2021-10-14
Zero adeguamenti: l’inflazione taglia le pensioni
A causa del Covid, che ha fatto crollare il Pil, a gennaio non ci sarà la rivalutazione. Mentre i prezzi saliranno di almeno il 5%. Sul tavolo anche il dossier per il dopo quota 100. Inps in rosso di 904 milioni.Il Pil è crollato per via del Covid. Così, dal gennaio 2022 per i pensionati non ci sarà alcun adeguamento né rivalutazione degli assegni. A spiegarlo nel dettaglio è stata l'edizione di ieri di ItaliaOggi che ha pescato una nota del ministero del Lavoro datata 11 ottobre. Il testo spiega che «il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale (Pil), nei cinque anni precedenti il 2021, è risultato pari a -0,000215. Pertanto, il coefficiente di rivalutazione risulta pari a 0,999785 (arrotondato a 1)». Ma, siccome l'attuale normativa stabilisce che il tasso non possa essere negativo, verrà utilizzato, a partire dal primo gennaio, un valore neutro. Tradotto nessun taglio nominale in busta ma al tempo stesso nessun aumento. In base alla riforma Dini del 1995, il montante contributivo, il famoso tesoretto che viene annualmente accantonato dai lavoratori con il versamento dei contributi previdenziali, viene annualmente rivalutato in base all'andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi cinque anni, il tasso di rivalutazione. Un indice che si applica alla parte contributiva di tutte le pensioni pagate dalla previdenza pubblica obbligatoria. Nel 2014 per effetto del crollo degli andamenti economici delle economie occidentali dovuto al crac Lehman Brothers, i pensionati italiani avrebbero sperimentato per la prima volta un taglio secco degli importi in busta. Si pensò così di inserire una clausola di salvaguardia prevedendo come valore minimo lo zero. Una scelta che oggi potrebbe consentire a migliaia di italiani di tirare un sospiro di sollievo. Purtroppo non sarà così. Se gli indici pensionistici resteranno invariati, lo stesso non si può dire dei valori inflattivi. Nonostante le continue rassicurazioni dei vertici di Bruxelles e di molti esponenti del governo, l'inflazione nel 2022 continuerà a correre. Se il tasso reale si attestasse sul 5% (e siamo ottimisti) per chi percepisce un reddito fisso e per tutti i pensionati saranno problemi. Il poter d'acquisto sarà fortemente abbattuto. Purtroppo le premesse sono già evidenti. Basti pensare che in poco più di un semestre il prezzo della carne di maiale all'ingrosso (indici Usa) è passato da 2,5 dollari al chilogrammo a 6,8. Solo il mese scorso abbiamo assistito a forti impennati dei prezzi del frumento, del grano e di altre materie prime come la soia. Non solo. La scarsità di materie prime e i colli di bottiglia della logistica stressano anche altre filiere. Costeranno di più le patate per via del caro greggio che impatta sul trasporto su gomma. Gli esempi possono andare avanti all'infinito. E viene il dubbio che il muro inflattivo contro cui ci stiamo scontrando sia consustanziale alle dinamiche scelte dalle Banche centrali e dai governi Ue. Grandi debiti pubblici ed enormi pacchetti di stimoli fiscali potranno essere affrontati solo scaricando gli effetti (alias inflazione) sui consumatori. All'interno di questo schema chi pagherà di più saranno ovviamente i pensionati. Questo sarebbe un tema da affrontare subito e in modo trasparente. Non vediamo invece grandi spazi di discussione anche perché le uniche polemiche attorno alle pensioni riguardano la fine di quota 100. L'idea è evitare lo scalino della riforma Fornero. Ieri ha detto la sua in audizione anche il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico. «Per il dopo quota 100 si potrebbe ipotizzare un sistema misto con la possibilità di accedere a una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta, anticipando dunque solo la contributiva per chi ha compiuto 63-64 anni di età, da adeguare alla speranza di vita, avere almeno 30 anni di contributi e aver maturato una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale», ha spiegato alla Camera. «La prestazione spetta fino al raggiungimento del diritto per la pensione di vecchiaia quando scatta la parte retributiva. Questa ipotesi sarebbe sostenibile dal punto di vista finanziario». Il tavolo al Mef di Daniele Franco è già avviato e coinvolgerà anche le pensioni anticipate Ape donna e quelle legate alle attività usuranti. Certo, guardati con gli occhiali giusti, purtroppo questi dettagli annegano nella complessità e fragilità del sistema pensionistico. Il 2021, secondo i dati forniti dal Civ, il comitato di vigilanza dell'istituto, chiuderà con un disavanzo patrimoniale di oltre 900 milioni a fronte di un risultato d'esercizio negativo per circa 15,4 miliardi di euro. Dati che sul lungo termine allarmano, senza contare le pensioni di invalidità con liste d'attesa lunghissime: 1,7 milioni di italiani aspettano risposta e molti la prima visita medica. La stabilità delle pensioni sarà il prossimo tema di aggressione da parte dell'Ue. E di conseguenza i margini per tutelare le categorie a reddito fisso in futuro andranno diminuendo.
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