2021-05-26
Quattordici morti per un atto doloso?
Una foto della carcassa della cabina mostra una «forchetta» inserita nel sistema di arresto che ne avrebbe impedito l'attivazione. Nessun errore. Il forchettone è stato applicato volutamente come già confessato dagli addetti. Tre arresti.Un incidente per diversi aspetti analogo a quello del 23 maggio alla funivia del Mottarone accadde nel 1990 ad un impianto tecnicamente simile in funzione a Tbilisi, capitale della Georgia.Lo speciale contiene due articoliLa fune traente, le pastiglie dell'impianto frenante e le pinze con i pompanti, le ganasce del freno di emergenza e la forchetta, un elemento in ferro che sblocca le ganasce del freno, impedendone l'attivazione e quindi la frenata e che deve essere usata solo in assenza di passeggeri. Sono gli elementi sui quali si concentrerà l'inchiesta sulla tragedia della cabina della funivia che si è schiantata al suolo alla fine del percorso che collega Stresa al monte Mottarone. Al momento non ci sono ancora dei reperti. Ma dal materiale fotografico raccolto sulla scena della tragedia che conta 14 morti e un bambino ferito, Eitan, che i medici stanno lentamente portando al risveglio dal coma farmacologico, si vede la forchetta inserita sui freni della funivia. In una foto in particolare, scattata dagli operatori del Soccorso alpino, il meccanismo sbloccante sembra fissato in modo tale da impedire il contatto dell'impianto frenante. E sembra essere legata proprio alla questione del forchettone il cambio di posizione, da testimone a indagato, di uno dei dipendenti che erano stati convocati dai carabinieri ieri sera. Al momento in cui andiamo in stampa, però, è una indiscrezione non confermata da alcuna fonte ufficiale.«Sarà sicuramente programmato un sopralluogo con l'ausilio dei tecnici che saranno nominati», spiega il procuratore di Verbania Olimpia Bossi, che con la pm Laura Carrera indaga per «omicidio colposo plurimo» e «lesioni colpose». «L'ipotesi della forchetta», spiega il procuratore, «fa parte degli accertamenti da fare». Dal video delle telecamere di sorveglianza dell'impianto, che conferma la dinamica descritta dai testimoni, la forchetta non si vede «e se sia stata inserita o meno», afferma il magistrato, «dovrà essere accertato». Anche perché dalle immagini è ben visibile la cabina che fa un saltello prima di riprendere la discesa e scarrellare. «Era arrivata ormai al punto di sbarco», dice il procuratore, «e dalle immagini si nota che sussulta e torna indietro». Uno degli accertamenti riguarderà quindi le ragioni che hanno provocato quel sobbalzo. Non si è ancora appurato, invece, se esista o meno una scatola nera, impianto che è ormai di serie sugli impianti di ultima generazione, ma che può essere montato anche sulle versioni più datate, come quella del Mottarone. E c'è un altro aspetto che bisognerà approfondire: «Da quanto ci è stato riferito», dice il procuratore, «sabato pomeriggio la funivia si è fermata e c'è stato un intervento per rimetterla in funzione. Non sappiamo se questo evento sia collegato o meno con l'incidente». Ma tra le ipotesi che i magistrati al momento non si sentono di scartare c'è anche «l'errore umano». E se negli uffici di Ferrovie del Mottarone, che sono sotto sequestro come l'intera funivia, i documenti dell'impianto sono in fase di analisi (regolamento, registri, verbali d'ispezione annuale, manuale d'uso e manutenzione, il piano di evacuazione a terra e lungo le funi e il registro giornale), i magistrati stanno cercando di acquisire «presso tutti gli enti che possono avere un coinvolgimento», tra cui l'Ufficio speciale trasporti a impianti fissi Ustif, gli altri atti che potrebbero far luce sulle responsabilità legate ai controlli. I carabinieri di Stresa ieri mattina si sono presentati negli uffici della Regione Piemonte con un decreto di esibizione di atti. Così come sono state acquisite le comunicazioni tra i soccorritori, compresa la telefonata al 118 che ha lanciato l'Sos. Resta ancora misteriosa, invece, la questione legata alla titolarità dell'impianto. Da quanto ha ricostruito il procuratore «ci sarebbe un previo accordo in base al quale la Regione avrebbe ceduto la proprietà al Comune. Non è chiaro se questo sia avvenuto completamente o se ci sia un condivisione quanto meno sotto il profilo del finanziamento, di contributo alle spese di mantenimento della funivia. La vicenda ha dei profili di complessità che si stanno rivelando ogni giorno più delicati». Ma i tempi sono stretti. Perché dopo la nomina degli esperti del Politecnico di Torino sarà necessario effettuare gli accertamenti irripetibili, che richiedono la presenza dei consulenti di parte. E pertanto bisognerà procedere con l'iscrizione nel registro degli indagati e con l'emissione degli avvisi di garanzia. «Spero di avere un quadro più chiaro in pochi giorni», ha ribadito il procuratore, «molto dipende dai risultati delle acquisizioni documentali». La mole di documenti è notevole, e richiederà tempo per essere esaminata. «Io voglio essere sicura di sapere a che titolo devo eventualmente sentire una persona», ha aggiunto l'inquirente, «ma stiamo comunque valutando se cominciare a convocare chi pacificamente è a conoscenza dei fatti». E anche se il sindaco di Stresa Marcella Severino, lunedì si è affrettata a comunicare che, siccome la procedura di passaggio della proprietà non è stata finalizzata, «la proprietaria è la Regione». Ieri è stato l'assessore regionale al Patrimonio Andrea Tronzano a lanciare di nuovo la palla nel campo del Comune: «La legge regionale numero 15 del 1997 ha sancito il trasferimento della proprietà al Comune di Stresa. Nel 2014 è stato siglato un Accordo di programma promosso dal Comune di Stresa, attraverso il quale la Regione Piemonte ha stanziato 1.750.000 euro per gli interventi di ammodernamento e revisione dell'impianto, con una compartecipazione anche da parte del Comune di un milione di euro. E sempre nel 2014 è stata siglata anche la convenzione che individua nel Comune l'amministrazione concedente per la gara d'appalto di gestione dell'impianto ed esecuzione dei lavori».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/mottarone-funivia-incidente-2653111355.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-incidente-per-diversi-aspetti-analogo-a-quello-del-23-maggio-alla-funivia-del-mottarone-accadde-nel-1990-ad-un-impianto-tecnicamente-simile-in-funzione-a-tbilisi-capitale-della-georgia" data-post-id="2653111355" data-published-at="1622024261" data-use-pagination="False"> Un incidente per diversi aspetti analogo a quello del 23 maggio alla funivia del Mottarone accadde nel 1990 ad un impianto tecnicamente simile in funzione a Tbilisi, capitale della Georgia. L'incidente di Tbilisi in Georgia. La cabina dopo lo scivolamento a valle La tragedia della funivia Stresa-Alpino-Mottarone, causa della morte di 14 passeggeri di una delle cabine in linea, ricorda molto quanto avvenuto sull'impianto Rustaveli - Monte Mtatsminda il 1 giugno 1990, incidente che costò la vita a 19 occupanti e il ferimento di altri 42 passeggeri. In entrambi i casi le funivie erano state costruite diversi anni prima e tutte e due erano funivie cosiddette a "va e vieni" a due cabine e due funi, una portante fissa e una traente chiusa ad anello. In tutti e due gli incidenti non è intervenuto il freno di emergenza sulla fune portante. Un altro punto comune ad entrambi gli impianti riguarda la loro storia tecnica. Le due funivie erano state costruite da aziende non più esistenti e rinnovate in seguito da terzi. La funivia Stresa-Alpino Mottarone in due tronchi fu progettata e realizzata dalla ditta "Piemonte Funivie" nel 1970, più tardi confluita nella Agudio SpA ed a sua volta assorbita dalla Leitner di Vipiteno (Bolzano) che nel 2016 ne ha curato l'aggiornamento tecnico che ha permesso la proroga della concessione di esercizio. La funivia di Tbilisi era invece stata realizzata nel 1958 da un consorzio sovietico ed originariamente era dotata di due cabine della portata di 25 passeggeri ciascuna. Nel 1988, sotto il coordinamento dell'ingegnere georgiano Vahkang Lejava, l'impianto fu sottoposto ad un aggiornamento tecnico importante, per il quale furono chiamate due storiche aziende italiane, alle quali furono commissionate nuove cabine con relativi carrelli della capacità di 40 passeggeri costruite dalle officine meccaniche Lovisolo di Finale Ligure e fornite dalla milanese Ceretti e Tanfani. Gli ingegneri georgiani modificarono anche la struttura della linea, eliminando uno dei sostegni intermedi e rendendo il tracciato più ripido nell'ultimo tratto. Queste modifiche furono a lungo criticate da Lejava che si rifiutò di firmare i documenti finali e l'impianto entrò in esercizio ugualmente con evidenti problemi di attivazione del freno sulla portante. Anche la posizione delle due cabine in corsa al momento del disastro risulta un punto comune e non trascurabile ad entrambi i casi. Mentre le indagini sono in corso per stabilire con certezza le cause della tragedia del Mottarone, trentuno anni fa l'impianto della capitale georgiana compiva l'ultima tragica corsa. La storia dell'impianto costruito durante l'era sovietica si fermò improvvisamente mentre la cabina numero 1 si trovava a poca distanza dalla stazione di monte e la numero 2 quasi all'ingresso a valle (situazione identica all'incidente del Mottarone). Per cause che le fonti georgiane dell'epoca non chiarirono mai fino in fondo, all'improvviso la fune traente si spezzò verosimilmente all'altezza della cosiddetta "testa fusa", vale a dire il punto di serraggio dell'anello della fune traente che si trova all'altezza del carrello di una delle cabine dove avviene l'ammorsamento alla fune stessa. La frustata e la forte trazione verso valle della fune spezzata pesante diverse tonnellate, fece scivolare indietro la cabina 1 senza che il freno d'emergenza a ganasce sulla portante entrasse in funzione, visto che a causa dei problemi sopra descritti fu disattivato volontariamente dai manovratori. Questo mancato funzionamento del freno fece sì che anche la cabina 2 scivolasse verso la stazione di valle schiantandosi in prossimità della fossa d'ingresso e provocando feriti e 4 vittime. La situazione più drammatica fu a carico della cabina più a monte, come nel caso del Mottarone. Lasciata libera di scivolare lungo la fune portante a causa del mancato intervento del freno di emergenza la cabina prese una velocità esorbitante, stimata tra i 150 e i 200 Km/h quando la sua corsa si arrestò all'altezza del primo pilone, quasi alla stazione di valle. La forza della traente spezzata e della cabina in discesa libera fece uscire dalla sede anche la fune portante. Incontrando la traente ormai schiantata e arrrotolata, la cabina 1 fu letteralmente segata in due dalla fune e si arrestò all'altezza del tetto di un edificio poco sopra la stazione di valle. I passeggeri furono tutti sbalzati all'esterno perdendo la vita. Anche nel caso della recentissima disgrazia al Mottarone la rottura della traente pare sia avvenuta nei pressi della cabina giunta quasi alla stazione di monte. Lo scivolamento all'indietro della vettura non contrastata dall'azionamento del freno di emergenza sulla portante inibito dalla presenza della "forchetta" (un perno che impedisce la chiusura delle ganasce sulla fune) incontrando il sostegno poco a valle ha prodotto l'impatto contro quest'ultimo e il conseguente scarrucolamento della cabina che è precipitata sul terreno sottostante arrestandosi a ridosso degli alberi ai lati della linea. A quanto risulta, a differenza del caso di Tbilisi, al Mottarone il freno sulla portante è entrato regolarmente in funzione sulla cabina che si trovava nei pressi della stazione di valle. Mentre nel caso dell'incidente di Tbilisi non è stato possibile per i media occidentali accedere ai risultati delle indagini né tantomeno alla documentazione relativa alle manutenzioni periodiche dell' impianto (tenendo conto anche della differenza in termini di legislazione relativa alla gestione di impianti funivia nella Georgia giunta all'epilogo dell'era sovietica), nel caso del Mottarone le indagini sono ancora in una fase assolutamente preliminare ed ancora non sono certe le cause della rottura della fune traente, causa prima dell'incidente. Altri tre disgrazie simili a quella del Mottarone per la dinamica (ma non per cause e responsabilità, in realtà molto diverse tra loro) si verificarono nel passato in Italia. Il primo fu quello occorso alla funivia dell'Alpe Cermis di Cavalese nel marzo del 1976, quando una cabina precipitò a causa dell'accavallamento improvviso delle funi e del dolo dovuto alla volontaria disattivazione dei sistemi di emergenza per evitare i rallentamenti automatici che avrebbero allungato la durata della corsa in un periodo di grande affluenza turistica. Il secondo ed il terzo riguardarono invece due impianti monofune ad agganciamento automatico, molto diversi da quelli di Tbilisi e del Mottarone, ma accomunati a quest'ultimo dalla perdita dell'aderenza della morsa sulla fune. Nel primo caso l'incidente avvenne sulla telecabina Champoluc-Crest il 13 febbraio 1983 quando una cabina appena uscita dalla stazione di valle perse l'ammorsamento e rientrò in stazione in velocità. Anche in questo caso l'errore umano fu di far ripartire l'impianto in una giornata nebbiosa, senza che gli addetti si accorgessero che tre cabine si erano incastrate nei pressi di un sostegno molto alto. La ripartenza improvvisa le fece precipitare a terra causando undici vittime. Sempre su una cabinovia monofune si verificò l'incidente di Alagna Valsesia (Vercelli). Il 1 agosto 1971 una cabina biposto dalla tipica forma a "uovo" della funivia Alagna-Belvedere perse l'ammorsamento nel punto più ripido della linea (110%) e si schiantò contro la cabina che seguiva. I morti furono quattro, di cui due fratelli dell'età di 12 e 16 anni.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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