
Dopo la sentenza di Ancona, il suicidio assistito rischia di diventare un diritto. Che imporrebbe ai medici il dovere di sopprimere chi farà loro richiesta. Bisogna opporsi a questa ideologia: curare non è mai uccidere.Il caso del Signor «Mario» (nome di fantasia) di Ancona che, sostenuto dall'Associazione Luca Coscioni, ha richiesto di vedere soddisfatto il suo diritto al suicidio assistito, ha aperto un dibattito che da anni paventiamo e che la dichiarazione del 26 settembre 2019 della Consulta in tema di suicidio assistito non solo non ha risolto, ma anzi ha reso ancora più dannoso e pericoloso. Abbiamo ripetuto in modo quasi ossessivo che se si fonda un diritto, si deve altrettanto provvedere che questo diritto venga fruito: se il suicidio diviene un diritto, va da sé che bisogna indicare chi abbia il «dovere» di rendere attuale tale diritto. Quindi, chi ha il dovere di uccidere una persona che vuole suicidarsi? Anni fa, porre sul tappeto una questione del genere poteva sembrare pura ideologia, quasi una follia. Oggi, purtroppo, non è più così; anzi, è questione di tragica attualità. Il problema si pone in tutta la sua drammaticità e, in questo senso, la sentenza della Consulta non ha fatto altro che accentuare i termini del conflitto fra «diritto» del paziente e «dovere» del medico che deve mettere in atto una «terapia» che garantisca la morte. Tragico ossimoro: una terapia che garantisca l'uccisione del paziente! Posto che nella sentenza vengono esplicitati dei criteri per poter accedere al suicidio assistito e che non viene affermato alcun obbligo in capo al personale sanitario di provvedere alla soppressione del malato, la questione diventa ancora più confusa e «assurda», perché la domanda di fondo resta evidentemente senza risposta: chi deve mettere in atto la condotta «suicidaria»? Il medico da centinaia di anni presta giuramento - e il giuramento non è di per sé stesso una quisquilia di poco conto - «non praticherò eutanasia, neppure se richiesto» e questa dichiarazione ha un altissimo valore deontologico che non può essere liquidato con una battuta sulla spalla. Purtroppo è già capitato in occasione della legge 194/78 ed è stato uno «strappo» professionale e sociale dolorosissimo, le cui conseguenze stiamo pagando ogni giorno in termini di soppressione di piccole vite innocenti indifese, il cui diritto alla vita viene vergognosamente negato, senza neppure fare un pallido tentativo di ottemperare a quanto la stessa legge pro-aborto dichiara, cioè la «tutela sociale della maternità». È vergognoso e colpevole, e ora stiamo per aggiungere vergogna a vergogna, magari «imponendo» con l'ormai classico motivo di «emergenza e stato di necessità» al medico di intervenire, contraddicendo l'ontologia stessa della nostra splendida professione. Abbiamo ripetuto in mille convegni, dibattiti e conferenze che la medicina nasce per difendere la vita, per lenire il dolore (a proposito, che ne è stato del finanziamento a quella ottima legge 38 del 2010 a sostegno della medicina palliativa che mezzo mondo ci invidia per il perfetto equilibro raggiunto fra umanità e tecnologia?) giammai per provocare direttamente, attivamente, consapevolmente la morte di un altro essere umano. Quando continuiamo a ripetere che aprire una falla nel principio di difendere la vita, nell'imperativo deontologico oltre che morale che «curare» non può mai significare «provocare la morte», che su questa strada si sta andando verso l'eutanasia di stato - di tragica memoria - veniamo fatti segno di epiteti tanto offensivi quanto menzogneri.Ma, purtroppo, questa è la tremenda realtà: oggi stiamo discutendo in ordine a chi «deve» praticare il suicidio assistito di persona che lo richieda, e fra pochissimo tempo ci troveremo a discutere su che senso abbia tenere in vita persone disabili, dementi o oligofrenici, pesi sociali inutili, scarti improduttivi che lo «stato» identifica come tali e che - emergenza e necessità e «buon senso» - impongono di eliminare «per il bene di tutti»! Terrorismo ideologico? Purtroppo, incontestabile realtà già in atto nei Paesi del Nord Europa che hanno approvato leggi eutanasiche. Come si è soliti dire, a mali estremi, estremi rimedi. Penso che, giunti a questo punto, noi medici abbiamo l'obbligo morale di una scelta di «disobbedienza civile»: se non venisse adeguatamente tutelata la nostra coscienza, morale e deontologica, che ci impone - nei casi estremi - di accompagnare alla morte naturale i nostri pazienti, e mai di uccidere, non avremo altra strada che opporci con ogni mezzo a queste politiche di evidente «cooperazione al male». Già, perché uccidere una persona è sempre un male.
Donald Trump (Ansa)
Trump, anche lui vittima di un attentato, sottolinea la matrice politica dell’attacco che ha ucciso l’attivista. «La violenza arriva da chi ogni giorno demonizza e ostracizza coloro che la pensano diversamente».
Charlie Kirk (Getty Images
L’assassinio negli Usa del giovane attivista conservatore mostra che certa cultura progressista, mentre lancia allarmi sulla tenuta della democrazia, è la prima a minarla. E intona il coretto del «se l’è cercata».
Alan Friedman, Cathy Latorre e Stephen King (Ansa)
Per alcuni è colpa delle armi, per altri delle sue posizioni: nessuno menziona l’ideologia dietro il delitto. «Cambiare rotta» senza ipocrisie: foto a testa in giù e scritta «-1». Meloni replica: «Non ci facciamo intimidire». Metsola nega il minuto di silenzio a Strasburgo.