2023-06-20
«Munizioni americane nei fucili dei russi»
«Politico» scopre che, nonostante le sanzioni, ai cecchini di Wagner arrivano proiettili Usa e Ue. Intanto, dopo Joe Biden, pure Jens Stoltenberg gela Volodymyr Zelensky sull’ingresso nella Nato: «Per ora non se ne parla». E Kiev ammette: «Sul campo situazione difficile». La Cina ha promesso che non invierà armi ai russi. Per forza: pare ci stiano già pensando gli americani. L’ha scoperto Politico: partendo dal video di un mercenario del gruppo Wagner, la testata ha appurato che i fucili di precisione usati dagli occupanti in Ucraina sono camerati con proiettili prodotti da Hornady, un’azienda con sede nel Nebraska, e da Valerian, una società slovena. Alla faccia delle sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione europea. Quelle che - Enrico Letta dixit - avrebbero dovuto atterrare Mosca nel giro di qualche giorno. Particolare ancor più inquietante: raggiunto dai giornalisti del sito d’informazione, il numero uno della Wagner, Evgenij Prigozin, ha riferito che i miliziani sono in possesso di «una grossa quantità di munizioni Nato, abbandonate dall’esercito ucraino». Certo, quando si parla con gli uomini di Vladimir Putin, diventa arduo distinguere i bluff dalla verità. Ma non è improbabile che, insieme ai territori del Sud del Paese martoriato, gli invasori abbiano anche conquistato gli arsenali pieni dei rifornimenti spediti dagli occidentali. Peraltro, subito dopo l’inizio degli scontri, l’Europol, vale a dire la polizia europea, aveva avvisato del pericolo che il materiale bellico inviato alla resistenza finisse nelle mani di criminali o, peggio, terroristi, oppure che quelle stesse armi tornassero nell’Ue per essere vendute sottobanco. Proprio il mercato nero, secondo Politico, sarebbe una delle fonti di approvvigionamento dei russi, che starebbero faticando a fabbricare da sé le cartucce di cui hanno bisogno, ma sarebbero in grado di sopperire alle carenze grazie a quelle tuttora in arrivo dalle aziende del nemico. Raggiunto dai giornalisti, infatti, il proprietario della Hornady ha giurato che non esporta più nel Paese di Putin dal 2014: «Non sosteniamo la vendita di alcun nostro prodotto a nessun figlio di putt... russo», ha scritto, con un linguaggio colorito, il titolare della compagnia, «e se saremo in grado di appurare come li acquisiscono, qualora lo facciano veramente, faremo tutto il possibile per fermarli». In base alle verifiche svolte da Politico sui codici delle merci consegnate, reperibili sul Web russo, ai cecchini di Mosca sarebbe giunta una cornucopia di proiettili calibro .338, acquisiti dalle aziende Promtekhnologiya (che fabbrica i fucili Orsis T-5000) e Tetis. Ironia della sorte: tutto avviene mentre l’Asap, la norma Ue che dovrebbe finanziare l’industria della Difesa, affinché sforni un milione di munizioni l’anno per l’esercito di Volodymyr Zelensky, ha avuto una battuta d’arresto a Bruxelles. Per Kiev, non è un momento semplice. Dopo Joe Biden, per il quale l’Ucraina non avrà corsie preferenziali di accesso alla Nato, ieri anche il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, pur confermando che «le porte sono aperte», ha precisato che, al vertice di Vilnius, in programma il mese prossimo, non si parlerà di «invito formale» al Paese ad aderire alla Nato. La quale, ha garantito il funzionario norvegese insieme al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, «non diventerà parte del conflitto». Ursula von der Leyen, invece, ha sentito Zelensky, in vista della Conferenza di Londra sulla ricostruzione: «Abbiamo discusso», ha detto al presidente della Commissione, «del sostegno finanziario dell’Ue oltre il 2023 e dei progressi compiuti dall'Ucraina nelle sue riforme». Dal canto suo, la Russia, che ha chiesto una riunione all’Onu sulla questione delle forniture di armi occidentali ai suoi nemici, attraverso il viceministro degli Esteri, Alexander Grushko, ha fatto trasparire «interesse e attesa» per la visita a Mosca del cardinale Matteo Zuppi. Il capo della Cei è l’inviato per l’iniziativa di pace del Vaticano, la cui «posizione equilibrata», così come quella «presa personalmente dal Papa», viene «apprezzata» dal governo russo. Sul piano militare, la controffensiva prosegue al ritmo di progressivi successi tattici, ma senza svolte strategiche. Il bilancio lo ha tracciato Kiev, annunciando di aver liberato otto villaggi in due settimane. Ma per tutta la notte tra domenica e lunedì, Odessa è stata sotto tiro degli aggressori, tanto che si è reso necessario l’intervento della difesa aerea. Mosca avrebbe appena battezzato una nuova tecnica di guerra, utilizzando controlli da remoto per far saltare in aria dei carri armati kamikaze, in prossimità di postazioni militari della resistenza.Sono le stesse fonti ucraine ad ammettere che, nell’Est, in particolare nelle direzioni di Liman e Kupyansk, «la situazione è difficile», vista la «superiorità nemica in termini di forze e mezzi». È importante saperlo, considerati gli sforzi profusi per consegnare equipaggiamenti occidentali agli aggrediti, per di più con il rischio di rimanere noi sguarniti. Non ci scordiamo che l’opinione pubblica, piuttosto tiepida rispetto alla prospettiva di insistere con le spedizioni di armi, è stata blandita grazie alle promesse salvifiche sul contrattacco di Kiev. Per il momento, al prezzo di perdite devastanti, i liberatori hanno ripreso una manciata di borghi già rasi al suolo. E dunque, quand’è che dovrebbero arrivare i nostri?
Ecco #DimmiLaVerità del 18 novembre 2025. Il nostro Maurizio Caverzan commenta la morte delle gemelle Kessler e ci riporta ai tempi della tv di quegli anni.
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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