2020-07-20
Nagorno Karabagh, una guerra per la libertà
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Nagorno Karabagh (Armenpress)
L'ex ambasciatore italiano: «E' l'indipendenza del Karabagh, e non interessi economici legati a cospicue risorse energetiche, la vera partita in gioco tra l'Armenia e l'Azerbaijan».L'improvvisa recente ripresa delle ostilità tra l'Armenia e l'Azerbaijan, per il conteso territorio del Nagorno Karabagh, confermerebbe ancora una volta come sempre più difficile sia trovare un valido rimedio a un conflitto che dura ormai da oltre vent'anni ricorrendo agli strumenti negoziali offerti dalla mediazione internazionale.L'aggressione, infatti, perpetrata dall'Azerbaijan il 12 luglio scorso contro insediamenti civili armeni nella località confinaria di Tavush non fa che arricchire la già drammatica vicenda di un tragico portato per via del pericolo ora adombrato di una "escalation" di tensione tra i due Paesi non più mediata dal territorio del Karabagh, bensì direttamenete tra loro col rischio di una ripresa delle ostilità su vasta scala e con conseguenze destabilizzanti per tutta la regione del Caucaso.Superfluo ricapitolare sul piano storico l'origine e l'evoluzione del conflitto. I fatti sono noti e reperibili su qualunque buon testo di cronaca imparziale e obiettiva. Basti soltanto constatare ai fini di una analisi obiettiva e spassionata che quella del Nagorno Karabagh può ben e fondatamente configurarsi come una delle ultime guerre combattute ancora in nome della libertà.Aldilà di valutazioni su singoli fatti e circostanze contingenti, possiamo infatti affermare che è l'indipendenza del Karabagh, e non interessi economici legati a cospicue risorse energetiche, la vera partita in gioco tra l'Armenia e l'Azerbaijan, ovvero la libertà di un popolo che in quel territorio aveva il proprio storico insediamento e che solo considerazioni di opportunismo politico avevano indotto l'Unione Sovietica del tempo di Stalin a trasferirlo come "oblast" dalla Repubblica dell'Armenia a quella dell'Azerbaijan. Dunque, un misfatto politico sarebbe all'origine della conflittualità, una decisione odiosa assunta in totale disprezzo di quelli che sono in fondo i fondamentali diritti di nazionalità e di identità culturale ed etnica di un popolo.Con la dissoluzione dell'Urss tuttavia, il confronto ideologico tra le due comunità non è andato scemando, ma al contrario si è riacceso nutrendosi della negazione opposta da Baku acché il popolo del Karabagh potesse acquistare a termini della legge approvata dal Soviet Supremo nel 1990 sulla "Secessione degli Stati" la propria indipendenza. Un diritto di cui si è ampiamente valsa proprio la Repubblica dell'Azerbaijan senza che lo stesso diritto, spettante ai sensi della medesima legge a entità statuali e a quelle autonome al loro interno, venisse del pari riconosciuto, e legittimamente, anche al territorio del Karabagh. Questa in estrema sintesi la ragione del confronto. Un confronto che si nutre e alimenta, quindi, della inconciliabilità tra due principi internazionali: da un lato quello dell'integratità territoriale sostenuto da Baku, e dall'altro quello dell'autodeterminazione dei popoli, un principio, quest'ultimo, che sbandierato per oltre mezzo secolo dalle Nazioni Unite ha plasmato il mondo conferendovi quelle libertà di cui esso oggi vive.Ma i fatti dello scorso 12 luglio, a ben osservare, non sembrano potersi collocare in quella lunga teoria di violazioni del "cessate-il-fuoco" che da decenni ormai segnano la storia lungo la linea di contatto che separa il Nagorno Karabagh dall'Azerbaijan. Questa volta l'aggressione è stata portata dagli azeri direttamente in territorio armeno e con una serie di atti bellici e di provocazioni la cui entità, particolarmente drammatica, dovrebbe farci riflettere sulle gravi conseguenze che il deteriorarsi della situazione potrebbe implicare per la stabilità di un'area particolarmente sensibile per via della presenza strategica di importanti condotte energetiche. E' l'Armenia stessa ora ad essere colpita da azioni di guerra deliberatamente intraprese da una dirigenza azera sempre più intenzionata a minacciare l'incolumità degli insediamenti civili di confine configurando addirittura veri e propri crimini di guerra, senza alcun riguardo per il Diritto Umanitario e in piena disobbedienza per i doveri imposti dalle stesse Convenzioni di Ginevra. Ma un elemento ancora, che dettaglio proprio non è, renderebbe quest'ultima aggressione particolarmente odiosa: il folle proclama reso da Baku di voler colpire con missili la centrale atomica di Metzamor ignorando, peraltro, che il conseguente disastro nucleare andrebbe a devastare, oltre all'Armenia, l'Azerbaijan e addirittura la stessa Turchia i cui confini distano solo pochissimi chilometri da quella località.Dunque, l'aggressione azera si tingerebbe questa volta non solo dei colori detestabili di una retorica bellicistica sempre più insidiosa nel corso degli anni, ma anche di quelli ben più cupi e nefasti del terrorismo! E' l'intimidazione ora la sottile arma degli azeri, la minaccia di un danno estremo che a loro parere dovrebbe piegare la determinazione dell'Armenia ad accettare soluzioni contro i suoi stessi storici interessi. Purtroppo, il prolungarsi del conflitto nel tempo non giova obiettivamente alla causa armena. Il suo protrarsi senza una concreta azione della Comunità internazionale in favore di un obiettivo riconoscimento dei diritti di libertà, rischia di capovolgere la posizione di Yerevan, facendola transitare da una linea improntata alla difesa ad una di aggressione. Impressione, questa, corroborata peraltro dalla speciosa informazione dei circoli legati agli interessi energetici di Baku e dal sostegno apertamente dichiarato dai "fratelli turchi" in un momento in cui gli sforzi di una politica espansionistica condotti spregiudicatamente da Ankara sembra diano i primi frutti nell'inerzia e nella passività di un Occidente che rifiuta, per accidia mentale o per mancanza di coraggio, di vedere come in fondo la Storia rischi molto spesso di ripetersi nelle sue pieghe apparentemente più trascurabili, ma proprio per questo più pericolose.L'Armenia obiettivamente non avrebbe oggi alcun interesse a compiere atti di aggressione nei confronti dell'Azerbaijan. Affermare il contrario è falso. E' disinformazione. L'Armenia avrebbe già dalla fine delle ostilità nel 1994 conseguito l'obiettivo di "liberare il popolo del Karabagh", peraltro autoproclamatosi indipendente. E tutte le questioni collaterali, di cui tanto si discute nelle sedi di mediazione internazioanle ( dalla restituzione delle 7 regioni azere occupate al ritorno dei rifugiati ed altre ) sono lì, in attesa di una soluzione negoziata che, oggetto, sotto il patrocinio dell'Osce, di continui colloqui bilaterali tra le due Capitali nel corso degli anni, è rimasta sempre una speranza disattesa per improvvida inaffidabilità dei negoziatori azeri.Dunque, guardiamo a quest'ultima violazione del "cessate-il-fuoco" dell'Azerbaijan come a un pericoloso segnale, un prodromo dell'intenzione perseguita dalla dirigenza di Baku di alterare unilateralmente e con la forza la situazione consolidatasi "de facto" per il Nagorno Karabagh poggiando sulla spregiudicata spavalderia che una Turchia lanciata verso il recupero di ambizioni ottomane di antica memoria può oggi garantire. Un quadro fosco? Può darsi. Ma proprio la consapevolezza dei rischi implicati da questa perdurante crisi caucasica dovrebbe indurre la Comunità internazionale, ma in particolare l'Europa, a non sottovalutare gli effetti destabilizzanti per l'intera regione euroasiatica che la eventuale ripresa di una guerra totale tra i due Paesi avrebbe qualora, messa alle strette, l'Armenia si vedesse costretta a reagire per la propria legittima e irrinunciabile difesa.