2023-09-16
Lo studio sui geni poteva salvare vite ma si spinsero solo vaccini e divieti
Bergamo, 27 marzo 2020: le bare delle vittime caricate su mezzi dell'Esercito (Ansa)
La ricerca sui cromosomi ereditati dai Neanderthal fu snobbata, eppure esistevano anche i test per individuare i soggetti più a rischio. Attenzione e risorse furono infatti riservate soltanto a profilassi e diktat, pure per i bimbi.«Sapere chi ha questa predisposizione può essere decisivo nel combattere l’epidemia». Era il 15 gennaio del 2021, quando Massimo Delledonne, professore in biotecnologie all’Università di Verona, suggeriva di individuare le persone con geni localizzati sul cromosoma 3 «ereditati dal nostro progenitore circa 60.000 anni fa», come evidenziato da studi scientifici. Alla Verità, spiegava che questi soggetti «hanno più possibilità degli altri di finire attaccati a un respiratore», e di aver scoperto che «solo una percentuale fra 14% e 16% ha questa caratteristica». Quindi, si era detto, troviamoli! Gli avessero dato ascolto, forse avremmo avuto meno morti per Covid, minori restrizioni assurde e tanti individui sani non sarebbero stati costretti a inocularsi un vaccino che, se ha salvato vite, ha anche provocato parecchi eventi avversi. Oggi, lo studio Origin dell’Istituto Mario Negri pubblicato su iScience conferma che «chi è portatore dei geni di Neanderthal aveva un rischio più alto del doppio di sviluppare Covid grave», ha spiegato Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri, presentando la ricerca. Non solo, era più che triplicato il rischio «di avere bisogno di terapia intensiva e di ventilazione meccanica rispetto a chi non ha questo aplotipo», ovvero un insieme di alleli (varianti di uno stesso gene) nello stesso cromosoma, che vengono ereditati insieme per generazioni. Il biologo e genetista svedese Svante Pääbo, premio Nobel per la medicina 2022, che assieme al genetista del Karolinska Institutet di Stoccolma, Hugo Zeberg, aveva coordinato la ricerca su una regione del cromosoma 3, associata al rischio di insufficienza respiratoria in caso di infezione da Sars- CoV- 2, «ha annunciato in un congresso di pochi giorni fa che l’aplotipo di Neanderthal ha fatto probabilmente un milione di vittime». Secondo il professor Remuzzi, «forse sono quei morti per cui non si trova una giustificazione: non veramente anziani, senza malattie associate, senza compromissione del sistema immune». Varianti specifiche dei geni ereditati sarebbero correlabili con gli effetti gravi della risposta all’infezione da Covid-19. Il cromosoma di Neanderthal, «una volta forse proteggeva dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa», ha commentato lo scienziato.Lo studio Origin è riuscito anche ad individuare 17 nuove regioni genomiche, «di cui dieci potenzialmente associate a malattia severa e sette al rischio di contrarre infezione». Dunque, le informazioni ottenute dagli studi genetici permettono di capire chi è più a rischio di contrarre malattia grave e deve essere monitorato con più attenzione. Perché queste preziose indicazioni, fornite a inizio campagna vaccinale, non hanno trovato seguito in ricerche estese e studi applicati su gran parte della popolazione? Il professor Delledonne, quasi tre anni fa aveva messo a punto con il suo team un tampone capace di amplificare alcune regioni del Dna, quelle del cromosoma 3. «Se sei positivo a quel test è probabile che lo avrai in forma grave», spiegava, e il margine di errore era «zero». Potete immaginare cosa avrebbe significato rendere quel tampone accessibile a ogni cittadino? Per lo studio Origin sono state reclutate 9.733 persone di Bergamo e provincia. Da un campione selezionato di 1.200 è emerso che 400 avevano avuto una forma grave della malattia (e più frequentemente parenti di primo grado morti a causa del virus), 400 presero il virus in forma lieve e 400 non si contagiarono. Di tutte queste persone è stato studiato il Dna, con tutte le variazioni genetiche. E se nella provincia di Bergamo, epicentro della pandemia, è stato dimostrato che una certa regione del genoma umano si associava col rischio di ammalarsi di Covid-19 in forma grave, chissà quali risultati analoghi si potevano ottenere analizzando il Dna di campioni di cittadini in centinaia di altri Comuni.L’unica mobilitazione scientifica, culturale, sociale ed economica invece è stata pro vaccino, escludendo percorsi di ricerca che individuassero cure possibili per il Covid, così pure studi genetici mirati a comprendere la predisposizione ad ammalarsi in modo grave. A quelle categorie di persone andava indirizzato il vaccino, non a tutti i sani, bimbi compresi.Quanto poi a banalizzare la scoperta dei geni di Neanderthal, come molti giornali hanno fatto, c’è stata la presa di posizione dell’associazione dei familiari delle vittime del Covid19, «Sereni e sempre uniti». «Possono aver contribuito alla diffusione del virus», hanno commentato, ma «non possiamo che rimarcare il nostro disappunto per come sia stata interpretata la notizia, togliendo responsabilità a chi ne ha avute nella gestione della prima fase della pandemia», in Bergamasca e nel resto d’Italia, dove non sono stati condotti studi genetici. Non si può «negare l’evidenza e attribuire responsabilità all’uomo delle caverne», protesta uno degli avvocati, Consuelo Locati.
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