
Il lancio del film riaccende la rabbia nell'ex colonia britannica: la protagonista tifa per il pugno duro sui dissidenti anti Pechino.Mulan, pellicola che la Disney avrebbe dovuto rilasciare a marzo, quando il rapido diffondersi del coronavirus ha imposto, invece, la chiusura dei cinema, ha debuttato online venerdì 4 settembre. Ma il successo che sarebbe dovuto derivarne è stato adombrato dallo spettro della protesta, di un boicottaggio internazionale che ha la sua ragion d'essere nelle manifestazioni di Hong Kong e nella decisione, per nulla empatica, di tradire la sala con l'offerta online. La Disney, che il rifacimento in live action del film animato datato 1998 ha affidato alla regia di Niki Caro, neozelandese arrivata al successo con La ragazza delle balene e La signora dello zoo di Varsavia, avrebbe dovuto lottare perché Mulan avesse un debutto tradizionale, e nelle sale stremate dal Covid-19 facesse il proprio esordio. Invece, punta al fianco da colossi quali Amazon e Netflix, ha scelto altro: di schifare i circuiti canonici per riservare ogni sua speranza alle piattaforme digitali. «Business», lo ha chiamato Bob Chapek, amministratore delegato della Disney, spiegando come la decisione sia maturata lentamente, nei giorni bui dell'emergenza sanitaria. «Dopo una serie di posticipazioni, siamo finalmente lieti di far vedere Mulan ai nostri iscritti. Stiamo osservando il titolo come una sorta di nuova opportunità per il business», ha detto Chapek, che la pellicola, storia di folklore ed eroismo, ha messo in vendita su Disney+ a 30 dollari negli Stati Uniti, 21,99 euro in Italia. Cifra, questa, da sommarsi al costo - pur contenuto - dell'abbonamento mensile.Allora, gli esercenti, gli stessi che con Mulan speravano di ridare fiato ad attività martoriate dalla pandemia, si sono ritrovati con un palmo di naso. Niente più blockbuster. Niente più guadagno facile. «È stato un atto di scarsa solidarietà nei confronti degli esercenti del cinema», ha polemizzato Variety, il cui lamento si è unito al coro belluino levatosi dalla Cina lo scorso agosto. #BoycottMulan, «Boicottate Mulan», hanno urlato gli attivisti cinesi, chiedendo, con tanto di striscioni e hashtag, di astenersi dal vedere la pellicola Disney. Una pellicola macchiata dall'onta anti democratica, da un endorsement pronunciato a viva voce dall'attrice che avrebbe dovuto incarnare lo spirito eroico della Cina più vera.Liu Yifei, che Niki Caro ha detto essere stata scelta dopo un anno e più di casting, per la propria abilità nelle arti marziali, nell'equitazione e nel canto, si è schierata a favore della polizia di Hong Kong, la stessa che nei giorni caldi delle manifestazioni civili, delle proteste contro l'emendamento al progetto di legge sui latitanti fuggitivi, ha soffocato nel sangue ogni atto di dissenso. «Anch'io supporto la polizia di Hong Kong. Ora potete tutti darmi addosso», ha scritto l'attrice su Weibo, succedaneo cinese di Twitter, che il governo di Pechino ha bandito insieme a Facebook e Instagram. L'affermazione, suggellata dall'emoticon di un bicipite flesso accanto a un cuore rosso, si è abbattuta sulla folla con la ferocia di un uragano. E la magia del folklore cinese, l'incanto di una ragazzina che al padre ha saputo risparmiare l'orrore della guerra, mascherata da maschio al tempo della leva obbligatoria, sono stati presto rotti. I dissidenti del regime, che in piazza hanno marciato per la democrazia e l'autonomia di Hong Kong, hanno chiesto al mondo di boicottare Mulan, Liu Yifei, non salvatrice, ma traditrice del popolo che avrebbe dovuto rappresentare. L'hashtag #BoycottMulan è stato lanciato su Twitter nell'agosto scorso e, ieri, in occasione del debutto online della pellicola, è tornato di prepotenza a fagocitare il dibattito virtuale. In mezza giornata, l'hashtag ha riunito circa duecentomila commenti. «Il film sarà rilasciato oggi, 4 settembre. Ma, siccome la Disney si è prostrata a Pechino e siccome Liu Yifei ha apertamente e orgogliosamente sostenuto la brutalità della polizia di Hong Kong, incoraggio chiunque creda nei diritti umani a boicottare Mulan», ha ribadito su Twitter Joshua Wong, attivista di fama internazionale, ponendo sul piatto un altro tema caldo.Alla Disney, che mai nell'anno intercorso dalle affermazioni della sua protagonista ha voluto commentare quanto accaduto, è stato rimproverato un presunto asservimento al governo di Pechino. «I grandi studios di Hollywood, Disney in testa, sono genuflessi al volere del Partito comunista cinese», ha sibilato William Barr, ministro della Giustizia americano, puntando il dito contro la costante censura cui Hollywood sottopone i propri film per renderli fruibili in Cina, terra d'oro dove il numero di sale e di potenziali spettatori permetterebbe alle multinazionali statunitensi di vedere moltiplicati i propri guadagni.
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