2018-04-14
Non solo la politica, Napolitano ha limitato l'autonomia della magistratura. Parola di pm
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Esce in libreria il libro di Riccardo Iacona «Palazzo d'ingiustizia» dove attraverso interviste all'ex procuratore aggiunto Alfredo Robledo e a documenti inediti emerge la verità su come l'ex presidente della Repubblica influenzò la storica procura di Mani Pulite.«Non volevo la cacciata di Bruti Liberati. Volevo solo poter continuare a lavorare senza interferenze. Ma sulla mia vicenda è intervenuta in maniera pesante, e direi dirimente, la famosa lettera di Napolitano. Lì ho capito che per me era finita, che mi avrebbero schiacciato». Le parole di Alfredo Robledo, ex procuratore aggiunto della procura di Milano, già a capo del pool anticorruzione, rischiano di riaprire vecchie ferite mai sanate a livello istituzionale, in particolare sui rapporti tra politica e giustizia. Per questo va letto con attenzione il libro «Palazzo d'ingiustizia» (edizioni Marsilio) scritto dal giornalista Riccardo Iacona, uscito due giorni fa nelle librerie di tutta Italia, dove proprio Robledo spiega quegli anni difficili al palazzo di Giustizia di Milano. Ne emerge un quadro a tinte fosche dove spicca il ruolo dell'attuale presidente emerito Giorgio Napolitano, che non solo ha condizionato la politica degli ultimi dodici anni, (fu eletto nel 2006 e rieletto nel 2013 per due anni ndr) ma ha saputo influire anche sulla magistratura, da numero uno del Csm. Tra le più di duecento pagine viene raccontato lo scontro tra l'ex procuratore aggiunto e l'ex capo della procura Edmondo Bruti Liberati, quando il secondo tolse al primo inchieste delicate, con la pesante ombra di aver cercato di ritardare o influenzare alcune indagini "per motivi che nulla avevano a che fare con l'autonomia della magistratura». Si trattò di uno smacco per la procura che ribaltò la politica italiana con Mani Pulite, una guerra iniziata nel 2013 che ha attraversato le grandi inchieste di questi ultimi anni, da quelle sull'ex governatore Roberto Formigoni fino a quella fatale su Expo 2015. Iacona ha potuto studiare gli esposti presentati da Robledo al Csm nel 2014. Nel libro si può leggere la lettera che Napolitano - allora numero uno del Csm e in questi giorni impegnato nelle consultazioni del governo insieme al presidente Sergio Mattarella - inviò al vicepresidente Michele Vietti per influenzare la decisione di palazzo dei Marescialli e decretare la fine della carriera dell'ex procuratore aggiunto. Iacona lo scrive nell'introduzione: «Aveva ragione Robledo, altro che conflitto tra due personalità esuberanti! Lo scontro con Bruti Liberati è stato ed è molto più importante dei due contendenti e ci riguarda ancora adesso molto da vicino. In ballo c'è l'autonomia del magistrato quando amministra la giustizia, e non è cosa da poco». A pagina 112 si può anche leggere la replica di Bruti Liberati, che ha accettato di parlare con l'autore a patto che, «durante la conversazione, non si entrasse nei dettagli dell'esposto presentato contro di lui da suo ex procuratore aggiunto». L'ex capo della procura smentisce la «moratoria» su Expo, anzi fa quasi balenare l'idea che volesse querelare alcuni giornalisti che avevano utilizzato quel termine. In quella guerra che si svolse nel 2014 il vero protagonista fu Napolitano, appena eletto per la seconda volta nel 2013 un «bis-storico» mai accaduto in più settant'anni di Repubblica. Nelle pagine del libro si legge che dopo lo scontro a palazzo dei Marescialli tra Robledo e Bruti si ipotizzava che ci fosse un pareggio tra i due. Ma il 13 giugno del 2014 proprio l'ex ministro degli Esteri del Pci inviò a Vietti una lunga lettera che cambiò la storia. Nella fatica editoriale di Iacona, Napolitano tiene subito a precisare nel suo scritto che «gli elementi di disordine e di tensione che si sono creati a Milano senza un pacato riconoscimento delle funzioni ordinatrici e coordinatrici che spettano al Capo dell'Ufficio». E anzi, l'allora capo dello Stato, aggiunge che «le garanzie di indipendenza interna» del Pubblico Ministero riguardano l'ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato». Insomma, scrive Iacona «l'autonomia e l'indipendenza della magistratura non vengono esercitate dal singolo magistrato, non sono un patrimonio costituzionalmente acquisito nella funzione stessa dell'esercizio della giustizia, ma qualcosa che appartiene alla ditta nel suo complesso». In pratica Napolitano invitò i membri del Csm a non impicciarsi troppo delle prerogative di autonomia e indipendenza dei singoli magistrati. E sono in tanti, citati nel libro, a spiegare che la lettera di Napolitano fu una limitazione dell'autonomia e dell'indipendenza della funzione inquirente. Anche perché fu una missiva molto inusuale, dal momento che non si ricorda un capo dello Stato che interferisce su una situazione interna di una procura. Grazie a quell'intervento neppure una settimana dopo, il 26 giugno, Bruti Liberati esautorò Robledo dalle indagini su Expo 2015. Fu un intervento decisivo per far partire un'esposizione universale iniziata in ritardo per i litigi della politica sulla gestione di appalti e sub appalti. Ma non c'è solo la procura di Milano. Tra le 200 pagine si fa cenno pure al caso di Nicola Gratteri, l'ex procuratore di Catanzaro da sempre in guerra contro la 'Ndrangheta: in predicato di diventare ministro del nuovo governo Renzi fu bloccato proprio dall'ex presidente della Repubblica. Del resto se a novantadue anni Napolitano è ancora l'ago della bilancia nella formazione del prossimo governo nel 2018, un motivo ci sarà.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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