2024-09-01
«Scusa per quello che sto per farti». Così Moussa ha trucidato Sharon
Il giovane ai giudici: «Prima di morire, mi ha chiesto “Perché?”» Poi, con calcolo cinico, ha modificato la bici e nascosto i coltelli.«Scusa per quello che ti sto per fare». E la vittima al momento del primo fendente al torace gli avrebbe chiesto: «Perchè? Perchè?». A ricostruire il momento più agghiacciante dell’omicidio di Sharon Verzeni a Terno d’Isola è l’assassino. Il suo verbale di confessione ai carabinieri e ai pm di Bergamo conferma l’impressionante lucidità con la quale Moussa Sangare, in arte «Moses», avrebbe deciso di uscire per sfoderare i coltellacci che di solito lanciava contro una sagoma di cartone con sembianze umane che i carabinieri hanno trovato nel tugurio senza energia elettrica né acqua corrente che occupava abusivamente a Suisio. Quando sono entrati, i militari hanno trovato sul pavimento bottiglie vuote di birra.Sangare avrebbe deciso che la notte tra il 29 e il 30 luglio sarebbe stata quella in cui avrebbe ucciso. Non importava chi. Per questo si era aggirato a Terno d’Isola con la sua bicicletta. Sentiva un impulso oscuro, una sensazione che lui stesso ha definito «il feeling» di dover fare del male a qualcuno. Non importava chi fosse, solo che doveva accadere. E prima, durante il percorso, aveva minacciato i due ragazzini, uno con la maglietta del Manchester United. Poi ha visto Sharon e l’ha seguita, bloccando la donna, ha raccontato Sangare (italiano dal diciottesimo anno d’età perché nato nel Paese da genitori del Mali), che stava «guardando le stelle con le cuffiette» nelle orecchie. Avrebbe colpito puntando al cuore. Poi le avrebbe inflitto altre tre coltellate alla schiena. Ed è fuggito a tutta velocità in bicicletta. Non ha perso lucidità neppure dopo il delitto. Sangare ha raccontato di aver modificato la bicicletta nei giorni successivi in alcuni componenti (il manubrio e i catarifrangenti) , per evitare che potesse essere individuato. Sempre per lo stesso motivo si era anche tagliato i capelli. Contrariamente al solito la notte del delitto non aveva fumato hashish né bevuto. Cosa che invece avrebbe fatto nei giorni successivi al delitto, quasi per stordirsi. Ma non è così facile cancellare un omicidio. Le voci nel paese hanno cominciato a circolare rapidamente. Sangare non era uno sconosciuto, ma qualcuno di cui molti avevano paura. La sua vicina, Clotilda, lo descrive come un uomo violento, fuori di sé. «Noi avevamo paura di lui», ha raccontato ai giornalisti aggiungendo: «Non era gentile, faceva violenza ai suoi familiari, di notte sembrava che venisse giù il soffitto». Indicando il cortile interno della palazzina, ha poi spiegato che lo trovava lì «strafatto», nel cuore della notte, e che per andare a casa era costretta a «passargli sopra». E anche se lui durante la confessione in slang da rapper ha definito «un raptus» quella improvvisa voglia di togliere di mezzo qualcuno, i suoi comportamenti violenti andavano avanti da tempo, tanto che la Procura sarebbe in procinto di chiudere un’inchiesta per maltrattamenti in famiglia con tanto di minaccia con coltello nei confronti della sorella. L’ultimo anno è stato risucchiato in una spirale discendente, segnalato ai servizi sociali e alla Procura per il suo comportamento irascibile e violento. La prima richiesta d’intervento era stata avanzata un anno fa, quando Sangare aveva dato fuoco alla cucina dell’appartamento di famiglia. Poi la sorella aveva sollecitato un intervento sanitario. Troppo poco per fermarlo? «Nessuno sostenga che Sangare ha ucciso Sharon in preda ad un raptus». Dopo aver difeso Sergio Ruocco, il compagno della vittima convocato in caserma per ben tre volte dagli investigatori, la famiglia di Sharon chiede che la realtà non venga distorta. Il loro legale, l’avvocato Luigi Scudieri, precisa che ci sono tutti gli elementi per sostenere che quello di Sangare sia un delitto pianificato: «Ho sentito parlare di «raptus improvviso», di «scatto d’ira» e di «assenza di premeditazione. Tuttavia faccio notare che il signor Sangare sarebbe uscito di casa con ben quattro coltelli e prima di uccidere Sharon ha avuto tutto il tempo di minacciare anche altre due persone, che farebbero bene a farsi avanti». I pm gli contestano l’omicidio volontario premeditato aggravato dai futili motivi. E la presidente della Società italiana di psichiatria Liliana Dell’Osso qualche valutazione tecnica l’ha fatta: «Non emergono al momento elementi indicativi di una patologia mentale per l’assassino di Sharon Verzeni». Secondo la professionista, quanto ricostruito fino a questo momento non sembrerebbe «puntare verso un disturbo affettivo o psicotico in fase acuta, vale a dire verso una patologia mentale». Potrebbe però emergere, invece, «un disturbo legato a personalità antisociale che non è motivo di incapacità di intendere o volere». Sangare, stando alle ricostruzioni di chi indaga e alle testimonianze di chi lo conosceva, viene presentato come un disadattato, non integrato, un lupo solitario. E pericoloso. Tanto che nel decreto di fermo firmato dalla Procura vengono evidenziate tutte le necessità cautelari previste dal codice: il pericolo di reiterazione, quello di fuga e quello di inquinamento delle prove. Con lucidità avrebbe ucciso, con la stessa lucidità avrebbe nascosto l’arma del delitto e con altrettanta lucidità ha modificato, come ha ammesso, il suo aspetto e la bicicletta dopo l’omicidio. «Non fatelo passare per matto», ha ammonito il leader della lega e vicepremier Matteo Salvini, che ha aggiunto: «Questo è solo un crudele assassino che merita il carcere a vita». Per ora gli toccherà presentarsi dal gip Raffaella Mascarino, al quale i magistrati della Procura hanno chiesto la convalida del fermo e l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
Continua a leggereRiduci