2024-07-03
Morto Niccolai, poeta dell’autogol
Addio a Comunardo Niccolai (al centro), ex difensore campione d'Italia con il Cagliari nel 1970
Celebre per pochi ma folgoranti svarioni, fu un grande stopper nel Cagliari campione d’Italia con Gigi Riva e della Nazionale a Messico 1970. Fatale un malore, aveva 77 anni. «Ho vinto lo scudetto, sono arrivato secondo ai Mondiali, ma dopo 50 anni tutti mi parlano degli autogol. Non importa, per qualcosa bisogna pur essere ricordati». In una delle ultime interviste non si trattenne e fece capire che la faccenda non gli garbava poi tanto, anche perché ne aveva fatti sei mentre il record in Serie A appartiene a Franco Baresi e Riccardo Ferri con otto. Ma non avrà di che lamentarsi dall’Aldilà, Comunardo Niccolai, visto che la solfa non è cambiata neppure nel giorno dell’addio. Lo stopper del Cagliari campione, quello che Manlio Scopigno non avrebbe mai pensato «di vedere in mondovisione» a Mexico 70, ha seguito Gigi Riva lassù. Se n’è andato a 77 anni nell’ospedale di Pistoia, ricoverato per un malore, lasciandoci la malinconia del ricordo.Niccolai era timido e magro, per sua ammissione «anche a 20 anni sembravo sul punto di tirare le cuoia». Accompagnato da quella smorfia triste nelle foto in bianco e nero (i compagni lo chiamavano «Agonia»), prese il nome di Comunardo perché il giorno della nascita a Uzzano (15 dicembre 1946) il padre Lorenzo - comunistone e anarcoide, nostalgico della Comune di Parigi - aveva fatto il blitz all’anagrafe. La madre, cattolica, avrebbe continuato a chiamarlo Silvano per tutta la vita. Difensore centrale agile e tignoso (allora si chiamava stopper), a 16 anni prese il traghetto per la Sardegna; lo voleva la Torres in Serie C. «Sarei rimasto sull’isola 14 anni, i più importanti della mia vita. I miei genitori non erano convinti di lasciarmi andare da solo fuori casa a quell’età, ma andò tutto bene. E l’anno successivo passai al Cagliari».Il ragazzo è forte e scala le graduatorie grazie a due coincidenze: in panchina c’è un allenatore che lo adora e lo fustiga per migliorarne il rendimento, in campo accanto a lui gioca la quintessenza della saggezza tattica. Manlio Scopigno detto «Single Malt» lo fa esordire giovanissimo, Pierluigi Cera (la chioccia di quella meravigliosa squadra) gli insegna i movimenti difensivi, la posizione, le malizie. Riuscirà in tutto con quell’allievo dotato, tranne che a frenarne gli ardori, alla base di qualche deviazione sgangherata nella propria porta. Fu Gigi Riva a imprimere a fuoco nel libro della storia del calcio il motivo delle autoreti di Niccolai: «In campo Nic non si risparmiava mai e se è diventato famoso per gli autogol è per via della sua generosità. Lo muoveva la volontà di arrivare prima degli altri sul pallone e di anticipare anche i portieri».Confermato che il primato della quantità appartiene a ben altri fenomeni, a Niccolai rimane quello della qualità. Le sue non erano solo autoreti, erano opere d’arte astratta, autentici capolavori a rovescio, come quello contro la Juventus nel 1970, anno dello storico scudetto. Di testa ad anticipare il portiere. Con una vittima predestinata: l’altro toscano del Cagliari scudettato, Ricky Albertosi. «Ero il suo carnefice, a un certo punto smise perfino di insultarmi. Ad onor del vero gli segnai anche un gol vero, il mio primo in Serie A quando lui giocava nella Fiorentina: ero infortunato, mi misero all’ala e mi capitò la palla buona. Non gli ho risparmiato niente, neanche la rete dello zoppo».La sua rappresentazione da Oscar avviene a Catanzaro, quando crede di aver capito che l’arbitro Concetto Lo Bello ha fischiato un rigore inesistente per gli avversari. Allora prende il pallone e lo scaglia con rabbia verso la propria porta, a portiere annichilito e fuori causa. Ira funesta in purezza. Scrive Edmondo Berselli nel pamphlet Il più mancino dei tiri: «Non si può mai sapere che cosa passi per la testa di un Comunardo quando nella storia prende forma il sospetto dell’Ingiustizia». Il pallone vola verso l’incrocio dei pali e Mario Brugnera lo devia in tuffo con le mani. Il fischio non arrivava dall’arbitro ma da un burlone sugli spalti, la palla era in gioco. Questa volta Lo Bello non può esimersi e indica il rigore. Roba da film di Gabriele Salvatores con 30 anni di anticipo.Niccolai partecipa al mondiale messicano: 37 minuti contro la Svezia, poi si fa male a una caviglia e lascia il posto a Roberto Rosato per tutto il torneo. Gioca 239 partite in Serie A (quattro gol). A fine carriera diventa allenatore federale, per tre anni è ct della Nazionale femminile, poi osservatore a Coverciano fino alla pensione. Scrive il Cagliari nel suo messaggio di cordoglio: «Lascia il ricordo di un grande sportivo, un uomo educato, gentile, rispettoso, cordiale, che sapeva farsi voler bene». Con un giramento eupallico per la storia delle autoreti e una piccola amarezza rivelata sottovoce tempo fa: «Quel benedetto scudetto non lo abbiamo mai festeggiato davvero. Noi compagni intendo. Non lo abbiamo fatto per i 10 anni e neppure per i 20. Poi ne sono passati 30, 40 e addio». Può rimediare stasera con Gigi (Riva), Giulio (Zignoli), Claudio (Nenè), Bobo (Gori), Mario (Martiradonna) Eraldo (Mancin), Moreno (Tampucci). Tutti in mondovisione, per l’eternità.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.