2023-08-17
Nato, banche e armi: pressing su Kiev per l’accordo di pace
Volodymyr Zelensky (Getty Images)
L’Alleanza ipotizza cessioni alla Russia in cambio dell’ingresso nel Patto. E da Londra e Berlino segnali di frenata per Volodymyr Zelensky.Le elezioni americane si avvicinano. O meglio la campagna elettorale Usa per il voto del 2024 inizierà a entrare nel vivo il prossimo autunno e gli effetti sulla guerra in Ucraina cominciano a vedersi. Segnali, dichiarazioni e mosse sotterranee stanno a indicare che le parti in campo (tutte, forse tranne Volodymyr Zelensky) sarebbero pronte a una trattativa. Sarebbero pronte a trovare un punto di caduta e alla definizione di uno status quo. Tirare una linea e decidere nuovi confini dell’Ucraina. Nella serata di Ferragosto il capo di gabinetto del segretario Nato Jens Stoltenberg, Stian Jenssen, si è presentato ai microfoni di una tivù norvegese avanzando per la prima volta l’ipotesi di cedere pezzi di territorio a Mosca per agevolare l’ingresso di Kiev nella Nato. «L’Ucraina potrebbe dover accettare di lasciare andare parte del territorio occupato dalla Russia se vuole aderire alla Nato», ha detto Jenssen, parlando ai media norvegesi in una tavola rotonda. «Penso che una soluzione potrebbe essere che l’Ucraina rinunci al territorio e ottenga in cambio l’adesione alla Nato», ribadendo in ogni caso la linea di Stoltenberg secondo cui «deve spettare all’Ucraina decidere quando e in quali condizioni negoziare» con Mosca per la fine della guerra. Ovviamente a stretto giro di posta è arrivata la replica di Kiev. «Scambiare territori per un ombrello Nato? È ridicolo. Ciò significa scegliere deliberatamente la sconfitta della democrazia, incoraggiare un criminale globale, preservare il regime russo, distruggere il diritto internazionale e tramandare la guerra ad altre generazioni», ha risposto il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak dando il via a una successiva nota del portavoce Nato che però ha smentito solo in parte le parole di Jenssen. Confermando l’idea che si sia avviato un gioco delle parti per vedere il punto di rottura diplomatico e, al tempo stesso, per tastare le reazioni dell’opinione pubblica. Senza contare che da diverse settimane anche le principali emittenti Usa cominciano a pubblicare reportage e servizi nei quali l’avanzata ucraina non è certo più descritta con toni trionfalistici da Istituto Luce. Una grande fetta del partito Repubblicano cavalcherà la crisi interna e la situazione inflattiva degli Usa per rimettere in discussione i fondi a pioggia destinati a Kiev. Ma ci sono anche numerosi think tank riconducibili ai Soros che da tempo sostengono posizioni sulla guerra distanti da quelle della Casa Bianca. C’è poi un elemento parallelo che si appresta a dire la sua di nuovo sull’Ucraina. Si tratta della Gran Bretagna. L’ex Paese europeo è stato tra i più attivi nel preparare il terreno pre bellico e il sostegno all’intelligence ucraina. Grazie alla Brexit nel 2021 è riuscito a chiudere interessanti accordi commerciali bilaterali con Kiev e adesso che Londra si è avvantaggiata potrebbe spostare le energie di interferenza su quei Paesi africani che sono usciti dalla sfera francese. Se lo scontro si dovesse spostare nella fascia del Sahel ribaltata (geopolitcamente parlando) dai golpe filorussi, è chiaro che si renderà necessario congelare l’Ucraina in una sorta di pace armata. Non a caso ieri il sito di Politico ha diffuso una lettera inviata al ministro Andrew Griffith tramite la quale il presidente della camera di commerico ucraino-britannica lamenta la chiusura forzata di numerosi conti di aziende che fanno affari con società con sede a Kiev. Le banche dal canto loro sottolineano la necessità di ottemperare alle norme sull’antiriciclaggio e sulle triangolazioni con Paesi sotto embargo. Il significato politico è chiaro. I rubinetti cominciano a chiudersi per due motivi. Ridurre l’afflusso di denaro rallenterà sicuramente l’autonomia ucraina e spingerà le aziende presenti a concentrarsi sulla ricostruzione che a sua volta attingerà a budget diversi. Inoltre, una Gran Bretagna meno attiva sul fronte dell’intelligence in Ucraina toglierà risorse all’offensiva di Kiev. Con ciò non bisogna intendere che dobbiamo aspettarci una svolta netta. Ma un cambiamento nei rapporti e negli obiettivi. Gli Stati Uniti prima con Donald Trump e poi con Joe Biden hanno dichiarato apertamente che l’Europa aveva eccessiva dipendenza dalla Russia e che non spendeva sufficiente denaro nel perimetro della Nato. Il famoso 2 per cento del Pil. Ecco che i due obiettivi americani sono stati raggiunti. In tempi abbastanza rapidi anche grazie a Londra. Adesso infatti le spese per gli armamenti cominciano già a posizionarsi su strategie differenti. Le ultime commesse (soprattutto quelle finanziate dalla Germania) saranno consegnate intorno alla primavera del 2024. Si tratta di sistemi d’arma, però, studiati per una situazione difensiva, non di attacco. Basti pensare alla difesa anti aerea prodotta da Rheinmetall. Tradotto in parole più semplici. È facile immaginare che se la data di consegna sarà marzo o aprile 2024 in quel momento si immagina sia già avvenuta una sorta di cristallizzazione. Una cessione di territori a fronte di una pace armata. D’altronde non ci sarà solo il fronte africano caldo. Dal punto di vista finanziario e delle materie prima andiamo verso un blocco asiatico molto potente. Il caso dell’India che deliberatamente invita al G20 la Russia e non l’Ucraina è un segno importante per l’Occidente.
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.