2024-11-15
Favori e denaro: gli intrecci tra sinistra e miliardari Usa
Allarme libertà e fuga da X: una cortina fumogena. A muovere la protesta sono la filiera di Apple, Zuckerberg e la finanza collegata a Obama e Soros che da noi ha trovato sponda e megafono in Renzi, Prodi e gli Elkann.La sfilata di vip e mezzi vip in uscita da X un po’ fa ridere, un po’ è patetica. Difficile che Elon Musk, ma anche il popolo di internet o delle periferie votanti, non dorma la notte perché Piero Pelù e Francesco Guccini non twittano più. Però al calduccio di questo falò delle vanità ci sono interessi politici, finanziari ed economici ben precisi. Interessi che stanno facendo i conti con una serie di misure promesse da Donald Trump e che «rischiano» di essere implementate dall’inventore di Tesla. Dazi, competizione dura con la Cina, ritorno a petrolio e combustibili fossili, lotta senza quartiere a burocrazie statali e regole inutili, disinteresse per gli allarmi sul debito pubblico. Tra i Re di denari italiani, specie chi esporta cibo, vestiti o beni di lusso negli Stati Uniti, oggi nessuno è così fesso da attaccare frontalmente Trump o Musk. Però basta ascoltare personaggi del centrosinistra come l’eterno quirinabile Romano Prodi e l’ex premier e attuale lobbista Matteo Renzi, oppure spiare le mosse di John Elkann, per capire che la guerricciola su X è solo una cortina fumogena. «Elon Musk ha delle idee che sono lontane anni luce dalle mie. Non ho alcun interesse a comunicare su una piattaforma che contribuisce a plasmare narrazioni e a manipolare pensieri politici», ha scritto ieri Guccini. Ma a proposito di «plasmare narrazioni», ecco il papà italiano dello storytelling, Matteo Renzi: «Meno male che c’è Mattarella che gli ha risposto […] Musk è un miliardario e il governo del popolo ce l’ha con i miliardari, ma lui è uno che lavora per un’amministrazione straniera, da funzionario pubblico americano dà la linea ai sovranisti italiani». L’ex premier del Pd ha quindi cercato la rissa con uno che, al suo contrario, entrerà nei libri di storia per aver capovolto la direzione dell’auto (questo l’ha detto la settimana scorsa Davide Serra, fondatore di Algebris e grande amico di Renzi). Ma esce da X anche l’ex segretario del Pd? No, per carità: «Ho tre milioni di follower e me li tengo stretti uno a uno», ha detto. Come le consulenze milionarie nelle peggio dittature del mondo. Ma oggi rivedere le immagini del 2016 di Renzi premier con Tim Cook, planato a Napoli per aprire un centro Apple, fa capire da che parte sta la sinistra italiana. Sta contro Trump, ovvio, ma soprattutto con i miliardari che lo combattono. E lo stesso vale per l’appoggio entusiasta e incondizionato a Mark Zuckerberg di Meta. O per le fusa che periodicamente indirizza a Bill Gates, sostenitore della Harris e arcinemico di Musk, definito un amico «della disinformazione sui vaccini e delle bufale su di me che traccio le persone». Anche Sergio Mattarella è meno astratto di quanto possa sembrare. Lo scorso 20 dicembre aveva indirettamente risposto alla presenza di Elon Musk alla festa di Atreju con queste parole: «Bisogna evitare che poche grandi multinazionali possano condizionare il mercato della politica». E aveva citato «gli oligarchi di diversa estrazione che si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri». Uno che al Quirinale ha tentato di arrivarci in ogni modo è Prodi, 85 primavere, fresco di «cattedra Agnelli» all’università pubblica di Pechino. Da sempre sta con la Cina e proprio da Pechino, la scorsa settimana, ha sibilato: «Mi auguro per una volta che un politico non dica la verità, perché se Trump fa le cose che ha detto finisce male». Il 16 dicembre scorso, sempre a proposito della missione italiana di Mister Tesla, il Professore bolognese aveva un po’ rosicato: «Per me la visita di Musk alla Meloni è stata di un’importanza enorme, ma oggi non frega niente a nessuno». Prodi è da sempre un terminale di interessi economici, non solo in agricoltura o nel commercio estero. E quello che ci aspetta con la seconda presidenza Trump è, probabilmente, uno scenario inverso alla globalizzazione spinta dell’ultimo quarto di secolo. La politica dei dazi Usa potrebbe dare un duro colpo all’economia che si appoggia sull’export e potrebbe favorire il ritorno di un’industria manifatturiera vicino a dove vengono acquistati e consumati i prodotti. Se lo si guarda dalla parte dei lavoratori dell’Occidente, si tratta di uno scenario che dovrebbe entusiasmare una sinistra degna di questo nome, ma in scia ai vari Blair, Prodi, Obama e a quella pagliacciata dell’«Ulivo mondiale», la sinistra che oggi se la prende con Musk aveva già scelto la globalizzazione, le delocalizzazioni, l’immigrazione selvaggia e l’ipertrofia burocratica di Bruxelles. Il tutto idolatrando un altro fan della Harris come George Soros, storico finanziatore di quel che resta dei radicali italiani ed ex investitore su Tesla. La grande industria agroalimentare, per esempio, si prepara da mesi a possibili dazi, spostando il più possibile la produzione nel Nord America. Ma intanto c’è una vasta filiera agricola di medie dimensioni che teme per quel mezzo miliardo di euro che è il valore annuo delle esportazioni di cibo e bevande. L’ultima volta che gli Usa hanno messo i dazi agricoli, nel 2020, proprio con Trump, all’ultimo si sono salvati vino, olio e pasta. Poi, com’è ovvio, colossi come Ferrero e Barilla si sono ben guardati dall’interferire sul dibattito politico Usa. In questi casi meglio aumentare la produzione in loco. Un discorso simile vale per l’auto, anche se John Elkann, primo azionista della francese Stellantis, è stato meno prudente di altri miliardari «illuminati». La settimana prima del voto, il suo Economist ha invitato a votare Kamala Harris, paventando «rischi inaccettabili» in caso di vittoria di The Donald. Venti giorni prima, l’11 ottobre, lo stesso Elkann era corso a Los Angeles per applaudire Musk che presentava il suo robotaxi. Il nipote dell’Avvocato e Stellantis, però, oltre agli stabilimenti che volevano chiudere negli Usa (con i democratici) e al problema dei dazi, hanno l’imbarazzo di avere stipulato un anno fa una joint venture paritaria con la cinese LeapMotor. Chissà che fine farà, adesso che si profilano davvero i «rischi inaccettabili» che paventava l’Economist. Neppure il turismo è un settore dove conviene alzare tanto la cresta. La moda e il lusso italiani patiscono la frenata del mercato cinese e dipendono sempre più dagli acquisti dei turisti americani. Questo spiega le bocche cucite dei nostri stilisti, non solo su X. E poi ci sono piattaforme come Airbnb, colosso statunitense che sta lottando con decine di sindaci italiani per difendere le posizioni nelle città d’arte. La scorsa settimana, Airbnb figurava tra i grandi sponsor dell’assemblea dell’Anci, la lobby dei Comuni italiani, tradizionalmente in mano al centrosinistra. Giusto per ricordare che se i tweet cinguettano, i soldi cantano.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.