2021-10-10
Nel rapporto sui pedofili nella Chiesa ci sono troppi conti che non tornano
Il Vaticano si è scusato accettando il numero di 216.000 vittime, frutto di una stima su un campione discutibile. I testimoni di violenze sono 6.000. Gli abusi sono una piaga devastante, ma è ingiusto accettare falsificazioniPresidente di sezione a riposo della Corte di cassazioneSappiamo dai Vangeli che Gesù Cristo accettò volontariamente di essere crocifisso per redimere l'umanità dal peccato. Non risulta, però, che sia stato lui a fornire il legno e i chiodi necessari perché la crocifissione potesse essere effettuata. In questo è stato quindi superato dalla Chiesa cattolica di Francia, la quale (sulla scia, del resto, di quanto avevano già fatto le Chiese cattoliche di altri Paesi), non solo ha scelto di farsi pubblicamente crocifiggere in espiazione dei peccati di pedofilia commessi da alcuni dei suoi membri, ma ha anche creato, di sua iniziativa e a proprie spese, il necessario strumento, costituito da un'apposita commissione indipendente, la cui composizione è stata affidata, dai presidenti della Conferenza episcopale francese (Cef) e della Conferenza dei religiosi e religiose di Francia (Corref), al vice presidente onorario del Consiglio di Stato Jean-Marc Sauvé.Questa commissione avrebbe dovuto, secondo la lettera d'incarico: «Far luce sugli abusi sessuali commessi su minori e persone vulnerabili» a partire dall'anno 1950; «studiare la maniera con la quale questi affari sono stati trattati, tenendo conto del contesto delle epoche interessate»; «valutare le misure prese dalla Cef come pure dalla Corref a partire dagli anni 2000 per fare tutte le raccomandazioni ritenute utili».La commissione ha riferito l'esito dei suoi lavori in un alluvionale rapporto, pubblicato nei giorni scorsi e reperibile, nella sua interezza, su Internet. Da esso risulta - ed è il dato enfaticamente messo in luce da tutti i mezzi di informazione - che il numero complessivo di minori vittime di aggressioni sessuali a opera di sacerdoti, diaconi, religiose o religiose nell'arco di tempo preso in considerazione sarebbe stato di 216.000, così determinato sulla base di una «stima» effettuata dall'Inserm (Institut national de la santè et de la recherche medicale), all'esito di una indagine condotta, su incarico della stessa commissione, su un campione di 28.010 persone. Invano si cercherebbe, però, leggendo e rileggendo le 485 pagine del rapporto, più 19 allegati, una adeguata illustrazione dei metodi con i quali è stata condotta l'indagine e dei criteri seguiti per la formulazione della stima. Quest'ultima è stata, ciononostante, recepita come una dato di fatto oggettivamente e indiscutibilmente certo non solo dagli organi di informazione ma anche (e inspiegabilmente) da tutta la gerarchia ecclesiastica. Questa, infatti, si è subito affrettata (come già in precedenti, analoghe occasioni) a coprirsi il capo di cenere, esprimendo vergogna per l'accaduto e chiedendo il perdono delle vittime, vere o presunte che esse fossero, senza neppure far notare che, comunque, secondo lo stesso rapporto della commissione, non più del 3% dei circa 115.000 sacerdoti e religiosi operanti in Francia tra il 1950 e il 2020 si sarebbe reso responsabile degli abusi in questione; il che significa, se la matematica non è un'opinione, che ciascuno di essi, a conti fatti, avrebbe dovuto sottoporre ad abusi, in media, non meno di 60 persone; la qual cosa appare, all'evidenza, difficilmente credibile. Così come risulta del tutto ignorato il fatto che, sempre secondo quanto risulta dal rapporto, soltanto 6.471 persone avrebbero risposto al pubblico «appello alla testimonianza» rivolto direttamente dalla commissione a quanti avessero subito abusi sessuali a opera di sacerdoti o altri soggetti operanti in ambito ecclesiale; e ciò pur in presenza della più che concreta prospettiva che dalla positiva risposta potessero derivare non indifferenti vantaggi economici, a fronte della manifestata disponibilità, da parte della Chiesa di Francia, a corrispondere adeguati risarcimenti a quanti fossero risultati vittime di tali abusi.Si sarebbe dovuto, inoltre, considerare che, comunque, quelle che sono state acquisite sono soltanto dichiarazioni accusatorie, più o meno dettagliate, rese al di fuori di ogni e qualsiasi carattere di ufficialità e delle quali, per quanto è dato sapere, non risulta in alcun modo verificato e accertato l'oggettivo fondamento; cosa che, d'altra parte, in molti casi, a causa del tempo trascorso, sarebbe stata e resterebbe alquanto difficile, se non addirittura impossibile. E, a tale riguardo può essere utile ricordare che, secondo un rapporto pubblicato nell'anno 2004 da un autorevole e indipendente organismo scientifico degli Stati Uniti, quale il John Jay college of criminal justice della City university of New York, su 6.700 accuse ritenute «credibili» di abusi sessuali commessi a opera di appartenenti al clero cattolico in un arco di tempo compreso tra il 1950 ed il 2002, solo 252 sarebbero sfociate in pronunce di condanna nei confronti degli accusati. Ciò è quanto si apprende dalla voce di Wikipedia «Casi di pedofilia all'interno della Chiesa cattolica», il cui orientamento, come è facile constatare dalla lettura integrale del testo, appare, per il resto, tutt'altro che pregiudizialmente favorevole alla Chiesa. Stando così le cose può soltanto concludersi che, nella migliore delle ipotesi, la chiesa di Francia (e forse non solo essa), abbia un po' dimenticato, nell'approcciarsi alla spinosa questione della pedofilia, l'esortazione che, secondo quanto si legge nel Vangelo secondo Matteo (capitolo 10, versetto 16), Gesù Cristo rivolse ai suoi discepoli perché fossero non solo «semplici come colombe» ma anche «accorti come serpenti».
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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