2023-05-09
Stragisti d’America: se è suprematista il movente salta fuori, altrimenti scompare
Il folle che ha colpito Dallas da subito è un «estremista di destra». Ma il manifesto della trans di Nashville, Audrey Elizabeth Hale, non viene ancora divulgato.Imbarazzo a Washington per la riammissione della Siria nella Lega araba dopo 11 anni. Mosca e Pechino esultano. La strategia delle Primavere arabe di Barack Obama è stata un flop.Lo speciale contiene due articoli. Che l’establishment progressista americano sia caratterizzato da atteggiamenti improntati al doppiopesismo, non è mai stata una novità. Adesso però si inizia a esagerare. Basta d’altronde mettere a confronto quanto avvenuto a seguito di due recenti sparatorie di massa. Ma andiamo con ordine.Sabato, si è purtroppo verificato un nuovo eccidio a Dallas, in cui hanno perso la vita otto persone. Ebbene, secondo quanto riferito dall’Associated Press, gli agenti federali sospettano che l’attentatore, ucciso dalla polizia, nutrisse idee di estrema destra. «Gli agenti federali hanno esaminato gli account dei social che ritengono siano stati utilizzati da Mauricio Garcia, 33 anni, e i post che esprimevano interesse per le opinioni suprematiste bianche e neonaziste», ha riportato l’agenzia di stampa. «Garcia aveva anche una toppa sul petto che recitava “Rwds”, acronimo di Right wing death squad, popolare tra gli estremisti di destra e i gruppi della supremazia bianca», ha proseguito. Non solo, secondo la Cnn l’uomo sarebbe stato cacciato dall’esercito per «problemi mentali».Ora, di per sé non c’è nulla di sbagliato a far luce sui moventi di un attentatore. È anzi doveroso comprendere se le sue idee possano aver influito sui suoi gesti. Il problema nasce da un’altra considerazione. Sembra infatti che le idee degli attentatori vengano sottolineate solo quando la cosa non entra in collisione con la narrazione dominante, benedetta dall’establishment politico-mediatico progressista. Per capirlo, basta guardare a un’altra sparatoria di massa, quella verificatasi a Nashville lo scorso 27 marzo. In quell’occasione, un’attentatrice transgender, Audrey Elizabeth Hale, uccise sei persone (tra le quali tre bimbi) in una scuola cristiana. In quel caso si sono registrate (e si registrano ancora) notevoli resistenze a far pienamente luce sul background ideologico e politico dell’assassina. Le forze dell’ordine hanno infatti trovato quello che è stato ritenuto essere un «manifesto» dell’omicida: una documentazione che ha subito suscitato comprensibile curiosità, anche per fare luce sul movente alla base di quella strage. Eppure finora la polizia si è stranamente rifiutata di pubblicarne il contenuto. «A causa del contenzioso in corso depositato questa settimana, l’avvocato ha consigliato al dipartimento di polizia di Nashville di sospendere il rilascio dei documenti relativi alla sparatoria alla Covenant school, in attesa di ordini del tribunale», ha twittato la polizia locale lo scorso 3 maggio. Al momento, varie organizzazioni hanno intentato delle cause per ottenere la pubblicazione del «manifesto»: dalla Tennessee firearms association alla National police association. Quest’ultima, in particolare, ha chiesto anche di visionare i messaggi e le comunicazioni del dipartimento di polizia in merito agli scritti dell’attentatrice. Eppure, nonostante questi ricorsi e la pressione di una parte dell’opinione pubblica, la pubblicazione del documento continua a essere rimandata senza spiegazioni troppo convincenti (come sottolineato anche dal noto giurista Jonathan Turley). Tra l’altro, come abbiamo visto, è ormai trascorso più di un mese dai tragici fatti di Nashville: fatti per cui, almeno ufficialmente, non è stato reso ancora noto alcun movente chiaro. Insomma, è abbastanza evidente la differenza di comportamento rispetto alle situazioni in cui gli attentatori sono mossi da ideologie di estrema destra: in queste occasioni, le loro idee vengono celermente rese pubbliche e ripetutamente sottolineate dalla stampa.Sia chiaro: qui nessuno nega che i moventi legati a ideologie pericolose e squallide, come il suprematismo bianco, debbano essere resi noti ed esplicitamente condannati. Quello che dovrebbe pretendersi, però, è che vadano trattati con la stessa attenzione (e la stessa severità) tutti i moventi che sono alla base di stragi e sparatorie di massa. Sì, anche quei moventi che eventualmente possano mettere in crisi una certa vulgata progressista. Il diritto alla verità e alla trasparenza spetta tanto ai parenti delle vittime della strage di Dallas quanto a quelli delle vittime della strage di Nashville. E questo è un principio che dovrebbe essere ben chiaro sia alle autorità competenti sia all’universo mediatico. Anche perché, negli Stati Uniti è al momento quasi esclusivamente la stampa di orientamento conservatore che sta ponendo il caso del «manifesto» segretato, quando la trasparenza dovrebbe essere invece pretesa insistentemente dalla stampa nella sua interezza. E quindi torniamo a chiedere: perché tanta reticenza sul «manifesto» di Audrey Hale? C’è forse qualcosa che cozza con le narrazioni dominanti tanto care a un certo establishment progressista? Magari in quel documento non c’è nulla di che. Ma questa non sarebbe comunque una buona ragione per continuare a tenerlo segreto. È una questione di fiducia nelle istituzioni. E di rispetto per la memoria delle vittime. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/movente-scompare-2659983933.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="assad-riabilitato-smacco-per-biden" data-post-id="2659983933" data-published-at="1683640365" data-use-pagination="False"> Assad riabilitato, smacco per Biden La fallimentare politica mediorientale di Joe Biden ha subito un nuovo colpo. Domenica, la Siria è stata riammessa nella Lega araba dopo 11 anni di assenza. «La riammissione della Siria non significa la normalizzazione delle relazioni tra i Paesi arabi e la Siria», ha precisato il segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, «questa è una decisione sovrana che ogni Paese deve prendere». Gheit ha comunque aperto alla concreta possibilità che il presidente siriano, Bashar Al Assad, partecipi al summit della Lega araba, previsto a Riad il prossimo 19 maggio. Insomma, sembra proprio che Damasco stia uscendo dall’isolamento internazionale. Non a caso Washington ha lasciato trapelare una certa irritazione. «Non crediamo che la Siria meriti la riammissione nella Lega araba in questo momento», ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato americano, aggiungendo che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di revocare le sanzioni comminate al governo di Assad. Di contro la Russia ha esultato. «Mosca accoglie con favore questo passo tanto atteso: il logico risultato del processo, che ha preso slancio, di restituire la Siria alla “famiglia araba”», ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Ricordiamo d’altronde che Damasco è uno dei principali alleati mediorientali della Russia, che, secondo il Wall Street Journal, sta cercando di mediare un accordo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Siria e Arabia Saudita (già a metà aprile, i due Paesi hanno concordato di ripristinare i servizi consolari e i voli). La riammissione di Damasco nella Lega araba rappresenta un’ulteriore picconata alle Primavere arabe, benedette nel 2011 dall’amministrazione Obama, e costituisce una buona notizia per Mosca, che riesce così a rafforzare la propria influenza sul Medio Oriente. Tutto questo, senza dimenticare la Cina: a gennaio, la Siria ha infatti aderito alla Belt and road initiative. Va inoltre considerato il ruolo di Teheran. Il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, si è recentemente recato a Damasco, per rafforzare ulteriormente i rapporti tra la Repubblica islamica e la Siria. L’Iran ha inoltre siglato nel marzo 2021 un accordo di cooperazione venticinquennale con Pechino, mentre a luglio scorso ha firmato un’intesa da 40 miliardi di dollari con la Russia nel settore energetico.Insomma, Biden si sta ritrovando sempre più isolato in Medio Oriente. E questo a causa dei cortocircuiti della sua stessa politica estera. Appena entrato in carica nel 2021, assunse un atteggiamento durissimo verso Riad e contemporaneamente cercò di riavviare il controverso accordo sul nucleare iraniano. Risultato: ha isolato Israele e spinto progressivamente i sauditi tra le braccia di Mosca e Pechino. È del resto assai probabile che il peso di Riad sia stato decisivo nella riammissione di Damasco in seno alla Lega araba. Era il 18 aprile scorso, quando il ministro degli Esteri saudita, Faisal Bin Farhan Al Saud, si recò nella Capitale siriana per incontrare lo stesso Assad. Senza tra l’altro trascurare che l’anno scorso i sauditi hanno spesso giocato di sponda con la Russia in funzione antiamericana all’interno dell’Opec. È d’altronde in quest’ottica che va letto l’accordo diplomatico, recentemente mediato dalla Cina, volto a ripristinare le relazioni tra Riad e Teheran: un’autentica (e inquietante) rivoluzione diplomatica, che mette a rischio Israele e che indebolisce ulteriormente Biden. Fior di cosiddetti esperti ci avevano spiegato che l’attuale presidente americano avrebbe rilanciato il ruolo internazionale degli Stati Uniti. E invece, a causa delle sue scelte spesso ideologiche, si è infilato in un vicolo cieco, perdendo terreno sia in America Latina sia in Medio Oriente. E intanto un asse ostile a Washington (e all’intero Occidente) continua purtroppo a compattarsi.