2023-05-25
Nagel va avanti senza il dogma di Generali
L’ad di Mediobanca rompe il tabù: possibile, in futuro, la vendita del 13% della compagnia assicurativa nel caso di una grande acquisizione. Il manager scade a ottobre, ma lancia un nuovo piano triennale che comprende la distribuzione di 3,7 miliardi ai soci.«Nessun dogma, possiamo disporre di tutta la quota di Generali se si presentasse una grande acquisizione». L’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ha risposto così alla domanda di un analista sull’eventuale vendita del 13% del capitale della compagnia assicurativa triestina. «Guardiamo la quota dal punto di vista del contributo che ha sul nostro conto economico. Avere Generali in portafogli è un plus e oggi abbiamo solo vantaggi a tenerla. Questo ragionamento può cambiare se avremo delle alternative migliori basate sui fatti, non su fantasie», ha poi aggiunto. Mediobanca ha liquidato gran parte delle partecipazioni societarie e ha già allentato da qualche anno il cordone che l’ha tenuta storicamente legata a Trieste: in piazzetta Cuccia gli utili oggi non si fanno più (solo) con le zampate del Leone ma soprattutto sedendosi in prima fila al tavolo del risiko della finanza con il cappello di leader del wealth management (la gestione dei patrimoni) oltre che facendo crescere la divisione del Corporate Investment Banking (Cib). E sempre negli ultimi anni, la strategia industriale dell’ad Alberto Nagel è stata una costante spinta alla diversificazione delle fonti di ricavo per aumentare i profitti e ridurre il profilo di rischio, abbandonando l’assetto di holding di partecipazioni. Ma è la prima volta che i vertici di Piazzetta Cuccia rompono il tabù e dichiarano di non avere alcuna preclusione alla vendita del 13% di Generali, nel caso servisse capitale per finanziare una grande operazione e creare un gruppo «più solido e più redditivo».Ed è con questa filosofia che Nagel - dal 1990 in Mediobanca, poi nominato direttore generale nell’aprile del 2003 e infine amministratore delegato nell’autunno 2008 - si presenterà alla scadenza del suo mandato, insieme a quello dell’attuale cda, fissato per fine ottobre. Ieri il banchiere non è stato esplicito su una sua eventuale riconferma ma, incalzato dai giornalisti, ha comunque sottolineato di aver lavorato a un piano triennale perché ritiene «utile» che sia portato avanti. «Mi piace questo lavoro, mi piace che Mediobanca cresca mantenendo il suo imprinting e si rafforzi. Lo faccio con spirito di passione per il business che seguo. La parte mia personale è secondaria», ha detto in conferenza stampa. Durante la quale è stato citato più volte il tema dell’«engagement», il coinvolgimento, degli azionisti. In particolare, di quei soci come Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio oggi presieduta da Francesco Milleri, e Francesco Gaetano Caltagirone - emersi come primo e secondo azionista con rispettivamente il 19,8% e il 9,9% - che negli ultimi anni hanno messo nel mirino la governance dopo aver tentato (invano) l’assalto a quella delle Generali che era appoggiata dalla stessa Mediobanca. Il cda uscente metterà a punto una propria lista per il suo rinnovo che dovrebbe essere pronta per la seconda o la terza settimana di settembre. Peraltro, questa spinta alla diversificazione portata avanti da Nagel è andata proprio nella direzione auspicata nell’ottobre del 2019 dall’allora patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, che dopo l’ascesa nel capitale della banca aveva detto di aspettarsi «un nuovo piano industriale che non basi i risultati solo su Generali e il credito al consumo di Compass, ma progetti un futuro da banca di investimenti». E così è stato. Sia in quello presentato quattro anni fa, sia in quello nuovo annunciato ieri al mercato. Da qui al 2026 l’istituto di Piazzetta Cuccia conta di remunerare gli azionisti con 3,7 miliardi (+70%) con un pay out del 70% (il 40% in più rispetto agli 1,9 miliardi distribuiti nel precedente quadriennio) e dividendi per 2,7 miliardi nonché con il riacquisto e la cancellazione di azioni proprie per un miliardo. Da maggio 2024 verrà, inoltre, introdotto il pagamento del cosiddetto interim dividend. Gli altri obiettivi del piano, denominato «One brand one culture», sono: una crescita dei ricavi a 3,8 miliardi (+6%) e un utile per azione a 1,8 euro (+15%). La divisione assicurativa di Mediobanca, pressoché interamente rappresentato dalla partecipazione in Generali (pari al 13%), «continuerà a contribuire in maniera positiva alla creazione dei ricavi (attesi raggiungere 0,5 miliardi, +6%) e degli utili del gruppo, migliorandone stabilità e visibilità», si legge nella nota diffusa ieri. Dove si sottolinea anche che la valenza dell’investimento risiede anche nella crescente redditività, ulteriormente rafforzata dalla permanenza dell’applicazione del Danish Compromise (ovvero la normativa varata in passato per ammorbidire l’assorbimento di capitale per le banche che detengono assicurazioni), oltre che nella «decorrelazione» rispetto all’andamento macroeconomico. Sarà però il wealth management, il segmento lanciato nel 2016 e nel quale l’istituto punta a essere operatore leader, a diventare il secondo contributore del gruppo per ricavi e il primo come commissioni con l’obiettivo di registrare nell’arco del piano il maggior incremento della redditività passando dal 2,9% al 4. Nel frattempo, per la prima volta in 70 anni il marchio Mediobanca viene reso accessibile al pubblico con l’evoluzione di CheBanca!: diventerà un nuovo operatore di wealth management chiamato «Mediobanca Premier».La strategia da mettere in campo nel prossimo triennio è piaciuta al mercato: il titolo Mediobanca ha infatti chiuso la seduta di ieri in netta controtendenza rispetto al forte calo del FtseMib, con un rialzo di quasi il 2%.
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