
Il professore di scienza politica Marco Tarchi: «Abbiamo assistito a un regolamento di conti che era nell'aria da un pezzo. Ma a trasformismi siamo oltre i limiti dell'indecenza. Se il M5s si accorderà con il Pd è candidato al suicidio politico. A questo punto meglio il voto».Marco Tarchi, politologo, professore ordinario di scienza politica, comunicazione politica e analisi e teoria politica all'università di Firenze, pur lontano dall'Italia in questo momento, ha seguito con attenzione quanto è successo prima, durante e dopo la campale giornata di martedì 20 agosto nel Senato della Repubblica.A cosa abbiamo assistito, professor Tarchi? A un dramma o a un vaudeville? «A un regolamento di conti che era nell'aria da un pezzo; più esattamente, da quando era iniziata la campagna elettorale per le europee e i due contraenti del patto di governo avevano iniziato a tirarsi calci sotto il tavolo e poi ad azzannarsi. Il M5s perché terrorizzato dai sondaggi e dai consiglieri interessati che gli rimproverano un troppo basso profilo, la Lega perché drogata dagli stessi numeri e convinta di poter stravincere e subito dopo comandare la partita».Vogliamo provare allora a tracciare un bilancio dell'azione dei diversi protagonisti? Non possiamo non cominciare da Matteo Salvini.«Ha commesso un grave errore, che probabilmente gli costerà caro nei confronti di quegli elettori che, pur avendo votato M5s l'anno prima, si erano spostati verso la Lega alle europee per rafforzarne la posizione nel governo ma giudicavano positivamente l'esecutivo gialloblù. Parecchi di loro, delusi, potrebbero decidere di astenersi. E non è detto che l'afflusso di fuoriusciti da Forza Italia possa pareggiare i conti».Salvini ha proposto la mozione di sfiducia nei confronti del presidente del consiglio Giuseppe Conte ma poi l'ha ritirata: un'avanzata rinculante per non rimanere con il cerino della crisi di governo in mano?«Mi è parsa una mossa insensata fin dal primo momento. Se non aveva i numeri per farla passare, perché presentarla? La figuraccia era prevedibile. E poi, che senso aveva sfiduciare Conte quando per aprire la crisi sarebbe bastato uscire dal governo? Sarebbe stato un comportamento più lineare e comprensibile, invece del pasticcio poco decoroso che è uscito dalla vicenda».Salvini è passato dall'essere un trionfatore annunciato ad apparire un boxeur finito alle corde, mentre Conte da accusato ha finito per «processare» lui il ministro dell'Interno. Cosa ha sbagliato? Un suo uomo di peso, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, gli ha rimproverato (pubblicamente) il timing sbagliato: avrebbe dovuto aprire la crisi subito dopo le europee...«Su Giorgetti andrebbe fatto un discorso a parte: le sue uscite reiterate contro i ministri grillini mi hanno dato l'impressione di un continuo tentativo di forzare la mano a Salvini. Perché lo ha fatto? Ho scarsissima considerazione delle ipotesi complottiste, ma chi accenna a possibili pressioni di gruppi d'interesse, in primo luogo economici, alla radice di questo comportamento, forse non ha tutti i torti. Quanto a Salvini, avrebbe dovuto, dopo le europee, fare tutt'altro che aprire una crisi. Sarebbe bastato che chiarisse al M5s che era interesse reciproco congelare le questioni su cui le convergenze erano impossibili e suddividere il lavoro di governo puntando a provvedimenti che potessero soddisfare, separatamente, i rispettivi elettorati».Altro protagonista: Matteo Renzi. Che per essere uno che doveva abbandonare la politica, è parso tutt'altro che un Cincinnato. Redivivo per meriti suoi o per demeriti altrui?«Per demeriti altrui, a partire da quelli del segretario Pd Nicola Zingaretti, che ha dato l'impressione, fin da quando è stato eletto alla segreteria, di non avere nessuna linea precisa in mente».Renzi ha fatto un triplo salto carpiato con doppio avvitamento come se fosse antani. Aveva tuonato contro il M5s e Luigi Di Maio: «A me fa schifo sentirmi dire che il mio partito è quello che usa l'elettroshock contro i bambini. Non ho valori comuni con un omuncolo meschino che per prendere un voto strumentalizza anche gli orrori». Insomma, mai con loro...«Non è certo la prima promessa che non mantiene, e di sicuro non sarà l'ultima. Per lui conta sbraitare e fare lo sbruffone per impressionare la sua platea. È sempre stato guidato dall'ambizione, non dalla coerenza. Va detto però che da anni la politica italiana si è trasformata nella sagra delle affermazioni categoriche e assolute trasformate in un momento nel loro contrario. È uno scenario triste anche per chi sa che i compromessi fanno parte integrante della politica da sempre».Già: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Senza scomodare Depretis, siamo sempre lì: all'incrocio dei venti, tra gattopardismi e trasformismi.«Sì, ma ci sono anche problemi di forma. Ormai siamo oltre i limiti dell'indecenza. E poi ci si lamenta se sono sempre in crescita gli elettori che scelgono di astenersi…».Anche lei ha avuto l'impressione che, in questo frangente, Renzi si sia accreditato (o imposto) come vero leader del Pd, mentre Zingaretti è come sparito dai radar?«Renzi - l'ho sempre sostenuto - non ha mai smesso di sentirsi il leader del Pd e di considerare un usurpatore chiunque ne avesse preso il posto. Facendo pensare a molti di star preparando una scissione ha continuato a tenere accesi su di sé i riflettori, e ha usato i social con la consueta aggressività per dare un'impressione di forza al cospetto di uno Zingaretti strutturalmente sbiadito. Tuttavia, Renzi è un soggetto estremamente divisivo per l'elettorato potenziale del Pd e un suo ritorno al timone del partito potrebbe avere un effetto boomerang». Tocca occuparsi anche dei 5 stelle.«Se sosterranno un governo istituzionale in funzione antielezioni o si accorderanno con il Pd per un (dubbio) esecutivo di legislatura sono seri candidati al suicidio politico. Sono nati e sono cresciuti come un'alternativa secca e netta alle manovre di palazzo e i sotterfugi dei politici di professione. Smentendosi, perderanno altri elettori, forse molti, e si condanneranno ad un ruolo subalterno che li logorerà. Se poi passerà la linea-Fico di un ibrido di sinistra contro un'ammucchiata di destra, deluderanno i tanti sostenitori che, da bravi esponenti della mentalità populista, giudicano superata e fasulla la logica bipolare».Quale futuro può avere il centrodestra che, almeno in base ai sondaggi, se ci fossero elezioni andrebbe ben oltre il 40%?«Malgrado i sondaggi, credo che rimettere insieme i pezzi della vecchia alleanza sortirebbe effetti tutt'altro che positivi per la Lega. Forza Italia è in liquidazione, ma Berlusconi e i suoi hanno vissuto l'ascesa di Salvini come un affronto intollerabile e, al di là delle dichiarazioni di facciata, metterebbero più ostacoli di traverso a una leadership di governo leghista di quanti non ne abbiamo messi negli scorsi mesi Di Maio & co. E Fratelli d'Italia, che da sempre tende la mano a Salvini, un domani - sentendosi decisivi per garantire un'eventuale maggioranza parlamentare - potrebbe fare la fronda per sottrarre alla Lega una parte dei suoi sostenitori più destrorsi».Ora che succede? La palla è nelle mani del capo dello Stato, il quale, secondo indiscrezioni (non si sa quanto fondata e se «pilotate") non sarebbe favorevole a un governo tecnico: o un governo «politicamente serio» oppure il voto. Per lei quale strada sarebbe migliore?«Non vedendo nessuna possibile premessa per un “governo serio", dato tutto ciò che ho detto in precedenza, preferirei le elezioni. Anche se, personalmente, nel deprimente scenario che si è creato, al 99% sceglierei di non depositare alcuna scheda nell'urna».In aula ci sono stati molteplici riferimenti, da destra come da sinistra, a papa Wojtyla, al Vangelo, al Rosario, alla Beata Vergine: che effetto le hanno fatto queste evocazioni religiose?«Le trovo penose e, in fondo, controproducenti, perché non vedo come non ci si possa accorgere del loro carattere strumentale».Vada come vada, quali sono le priorità che a suo avviso non potranno non essere affrontate dal prossimo esecutivo?«Mi sembra evidente che i nodi fondamentali saranno quelli economici, anche se, per coprire le probabili scelte restrittive, ci si riempirà la bocca di socialità, sviluppo, equità sociale e così. Attenzione, però: se sul tema di maggiore allarme per la maggioranza degli italiani - intellettuali, giornalisti e esponenti del clero esclusi -, cioè l'immigrazione di massa, l'eventuale nuovo governo invertirà la rotta, i suoi livelli di gradimento crolleranno e, prima o poi, la batosta elettorale di chi lo avrà sostenuto sarà severa».Infine, sullo sfondo ci sono i rapporti con l'Europa, dove peraltro si gioca un'altra partita tra tecnocrati e sovranisti: con quali possibili effetti, anche per quello che ci riguarda?«Dipenderà dall'evolvere dei vari aspetti della situazione dei singoli Paesi: questioni economiche, vicende legate alla sicurezza e all'immigrazione, tensioni nel quadro internazionale. I movimenti populisti svolgono la funzione dei reagenti di fronte alla difficoltà delle classi dirigenti di risolvere le situazioni che interessano alla gente comune. I loro successi degli ultimi decenni sono la conseguenza di gravi errori di gestione di questi problemi da parte delle forze politiche tradizionali. Bisognerà vedere se le cose, nel prossimo futuro, cambieranno oppure no».
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.