
Proprio sotto elezioni la Regione pone rimedio a una legge che, inserendo tra i «redditi aggredibili» anche le indennità di invalidità e di accompagnamento, per oltre tre anni ha concesso ai Comuni di far pagare più del dovuto le rette dei servizi. Ma senza rimborsi.La notizia arriva dall'Emilia Romagna e piomba sulle celebrazioni per la Giornata della disabilità. Tra le promesse del premier Giuseppe Conte, che da gennaio intende aprire un ufficio permanente a Palazzo Chigi per «coordinare meglio il lavoro delle diverse amministrazioni», le nobili parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e Papa Francesco che sprona all'impegno nei confronti degli handicap in quanto «determina il grado di civiltà di una nazione». Infatti è proprio così, ma in Emilia Romagna accadrebbero cose che stridono con il termine civiltà. E non ci riferiamo all'inchiesta sugli affidi di Bibbiano.Questa la notizia, definita uno «scandalo targato Pd» dalla sfidante del centrodestra, Lucia Borgonzoni, e bollata come «fake news» dal presidente della Regione e candidato dem, Stefano Bonaccini: per oltre tre anni migliaia di disabili avrebbero pagato più del dovuto (in alcuni casi anche il doppio) le rette dei servizi a cui hanno diritto, a causa di una legge regionale sbagliata e smentita anche dal Consiglio di Stato. Non solo: chi aveva titolo per essere esonerato dai versamenti avrebbe dovuto affrontare costi illegittimi, pari a un terzo dell'assegno di accompagnamento. La denuncia muove da Laura Schianchi, presidente dell'associazione Prima gli ultimi, che da tempo lavora al caso. Senza mezzi termini, parla di «ingiustizia» e «discriminazione». Cosa è successo? Il pasticcio nasce dal meccanismo della «compartecipazione», ovvero la cifra che le famiglie devono versare ai Comuni emiliani per i servizi erogati. Infatti, per quanto riguarda le rette dei centri diurni socio-occupazionali, diurni socio assistenziali e residenziali, una quota viene assicurata dal Fondo per la non autosufficienza della Regione, mentre il resto è a carico dei singoli municipi. Questi ultimi chiedono però un obolo alle famiglie in base al reddito. Tutto ciò ha una sua logica, peccato però che i sistemi di calcolo, stabiliti dai regolamenti comunali, sarebbero sbagliati e non certo a favore dei disabili. Prima gli ultimi avrebbe scoperto che tra i cosiddetti «redditi aggredibili» vengono inserite anche le indennità di invalidità (280 euro) e di accompagnamento (500 euro) che la persona bisognosa ottiene dallo Stato. Questo significa che, per decidere se e quanto una famiglia deve pagare, non si tiene conto solo dell'Isee, ma anche di ogni entrata disponibile: dunque delle indennità, nonostante non siano un reddito. «Un disabile con Isee pari a zero, e che vive quindi solo della sua pensione di invalidità, deve pagare lo stesso il servizio», denuncia Schianchi.Nel mirino dell'associazione è l'articolo 49 della legge regionale 24 del 22 dicembre 2009, che avrebbe consentito per anni ai municipi di calcolare anche indennità, trattamenti assistenziali legati alla disabilità e altre entrate che invece non devono rientrare nel reddito, come stabilito dal Consiglio di Stato nella sentenza 838 del 29 febbraio 2016. «In Emilia Romagna ci sono Comuni che dal 2016, essendosi basati su una legge regionale che contrastava con la sentenza del Consiglio di Stato, hanno fatto pagare a migliaia di persone con disabilità quote dei servizi alterate e maggiorate», continua la presidente di Prima gli ultimi. «A Parma ad esempio, l'attuazione, seppure in ritardo, del regolamento votato il 31 luglio 2018, costringe tante persone con disabilità a versare da settembre di questo anno cifre non dovute, illegittime, e retroattive da gennaio 2019». Ma ci sarebbe altro: «La difformità dei regolamenti comunali ha poi prodotto discriminazioni tra persone con identiche disabilità, costrette spesse volte a pagare diverse rette per i medesimi servizi», conclude Scianchi. Sarebbe il caso di una importante Asp di Modena dove gli ospiti modenesi pagano 40 euro al giorno, mentre quelli reggiani 16 e quelli bolognesi 20.Dopo tre anni dalla pronuncia del Consiglio di Stato, che vieta di mettere le mani sulle pensioni di invalidità, a che punto siamo? La Regione si è adeguata correggendo la presunta ingiustizia? Lo avrebbe fatto solo ieri: con il voto in Consiglio regionale, il vulnus è stato sanato nella legge di Bilancio. Ma nulla sarebbe previsto per rimborsare i disabili che ci hanno rimesso per gli errori dell'amministrazione guidata da Bonaccini.E contro questa «colpevole mancanza» si scaglia Borgonzoni, che fronteggerà Bonaccini alle prossime regionali del 26 gennaio: «La Regione ha dato una scusa ai sindaci per spremere i cittadini», spiega l'esponente della Lega, «clamorosi i casi di Parma e di Modena. Il Pd promette di intervenire, ma si parla di una situazione che si trascina da anni e che colpisce le persone più deboli: gli emiliano romagnoli non si faranno prendere in giro».Borgonzoni ha anche sollecitato il governatore a «ricostruire nominalmente l'ammontare delle cifre dovute e a prevedere rimborsi». «Quanto accaduto», dice, «è un'ingiustizia perpetrata sulla pelle delle persone più fragili» e assicura anche, in caso di vittoria, l'istituzione di un Fondo di ristoro per rimediare alla «truffa» e di un «assessorato per la Disabilità».Si difende invece il presidente uscente Bonaccini, secondo cui la sua concorrente non sa di cosa parla: «Salvini e la Borgonzoni attaccano la Regione sui costi dei servizi per le persone con disabilità e sbagliano il bersaglio: farebbero bene a informarsi prima, se questa è la competenza che intendono portare c'è motivo di preoccuparsi». Per l'esponente dem, infatti, la legge regionale del 2009 sul calcolo dell'Isee «venne superata da normative nazionali sulla materia ed è rimasta quindi inattuata per la parte che loro contestano», così come non ci sarebbe nessuna sentenza del Consiglio di Stato che l'avrebbe smentita: «Li sfido a tirarla fuori». Ma la vera sfida è quella del 26 gennaio, che si profila un testa a testa secondo le analisi dei sondaggisti.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






