2022-03-25
I negozi di caccia e pesca diventano le armerie per i parenti dei soldati
A Kiev questi esercizi sono pieni di persone in cerca di equipaggiamento: in coda anche per tre ore. La capitale è tranquilla, però i check point restano agguerriti.Niccolò Celesti da KievÈ mattina presto, durante un giro di controllo in un quartiere a Sud Est della città, vicino alla piazza di Darnizka, una fila fuori da un negozio di articoli militari attira la nostra attenzione: in fila ci sono donne, uomini, militari, entrano a turno e escono, con scarpe, accessori, scarponi, cappellini; la fila aumenta minuto dopo minuto e scorre lentissima, le mogli, i fratelli e i padri comprano qui per i propri parenti che sono nei centri dì addestramento. Dopo tre ore di fila è il nostro turno, all’interno, al piano terra, ci sono giacche, vestiti, cappelli, kit di sopravvivenza, scarponi e armi da caccia, questo è (o era) il classico negozio di caccia e pesca, ora però ci sono armi, parecchie armi.Il viavai è continuo, ci sono militari che si comprano cose che l’esercito non passa, accessori da difesa personale oppure semplicemente ricambi. Ce ne sono vari di questi posti in città, ovviamente le location sono segrete, le foto proibite, ma accompagniamo Lisa (nome dì fantasia), che incontriamo in fila, e ci racconta perché è lì, con un italiano ottimo imparato alla televisione nel corso degli anni. «Sono qui per mio fratello, lui ha 49 anni, si è arruolato ed è in un centro dì addestramento qui in città. Mi ha chiesto di comprare un completo mimetico, un coltello e una pila frontale, vorrebbe il visore notturno, ma costa troppo».Quando esce dal negozio sono le 13 e rimontiamo in macchina per tornare verso il centro città. Lisa era impiegata per un’azienda dì interior design: «Lavoravo con architetti anche italiani, ma ora non ci sono più case da arredare, io sto cercando di rimanere qui quanto più possibile, ma senza lavoro non ci sono soldi e senza soldi non potrò aiutare mio fratello al fronte e il resto della famiglia che vive qui». Nelle strade di questo quartiere sembra una giornata di primavera, negli altri quartieri dove abbiamo sostato da quando siamo a Kiev non abbiamo mai visto così tante persone fuori a fare spese. Qui il mercato è pieno, così come vediamo aperti negozi di casalinghi e di vestiti, i bambini al parco, persone sulle panchine, la strada che porta al ponte per tornare sulla riva destra di Kiev è un’unica grande coda di macchine che si muove a un ritmo snervante. Al primo check point veniamo fermati, è un controllo normale all’inizio, poi veniamo fatti scendere, ci vengono tolti i cellulari, le macchine fotografiche e veniamo fatti sedere su un Jersey. I ragazzi della difesa territoriale sono cortesi, ma anche lenti e si capisce che non sanno bene cosa fare. Si occupano di noi ogni tanto, tra una perquisizione e l’altra delle macchine che passano, li vediamo ridere mentre scorrono la galleria del nostro cellulare, i messaggi fino all’assoluta intimità, cerchiamo di far sentire la nostra voce ma ci dicono di aspettare. Nel frattempo, intorno, tutti passeggiano, passano madri con bambini, ragazze che portano fuori il cane, i 15 gradi di questa giornata soleggiata e la mancanza di rumori di deflagrazione ci danno l’idea di essere tornati a casa, poi basta guardare la strada con i check point per tornare in guerra.Dopo poco, uno dei volontari si avvicina e ci dice con tono sfidante: «Abbiamo pulito Irpin, Hostomel e Bucha». In quel momento chiediamo indietro il cellulare, domandiamo di chiamare un amico che sta combattendo proprio in quella zona. È il nostro lasciapassare, due parole al telefono con lo stesso ragazzo del check point e siamo liberi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)