2019-03-09
Nasce l’app che sceglie con una foto la donatrice di ovuli più simile a noi
Il portale di una banca del seme spagnola chiede alle aspiranti madri di fornire dati come peso e colore di occhi e capelli. Con 299 euro si può inviare pure un selfie. Il pacchetto «premium» costa 3.799 euro.L'articolo contiene le schermate dell'app Ovomatch da noi testata«Chissà se avrà i tuoi occhi. Spero prenda la tua altezza e il colore del tuo incarnato. Chissà a chi dei due somiglierà di più». Sono migliaia le domande che i futuri genitori, almeno una volta durante la gravidanza, si pongono sull'aspetto del nascituro. Domande a cui, tuttavia, non tutti possono avere risposte. Se il piccolo è infatti viene concepito attraverso la fecondazione in vitro con l'ovulo di una donatrice, sapere a chi assomiglierà in un futuro il proprio figlio rimane un'incognita non solo per i nove mesi di gravidanza, ma per tutta la vita. O forse no. La spagnola Ovobank, una delle banche di ovuli più note in Europa, ha sviluppato un algoritmo legato al riconoscimento facciale in grado di selezionare donatrici con i tratti fenotipici più simili ai futuri genitori. Secondo i dati del ministero della Salute, in Italia nell'ultimo anno sono stati effettuati 4.636 cicli di fecondazione assistita con donazione di ovociti o con embrioni formati da gameti donati e 1.611 con donazione di seme. Numeri che hanno fatto dell'Italia uno dei principali Paesi a cui guardare tanto che, se un tempo erano le coppie italiane a recarsi in Spagna, Belgio o Grecia alla ricerca di donatrici, oggi sono soprattutto gli spagnoli a spostarsi nel Belpaese in cerca di aiuto per avere un figlio. Un rapporto, quello tra Spagna e Italia, che sembra essersi ancora più rinforzato con lo sbarco anche nel nostro Paese dell'app Ovomatch. Il programma, sviluppato dalla banca di ovociti di Marbella arriva in Italia grazie al centro di riproduzione assistita Altamedica di Roma. «È una tecnologia che sta riscuotendo molto successo», spiega Franco Lisi, responsabile del centro nella Capitale «Tra le donne che si rivolgono al nostro centro una su due sceglie di utilizzare la nuova applicazione. Nel prossimo futuro questo software avrà un'ampia diffusione perché ha il vantaggio non indifferente di placare le ansie di tante donne che si avvicinano alla fecondazione eterologa». Abbiamo scaricato sul nostro smartphone l'applicazione per scoprire come funziona. Ovomatch è semplicissima nel complesso e richiede, come ovvio che sia in questi casi, molteplici dati. Si inizia come sempre da una registrazione semplice: indirizzo di posta elettronica e password. Nella seconda schermata, dopo un messaggio di benvenuto, Ovomatch spiega che per procedere saranno richiesti una serie di dati personali e fenotipici per cercare donatrici compatibili. Accettiamo e proseguiamo. Dopo nome, cognome, data di nascita e il proprio indirizzo, l'applicazione chiede l'inserimento di un documento di identità (passaporto o carta d'identità) affinché si possa procedere con la creazione del proprio profilo. Non solo. Nel caso in cui la ricerca di ovuli avvenga in coppia, Ovomatch richiede espressamente i medesimi dati anche per il partner. Una volta completati tutti gli spazi si passa ai dati fenotipici del ricevente. Etnia, gruppo sanguigno, colore dei capelli, degli occhi, della pelle, peso, altezza e tipologia di capello sono, secondo la banca di ovuli, i dati necessari per la ricerca della donatrice perfetta. Una volta completata la propria scheda, l'applicazione mostra i centri collaboratori più vicini al luogo in cui si vive. Nel nostro caso, Milano. Solo nel Nord Italia sono 12 le cliniche che collaborano con Ovobank. Fin qui, il procedimento è completamente gratuito. È solo nella settima schermata che si scoprono i primi prezzi del procedimento. Per un mini lotto (tre-quattro ovociti vetrificati) si parte da una cifra base di 1.500 euro. Il prezzo raddoppia per un lotto standard (sei-sette ovociti vetrificati) e passa a 3.500 euro per la versione maxi, composta da otto-nove ovociti. Selezioniamo il piano più costoso e subito veniamo reindirizzati in una pagina di transizione in cui cerchi concentrici e una clessidra indicano che Ovobank, ricevuti i nostri dati, sta provvedendo alla ricerca di donatrici fenotipicamente compatibili. Nel nostro caso la ricerca comprende 266 persone. Ma qui scatta l'innovazione. L'app, infatti, a questo punto offre la possibilità di effettuare un matching facciale al costo extra di 299 euro. Accettiamo e davanti a noi si apre una schermata simile alla fotocamera del nostro cellulare. A questo punto, ci scattiamo un selfie e lo inviamo a Ovomatch. Dopo circa un minuto scopriamo che delle 266 donne precedentemente selezionate solo 43 farebbero al caso nostro. L'ultima schermata ci riepiloga le nostre richieste con tanto di prezzo completo. Per un lotto di 1.365 donatrici analizzate, otto-nove ovociti e l'opzione matching facciale il costo della proceduta è di 3.799 euro, che si sommeranno ai costi di spedizione del pacchetto con i nostri probabili futuri figli.Attualmente sono circa 4.000 le fotografie delle donatrici conservate nel database di Ovobank e per tutte loro l'anonimato è garantito. Secondo la legge spagnola in tema di fecondazione eterologa, l'archivio è criptato e i pazienti non possono risalire a nessun dato relativo alle donatrici e tanto meno visualizzarne i volti.Dopotutto, come assicura l'app, «vostro figlio sarà perfettamente compatibile con i vostri fenotipi e nessuno sarò in grado di sostenere, anche per un istante, che non sia vostro al 100%».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)