2023-10-06
Soci privati bloccati. La morsa della Morselli per restare in sella all’Ilva
Cade l’operazione del nuovo socio industriale. Franco Bernabè in audizione chiederà altri 350 milioni. L’ad tergiversa e gli indiani godono: produrre all’estero rende molto di più.Il castello di carte costruito intorno all’ex Ilva di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia, sta per crollare. Negli ultimi giorni su alcuni quotidiani si è parlato della possibilità di un nuovo commissariamento da parte dello Stato, come anche degli allarmi lanciati nelle scorse settimane dal presidente Franco Bernabè che ha chiesto un nuovo intervento da parte del governo. Insomma, la narrazione è della necessità di una nuova nazionalizzazione o comunque di un nuovo intervento economico importante. L’azienda ha smentito in una nota la possibilità di un commissariamento. Ma intanto sindacati iniziano a farsi sentire e chiedono chiarezza, con la Fiom in prima linea nel ribadire come il processo di decarbonizzazione sia bloccato, come ci sia bisogno di rifare Afo5 e come il dialogo sia con le istituzioni sia con gli indiani di Arcelor Mittal sia fermo. Il dossier del governo tocca il Mimit di Adolfo Urso e il dicastero di Raffaele Fitto, ministro con delega al Pnrr. In ballo c’è il futuro di 10.000 dipendenti. Mercoledì è saltato anche un consiglio di amministrazione in cui si sarebbe dovuto discutere di come riappropriarsi delle aree dissequestrate. Nonostante tutto, l’amministratore delegato Lucia Morselli, mercoledì ha rassicurato i giornalisti a margine di un evento in Puglia, spiegando che «non è un brutto momento» per l’ex Ilva. A giugno lo stesso amministratore delegato aveva accettato, durante una riunione con il ministro Urso, a un cambio dei vertici nel 2024, ma il rallentamento e l’ostracismo degli ultimi mesi non sembrano indicare una volontà da parte della Morselli di scendere a patti con l’esecutivo. Di sicuro, a fare chiarezza, dovrebbe essere proprio Bernabè che alla fine di ottobre è atteso in decima commissione alla Camera dei deputati, dove in audizione dovrà svelare finalmente le carte sullo stato dell’azienda, un passaggio importante, se non decisivo, sulla crisi ormai perenne che sta affrontando la joint venture tra Invitalia e Arcelor Mittal, nata durante il governo giallorosso di Giuseppe Conte, su spinta dell’allora ministro allo Sviluppo Economico Luigi Di Maio. Di quella mossa si vedono i risultati adesso, anche perché il governo Conte aveva tolto lo scudo penale facendo così fare un passo indietro ai manager indiani, che sono al 62% in Acciaierie d’Italia ma al 50% nella governance. E anche perché hanno fatto capire in questi anni che non vogliono fare più investimenti su Taranto. È molto probabile che alla fine di ottobre, ma c’è chi spinge per anticipare l’audizione, Bernabè porterà dati molto sconfortanti in Aula, a cominciare dalla produzione che nel 2023 si attesterà ben al di sotto dei 4 milioni di tonnellate di acciaio, che da contratto dovevano essere la soglia minima da raggiungere. A quanto pare la produzione potrebbe non arrivare ai 3 milioni di tonnellate, per questo motivo i vertici chiederanno 350 milioni di euro per poter chiudere l’anno. Non va dimenticato che lo Stato è già dovuto intervenire con 680 milioni di euro proprio a dicembre, per arginare il caro energia dovuto alla guerra in Ucraina. E nel 2024 potrebbero servirne altri. I soldi, come noto, servono per gli investimenti di decarbonizzazione ma anche per tenere in vita l’azienda. Eppure, rispetto allo scorso anno la situazione è cambiata. Anche perché a dicembre il governo aveva varato un decreto-legge che prevede modifiche alla normativa per l’amministrazione straordinaria in caso di insolvenza della società. È una normativa che prevede ulteriori norme tese a scoraggiare comportamenti che potrebbero allungare le procedure di amministrazione straordinaria legando i compensi dei commissari straordinari ai risultati e alla durata della procedura stessa: si pone anche un tetto massimo ai compensi degli amministratori giudiziari. Non solo. Il decreto conteneva anche lo scudo penale, come diverse modifiche ai patti parasociali, sulla nuova potenziale partecipazione azionaria come sulla governance. In pratica se prima gli accordi erano che lo Stato sarebbe potuto salire al 60% e avrebbe dovuto, obbligatoriamente, trovare un partner finanziario, ora le carte in tavola sono cambiate. Infatti, adesso lo Stato potrà ancora salire al 60%, come previsto dai tempi del governo Conte, ma scegliere un partner industriale. In un incontro di giugno alla presenza dei ministri competenti, di tecnici e della stessa Lucia Morselli si decise che il partner industriale siposto a rilevare in seconda istanza il 20% sarebbe stato Antonio Gozzi, attuale presidente di Federacciai nonché numero uno del gruppo Duferco. Gozzi avrebbe rilevare il 10% così come un altro partner industriale dell’est Europa si sarebbe fatto carico dell’altro 10. Si è fatto anche il nome del successore della Morselli. Peccato che da lì in avanti l’ex Ilva sia finita dentro la morsa della manager d’acciaio. Trovare un nuovo partner industriale significherebbe bilanciare lo strapotere degli anglo indiani. I quali potrebbero avere dato a lei il mandato di tenere duro e soffocare la produzione in Italia per favorire le altre aziende all’estero. Il cda saltato potrebbe essere riconvocato e avviare nuove pratiche legali per reimpossessarsi delle aree dissequestrate servirerebbe ad allungare i tempi e rallentare qualunque decisione.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)