2025-11-06
L’accoltellatore? «Non pericoloso» secondo magistrati e psicologi
L’aggressore di Milano aveva avuto il via libera dal Tribunale di Brescia nel 2024.È la domanda che pesa più di ogni coltellata: come è stato possibile che, nel dicembre 2024, il Tribunale di Sorveglianza di Brescia - competente anche per Bergamo - abbia dichiarato «non più socialmente pericoloso» Vincenzo Lanni, l’uomo che lunedì mattina, in piazza Gae Aulenti, ha colpito una donna sconosciuta con la stessa freddezza di dieci anni fa? «La cosa che mi ha più colpito», spiega Cinzia Pezzotta, ex avvocato di Lanni, alla Verità, «è che abbia ripetuto le stesse parole di quando aveva aggredito due anziani nell’estate del 2015. Anche allora si era subito accertato che stessero bene, come adesso».La coltellata alla manager di Finlombarda, la 43enne Anna Laura Valsecchi, è un gesto fotocopia, compiuto con lo stesso tipo di coltello di quando nel 2015 colpì i due pensionati, Antonio Castelletti e Luigi Novelli, questa volta nella Bergamasca. Sarà interrogato questa mattina dal giudice per le indagini preliminari Rossana Mongiardo. Lanni, 59 anni, dovrà rispondere delle accuse di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e porto abusivo d’arma, il coltello da cucina comprato pochi giorni prima. «Ce l’avevo con gli operatori della comunità che mi hanno cacciato. E con chi dieci anni fa mi ha licenziato. Non conoscevo la vittima, l’ho scelta casualmente, per me era il simbolo del potere economico» ha già spiegato ai pm. Ma quanti errori servono perché un uomo già condannato torni a colpire nello stesso modo, dieci anni dopo? In questo caso la risposta si misura in una lunga serie di decisioni, leggerezze e procedure che, messe in fila, disegnano una catena di omissioni. Dalla valutazione psichiatrica alle misure di sicurezza, dalle comunità alla vigilanza, ogni anello ha ceduto un poco alla volta. Una sequenza di errori, sottovalutazioni e silenzi ha accompagnato la gestione dell’uomo dopo la scarcerazione. Quando nel dicembre 2024, il Tribunale di Sorveglianza di Brescia lo rimette di fatto in libertà, la decisione viene presa sulla base delle relazioni dei sanitari delle strutture in cui aveva trascorso la misura di sicurezza. Le carte parlano di «progressiva stabilità», «aderenza terapeutica» e «buona condotta». Nessuno, però, pare aver ricordato la diagnosi scritta nel 2016 dallo psichiatra Giacomo Filippini, che lo aveva definito «affetto da disturbo schizoide di personalità, con pessima prognosi e elevata pericolosità sociale». Il medico era stato chiaro: la calma apparente di Lanni era «solo un effetto dell’ambiente contenitivo, non un vero cambiamento interiore». Negli ultimi anni è stato affidato anche al Cps di Azzate, ma anche lì non si sono accorti della sua pericolosità. Affidato infine alla comunità Exodus, era stato allontanato per cattiva condotta senza che nessuno avvisasse le autorità. Già nel 2023 era stato fermato con un coltello mentre era in libertà vigilata, ma fu denunciato e rilasciato: un segnale ignorato. Le relazioni cliniche, prive di vere analisi predittive, ne avevano poi favorito la liberazione senza nuove perizie. Quando i carabinieri lo hanno trovato all’hotel Mondial, ha ammesso: «L’ho fatto», e poi, con la stessa freddezza di dieci anni fa, ha aggiunto: «Spero che la donna stia bene».Nel 2016 il giudice Tino Palestra scriveva che Lanni «in un contesto del tutto asettico, estrae il coltello e colpisce con forza e determinazione», un gesto «perfettamente freddo e deliberato». Per il giudice Palestra, «la giornata del 20 agosto 2015» aveva segnato «l’esplosione di una persona che (forse) non aveva mai parcheggiato l’auto in divieto di sosta, o calpestato le aiuole dei giardini pubblici, ma che una serie di fallimenti personali, famigliari e relazionali aveva spinto all’isolamento e all’introversione assoluta ». Oggi ripete la stessa motivazione: il rancore contro chi «mi ha licenziato, contro il potere economico». La scena si ripete. Freddo e distaccato, spiega l’avvocata Beatrice Lizzio, che lo assiste d’ufficio: «È cosciente e disposto a collaborare con gli inquirenti. Tutto parte sempre dalla stessa motivazione, la perdita del lavoro».
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