2022-07-17
Mr Bce spezza il sogno tecnocrate
Il passo indietro dell’ex banchiere mostra le difficoltà di conciliare valutazioni tecniche con le scelte politiche. Sottovalutate dai burocrati, ma decisive per restare al potere.Comunque si risolvano le dimissioni di Mario Draghi, i suoi 17 mesi di governo rappresentano forse il più chiaro «caso di scuola» per cercare di capire le differenze più importanti tra un presidente del governo espresso dalla politica, e un altro che invece viene dalle istituzioni economiche, da banche e aziende: un tecnocrate. Anche se, infatti, già da più di 60 anni nel mondo si parla di tecnocrazia come la grande novità di questa epoca, finora non ci sono stati casi equivalenti di tecnici a capo per un periodo significativo della guida di un grande Paese dell’Occidente. Il caso più simile ( anche più lungo ) è quello di Emmanuel Macron, presidente della Francia, ora al secondo mandato. Che però è capo non del governo ma dello Stato, un’istituzione più ampia e più amministrativa che politica; inoltre in un Paese con forte tradizione presidenziale, inaugurata dallo stesso creatore dell’attuale V Repubblica, il generale Charles De Gaulle. Anche Macron, del resto, si sta confrontando con problemi non lontani da quelli di Draghi. Volere o no, le dimissioni dell’ex banchiere sono comunque una provvisoria sconfitta del sogno tecnocratico che fin dagli anni Sessanta inquieta le insicure democrazie occidentali e le loro discutibili liturgie.I tecnocrati sono d’altra parte un inevitabile aspetto della classe dirigente contemporanea. «Viviamo» ha scritto e mi ha insegnato un mio insostituibile maestro, lo scienziato politico Jean Meynaud (in Tecnocratie et politique) «in una società calcolatrice; la cui spinta si estende dalle imprese a tutta la società, e le funzioni e responsabilità dei tecnici non possono che estendersi. La burocrazia comporta dei rischi; ma è in parte irrinunciabile». E concludeva: «Lo sviluppo inevitabile della tecno-burocrazia obbliga però le democrazie a una sfida: evitare che l’attenzione all’efficienza (ammesso che sia priva di interessi personali, il che non è sempre il caso), provochi l’indebolimento della libertà, sia come effetto inevitabile delle misure prese, sia come risultato di un piano organizzato». Questo problema cruciale del controllo dell’amministrazione da parte delle autorità politiche superiori (parlamentari e ministri) non è stato però finora risolto.La conclusione del governo Draghi è per ora l’ultima manifestazione della difficoltà di conciliare valutazioni tecniche e scelte politiche, libri mastri e libri dei sogni, business plan e chiacchiere. Ma è poi veramente così? Esiste davvero, questa irriducibilità tra conti e chiacchiere, piedi per terra e vaneggiamenti? Anche a guardare il caso Draghi, salta agli occhi un altro aspetto della questione, esaminato bene sempre da Meynaud (e in altri aspetti anche da Raymond Aron): il tecnocrate, quando è chiamato a compiti eminentemente politici, non è però esentato dall’indispensabile «senso politico», necessario a chiunque agisca nell’interesse di una polis, di una società di persone diverse fra loro. Il senso politico corrisponde a «percepire gli interessi del Paese rappresentato e esprime l’attitudine a trarre il massimo di possibilità e di occasioni che permettono di regolare favorevolmente le questioni sia sul piano nazionale che internazionale». È una funzione complessa perché tocca un po’ tutti gli aspetti dell’uomo: economici, ideologici, morali, religiosi, e richiede empatia, sensibilità, senso dell’altro. Il tecnocrate che diventa capo politico non può ignorarli, a meno di mettersi contro (prima ancora dei politici) gli stessi cittadini del Paese. Il senso politico richiede inoltre - e sempre - una notevole disponibilità anche ad allargare la propria personale visione. De Gaulle, che in quanto generale era considerato un tecnocrate, fu in realtà un politico spregiudicato che ottenne un plebiscito per il suo slogan «Algeria francese» e appena eletto diede il suffragio universale agli algerini, che vinsero, e mandò in prigione i generali francesi ribelli.Mario Draghi non fu altrettanto spregiudicato. Portò in dote il Pnrr con Bruxelles per fare ripartire l’Italia, ma si tenne alla Sanità Roberto Speranza, dono del presidente. Il quale proprio mentre l’Italia usciva dalla fase dura del Covid e vedeva la ripresa varò l’inutile e depressivo green pass, lanciando così un classico (nella schizofrenia) «messaggio contraddittorio»: «Ci si potrà muovere, ma come e quando dico io».Le possibilità degli italiani di vivere insieme un sogno di rinascita, dopo due anni pesantissimi, vennero così cancellate a favore dell’affermazione di un burocratico e costoso rito di potere. È possibile che Draghi, in quello che lui crede il suo «badare al sodo» non se ne sia neppure accorto, ma probabilmente fu già di fronte a questa indifferente ottusità che il suo governo è finito (anche se burocrazie esauste e affamate lo rimettessero domani in pista). Nell’episodio appare anche l’altro, finora fatale, limite della tecnocrazia: il tentativo di mettere in secondo piano le manifestazioni psicologiche e affettive della democrazia; le due strade pare proprio che non riescano ad andare d’accordo.È ancora nel decidere sopra la testa del Paese che è nata la seconda, probabilmente non rimediabile, caduta del governo Draghi: coinvolgere, senza formale mandato per farlo, l’Italia nella guerra Usa-Russia, in solidarietà all’Ucraina, con pesantissime conseguenze economiche, e il rischio di coinvolgimento in un conflitto mondiale. Il tutto in un Paese come l’Italia che ha la rinuncia alla guerra nella Costituzione, e che non correva alcun rischio nelle relazioni con la Russia, non solo per la distanza geografica, ma anche per una buona tradizione di collaborazione. Certo l’Italia è alleata degli Stati Uniti, ma non può trovarsi in guerra con il Paese più grande del mondo perché lo vuole il presidente tecnocrate. Non so chi siano i consulenti di diritto costituzionale e di diritto internazionale di Draghi, ma tutta la questione sembra molto affrettata e, in milanese, strappelada. Come hanno peraltro già scritto, in modo forbito, insigni costituzionalisti. Visto che è difficile che sia democratica, la tecnocrazia sia almeno inappuntabile sul piano formale.Non si rovina un Paese gettandolo in una guerra disastrosa e discutibilissima perché ti va di farlo, o qualcuno te lo chiede.Tecnocrate o no, devi chiederlo al Paese.
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