2021-06-03
Nessuno dà credito alle scuse di Brusca. E ora alla sbarra c’è la legge sui pentiti
Scetticismo sul vecchio video in cui il killer chiede perdono. Ex toga furibonda: «Può ancora godere del suo patrimonio».Se l'intenzione era quella di avvalorare la tesi di un pentimento sincero, chi ha tirato fuori il video di «scuse» di Giovanni Brusca deve fare i conti con un risultato esattamente opposto. Il filmato in questione, infatti, si riferisce a cinque anni fa e fa parte di un documentario francese prodotto dall'emittente Arte e diretto dal regista Mosco Levi Bocault, in cui Brusca fornisce la sua testimonianza nel contesto di una serie di interviste fatte dagli autori a diversi pentiti di mafia e a chi ha assicurato questi ultimi alla giustizia. Evidentemente, nel caso di Brusca, per un lasso di tempo insufficiente, date le numerose reazioni politiche contrarie sia alla scelta dei magistrati di scarcerarlo in anticipo in ossequio alla legge sui pentiti, sia alla solenne richiesta di perdono postuma presente nel citato documentario, intitolato Corleone. In quest'ultima, il sanguinario killer mafioso, autore di un numero così alto di efferati omicidi da non poter essere quantificato, che ha messo la propria firma sullo strangolamento e successivo scioglimento nell'acido del bambino Giuseppe Di Matteo e sulla strage di Capaci, appare camuffato nella sala colloqui del carcere romano di Rebibbia, intento a ripercorrere il proprio cruento cursus honorum nella criminalità organizzata. Ma prima di raccontare della sua affiliazione e dell'ascesa ai vertici della mafia, Brusca si sofferma su una dichiarazione preliminare di scuse nei confronti delle famiglie delle numerosissime vittime della sua barbarie e anche con la sua famiglia, per come la sua vita ha influito sull'esistenza dell'ex moglie e del figlio: «Ho riflettuto», dice Brusca «e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito. Ho deciso di farlo per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell'anima che sento di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere». Consapevole di cosa tale scelta significhi nel codice mafioso, il killer tiene a spiegare e rivendicare le ragioni che lo hanno portato alla decisione di diventare collaboratore di giustizia: «È una scelta sempre denigrata», afferma, «ma è giusta perché serve a mettere fine a quella fabbrica di morte che si chiama Cosa nostra». Un video che è rimasto sottotraccia per un lustro, anche se il documentario è stato presentato alla Festa del cinema di Roma del 2018, ma che ora fa scalpore dopo la scarcerazione del diretto interessato, considerato anche che l'intervista in questione è stata messa agli atti dai magistrati responsabili, in questi anni, delle decisioni su permessi premio e sconti di pena per buona condotta. Le scuse di Brusca, però, non convincono e i più continuano a essere scettici su un suo reale pentimento, reclamando una revisione della normativa sui pentiti che ne ha consentito la scarcerazione. Dal fronte politico, la diffusione del video non ha spostato nulla: chi si era detto indignato per la fine della pena di Brusca ha rincarato le dose dopo aver ascoltato le parole del killer, risalenti a cinque anni fa. «È spregevole», commenta il leader leghista Matteo Salvini, «chi ammazza deve stare in galera. Chi ha sciolto un bambino nell'acido non può passeggiare libero come nulla fosse. Sapere che oggi è a spasso libero e sorridente anche un delinquente, assassino, mafioso e spregevole personaggio come Brusca, non può essere l'idea di giustizia che abbiamo in testa». Salvini quindi ribadisce la richiesta di una modifica della legge sui pentiti: «Chi ammazza deve stare in galera fino alla fine dei suoi giorni senza sconti e senza scorciatoie». Le dichiarazioni di Salvini fanno il paio con quanto affermato da altri leader politici nelle ultime ore (da Giorgia Meloni ed Enrico Letta), a costituire un ideale moto di indignazione bipartisan con pochissime eccezioni. Scettico, sul pentimento di Brusca, anche il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, per il quale «i mafiosi si mostrano quasi sempre come detenuti modello, per lucrare i benefici che la legge gli concede». Nessuna indulgenza nemmeno dai parenti delle vittime, a partire da Nicola Di Matteo, fratello minore di Giuseppe, il quale sottolinea che «Brusca a noi non ha mai chiesto scusa, ma se anche lo facesse non lo scuseremmo comunque». Stessi toni da Maria Falcone, sorella di Giovanni, ucciso assieme alla moglie e alla scorta nella strage di Capaci, che ha colto l'occasione della festa della Repubblica per fare un «appello alla politica» per l'approvazione di «una normativa giusta», capace di «evitare scarcerazioni e permessi a boss che mai hanno interrotto il loro perverso legame con l'associazione mafiosa». Tra chi miete più dubbi sulla redenzione del sanguinario boss mafioso, spicca l'opinione dell'ex giudice Silvana Saguto, reduce da una condanna, l'anno scorso, a otto anni e mezzo in seguito all'inchiesta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia condotta dal tribunale di Caltanissetta. La Saguto ha avuto a che fare con Brusca più di una volta, e fa presente, in un'intervista concessa alla Sicilia, che quest'ultimo «ha ancora il suo patrimonio, grazie a dei prestanome». Per questa ragione, il suo pentimento è da ritenersi subdolo: «Ha parlato nelle sue dichiarazioni solo dei suo nemici. Non ha mai messo a disposizione i suoi beni. Una persona indegna, e ora viene liberato. Un'ingiustizia».