragione. Della pregiata opera, infatti, è stato diffuso un trailer. Fu lo stesso Matteo, il 3 settembre, a pubblicarlo su Instagram (a ieri aveva rimediato appena 29.000 e rotte visualizzazioni). Diciamo che non ha ricevuto ottime recensioni. Persino Vice magazine, una rivista non esattamente salviniana, scrisse che «il documentario di Renzi è il chiodo sulla bara della sua carriera politica». Una stroncatura: «Inquadrature, montato e girato sembrano quasi il frutto di una parodia montata ad arte», infierì Vice. Pure Maurizio Crozza - proprio sul Nove, in ottobre - ha sbertucciato allegramente Renzi e le sue velleità di showman: «Praticamente mi sta rubando il lavoro», ha detto. Già, solo che il Renzi di Crozza, rispetto a quello vero, è più simpatico e in tv si guarda più volentieri. Del resto, il documentario di Matteo non può certo sperare di competere con i risultati del comico pelato. E nemmeno può rivaleggiare con le Cucine da incubo di Antonino Cannavacciuolo, sebbene le cene del Pd siano piuttosto drammatiche. Al massimo, potrà vedersela con Roberto Saviano, che sul Nove conduce Kings of crime e ha appena rimediato un misero 1% di share. Renzi se la giocherà, sullo schermo, con l'autore di Gomorra e in qualche modo tale sfida la dice lunga sullo stato della sinistra italiana. Comunque la si rigiri, per Renzi è un bel declassamento. Quando Matteo era in auge, Silvio Berlusconi disse che lo avrebbe volentieri assunto nelle sue tv. Da quel che risulta, ha cambiato idea. Il piccolo schermo, dopo tutto, è una cosa seria. Mica come la politica.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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