2022-08-01
Domenico De Masi: «Negli ultimi tempi il vero populismo stava a Palazzo Chigi»
Il sociologo del lavoro: «Quando Draghi si è rivolto direttamente al popolo saltando i corpi intermedi sembrava di sentire Peron».Ha prevalso l’identità, almeno questa volta. Su una delle ultime regole auree non ancora infrante, il tetto del doppio mandato, il Movimento 5 stelle non ha ammesso deroghe, nonostante le aperture e le promesse di Giuseppe Conte. Professor Domenico De Masi, sociologo del lavoro e grande appassionato dei movimenti politici, la telenovela è finita o ci riserverà altro? «Non sono nella testa di Giuseppe Conte o degli altri esponenti grillini per poter rispondere. Se avessero cancellato la regola dei due mandati, avrebbero fatto una scelta di praticità. Rinunciare alle competenze acquisite in quasi 10 anni è un sacrificio, soprattutto per deputati e senatori entrati in Parlamento anche molto giovani. Hanno deciso di mettere al primo posto il bisogno di identità, hanno rimarcato l’unicità che altri partiti non hanno».In sostanza, Conte si è arreso a Beppe Grillo? «Sapevamo di dover combattere contro zombie che avrebbero fatto di tutto per sconfiggerci o, ancor peggio, contagiarci», ha scritto il garante sul suo blog. «Grillo è uno dei fondatori del Movimento, il rispetto dei principi ispiratori è la cifra della sua funzione». Che rapporto ha con lui?«C’è da fare una piccola premessa». Prego. «Io non ho partecipato alla creazione del Movimento 5 stelle, né ho avuto un ruolo nella loro vita successiva. Pensi che non li ho neanche mai votati. Semplicemente, sono un sociologo molto interessato ai problemi del lavoro e alle vicende che riguardano i movimenti: ho studiato quelli italiani, quelli francesi e anche i brasiliani. Il movimento è uno dei modi attraverso cui si manifesta l’aggregato umano, con modalità opposte rispetto a quelle delle istituzioni. A differenza di altri intellettuali, che hanno alzato il sopracciglio e snobbato un’avventura votata da oltre il 30% degli italiani, io ho sempre avuto un interesse scientifico nei confronti del Movimento 5 stelle, concretizzato attraverso ricerche, interviste e incontri, da cui sono nati rapporti di stima reciproca. Vale per Luigi Di Maio, per Giuseppe Conte e Alessandro Di Battista. Vale infine per Beppe Grillo, con il quale ogni tanto scambiamo idee e impressioni». Lo ha sentito di recente? «No, l’ultima chiacchierata risale a un mese fa, quando è venuto a Roma. Prima che scoppiasse la crisi di governo». Erano i giorni dei famosi messaggi della discordia, attraverso i quali Mario Draghi avrebbe chiesto a Grillo di fare a meno di Conte. «E per i quali sono stato descritto come uno a cui piace rivelare i segreti sottobanco. Peccato che le cose siano andate in maniera diversa: i messaggi di Draghi su Conte - una delle figure apicali del Movimento, votato da quasi il 90% degli iscritti - erano informazioni di dominio pubblico, dal momento che Grillo ne aveva già rivelato l’esistenza ai suoi parlamentari e a Conte stesso. Tanto che alcuni di loro, presenti alle riunioni con il garante, mi hanno espresso preoccupazione per un’ingerenza che non si addice a un primo ministro, soprattutto non si addice a Mario Draghi, conosciuto per essere una persona estremamente corretta. Non sono un pettegolo, mi sono solo limitato a confermare ciò che era già noto».In questi anni lei ha studiato a fondo il Movimento 5 stelle, la sua evoluzione. Che fase è questa?«Una delle varie fasi evolutive che stanno portando il Movimento a diventare un partito politico. Un movimento è una sorta di mucchio di sabbia, in cui ci sono granelli di vario tipo, uniti da bisogni, interessi e rancori comuni. Per sua natura, quindi, è acefalo e volatile. Il partito politico, invece, è una specie di mattone, più compatto, strutturato e organizzato. Nella trasformazione a partito politico, il Movimento 5 stelle sta perdendo una parte dei suoi granelli. È un processo tipico, è già successo a suo tempo con il Partito comunista e la Democrazia cristiana».Nelle ultime settimane, le mosse del presidente Conte sono state piuttosto ondivaghe: prima sbarra la strada all’alleanza con il Pd e annuncia la corsa solitaria, poi apre di nuovo per richiudere subito dopo. Come interpreta questa schizofrenia?«La natura ondivaga è propria della politica. Non stiamo parlando dell’amministrazione, che è l’opposto della politica e che punta su regole fisse e immutabili. Il comportamento politico è diverso: tutti i leader hanno ondeggiamenti nelle dichiarazioni, compreso il Papa. Figuriamoci ora che siamo in piena campagna elettorale: prepariamoci a ondeggiamenti infiniti e molto compressi, visto il poco tempo che ci separa dalle elezioni». Questi ondeggiamenti sono il sintomo di un leader che non sa che pesci prendere?«Chi sa che pesci prendere in questo momento?». Conte gioca al leader antisistema per mere questioni elettorali?«Antisistema è una parola enorme. Per intenderci, è antisistema chi vuole sovvertire l’ordine democratico, certamente non il Movimento 5 stelle di Conte. Noto una certa propensione a usare parole come “antisistema” o “populismo”, che sono concetti enormi. L’unica vera forma di populismo che ho visto nelle ultime settimane è il discorso di Mario Draghi, per il voto di fiducia al Senato. Rivolgersi direttamente al popolo, bypassando i corpi intermedi, è la prima cifra del populismo. Un atteggiamento peronista».La rottura con il Pd è stato un errore, secondo lei?«Se tra due partiti divergono gli obiettivi e i modelli di società, la rottura diventa un obbligo». Cosa consiglierebbe al Movimento 5 stelle?«I 5 stelle avrebbero dovuto accelerare la loro trasformazione tempo fa, quando è caduto il secondo governo Conte. Credo che avrebbero fatto bene a restare fuori dall’esecutivo Draghi e dedicarsi alla strutturazione in partito, che richiede passaggi complessi». Per esempio, quali?«Innanzitutto, l’elaborazione di un modello di società, alternativo a quelli degli altri partiti. E poi, una precisa organizzazione dei compiti e delle mansioni, una struttura finanziaria, perché un partito costa, e una precisa analisi delle alleanze e delle opposizioni. Probabilmente, se fossero rimasti all’opposizione da sinistra, oggi avrebbero lo stesso peso di Giorgia Meloni, che la sua opposizione l’ha organizzata dall’altro lato dello scacchiere politico». Che tipo di modello di società propone il Movimento 5 stelle?«Dal mio punto di vista, quello di un sociologo che al tema ha dedicato anni di studio, libri e analisi, credo che non abbiano alcun modello compiuto di società da proporre, proprio come tutti gli altri partiti italiani. Del resto, basta leggere i libri dei leader di partito per farsi un’idea: forse, l’unico ad aver abbozzato un modello di società preciso è Carlo Calenda. Lui si rifà al liberismo, di fatto non immagina nulla di particolarmente rivoluzionario. È una caratteristica tipica dei partiti nelle società post industriali: anche le posizioni più divergenti non sono mai bianco e nero, non sono mai nette e precise. Sono sempre sfumate. Basti pensare, ad esempio, ai repubblicani e ai democratici negli Stati Uniti. Perché si possa definire un solido modello di società, serve studio e pazienza: prima di fare l’Internazionale, Marx ha studiato a lungo e a fondo. Ormai i partiti non si interessano più dell’analisi sociale. Fare una seria analisi sociale, significa fondare i partiti su classi sociali di riferimento. Se si partisse dal radicamento di classe, allora ci sarebbe una evidente differenza di progetti e di modelli».Dopo la rottura con Letta, pensa che lo sbocco naturale per il Movimento 5 stelle sia porsi alla sinistra del Pd?«Prescindiamo per un attimo dall’ideologia e immaginiamo di essere dei freddi e asettici cultori del marketing elettorale. Ci sono partiti che puntano sull’alta borghesia: se io fossi un alto borghese, per esempio, voterei Silvio Berlusconi. Per la media borghesia, c’è addirittura l’imbarazzo della scelta. Ma se io fossi uno dei 12 milioni di poveri in Italia, per chi voterei? Non esiste un partito di riferimento, l’ultimo è stato il Pci di Berlinguer. Come abbiamo visto dalle analisi degli ultimi voti, i cittadini dei Parioli votano Pd. Nei quartieri dell’estrema periferia, guardano ai 5 stelle».Basta il reddito di cittadinanza per potersi definire di sinistra? Per il filosofo Roberto Esposito, i 5 stelle «non sono ancora maturi, non hanno la storia per rappresentare con coerenza un popolo che cerca voce». «Se bastasse il reddito di cittadinanza, voterei anche io per il Movimento 5 stelle. Comunque, hanno introdotto il reddito, hanno voluto il decreto Dignità: probabilmente, non avranno fatto moltissimo per i 12 milioni di poveri complessivi che ci sono in Italia, ma sono quelli che hanno fatto di più e meglio. Sicuramente meglio di chi il reddito lo combatte, come Matteo Renzi che vorrebbe addirittura abolirlo».