2020-07-23
Moralismi e favole al posto dei numeri: parlare di Europa ormai è impossibile
Mark Rutte, Ursula von der Leyen, Giuseppe Conte (Ansa)
Spauracchi e i ricatti ideologici hanno azzerato il dibattito politico sulle istituzioni. Tutto è ridotto a buoni contro cattivi.«È stato il vino Negramaro, servito durante il faccia a faccia al ristorante con il premier Giuseppe Conte, ad aver contribuito a far capitolare il frugale primo ministro olandese Mark Rutte». Questa la nota della Coldiretti sull'accordo del Recovery fund: incidentalmente, si trattava di una bottiglia di Teresa Manara prodotta dal presidente della Coldiretti Lecce, Gianni Cantele. Il livello è questo, per cui non c'è da stupirsi che il racconto della trattativa e dell'accordo - ancora ricco di incertezze - sulla ridistribuzione delle risorse per affrontare il post Covid sia finito ostaggio di una narrativa polarizzata in cui i più, avendo già deciso da che parte stare, scagliano sugli altri argomenti grotteschi.Mettersi nel mezzo, però, non aiuta a fare passi avanti, perché quello che ormai sembra mancare, nel racconto di cui sopra, è un terreno, anche linguistico, comune, dove mettere in fila criteri con cui descrivere cosa è accaduto, e perché, alla politica economica e non solo dopo lo scorso Consiglio europeo. L'ultima tappa comunitaria non ha fatto che riproporre una sfinita serie di tic, stereotipi, etichette, sotto le quali tentare un approccio razionale diventa un'operazione molto difficile.È complicato non attribuire la responsabilità maggiore di questa distorsione retorica al cosiddetto «europeismo». Sulla violenza verbale e ideologica di quello che chiama «l'impero di Maastricht», l'intellettuale francese Michel Onfray ha scritto parole definitive nell'introduzione al suo recente Teoria della dittatura (Ponte alle Grazie): «Grazie all'appoggio dei media del servizio pubblico e di quelli privati, l'Europa di Maastricht è stata presentata come l'unica forma possibile di Europa; rifiutare l'Europa liberale perché era liberale e non perché era Europa significava rifiutare l'Europa, significava rifiutare tutte le forme possibili di Europa, significava rifiutare l'idea stessa di Europa».Eretta questa gabbia cognitiva, ogni appuntamento, vertice, referendum, tornata elettorale importante, diventa un'ordalia metafisica che vede da una parte la ragione, «l'Europa» nel senso assoluto e ricattatorio spiegato da Onfray, dall'altra la barbarie del sovranismo guerrafondaio, fuori tempo e straccione. Ormai anche le categorie su cui si fonda il dibattito pubblico, politico e mediatico, sono ferri inservibili. Cos'è il «populismo», perennemente contrapposto - specie nella retorica renziana - alla «politica»? Cos'è un «sovranista»? Il premier olandese Mark Rutte s'è trasformato in un amen da eroe liberale che aveva fermato l'ascesa di Geert Wilders a prova vivente che gli egoismi nazionali si ritorcono contro chi li propugna. Viktor Orban oscilla tra l'essere un pilastro del Ppe e un pericolo per lo stato di diritto. Ancora: il debito è una dannazione, un fardello sulle spalle delle generazioni future nella comunicazione di partiti che celebrano come un trionfo l'indebitamento pluridecennale con la Commissione o chiedono l'indebitamento con il Mes. Se lo schema narrativo è quello dell'aneddotica moraleggiante in cui, malgrado i tentativi dei cattivi, il bene trionfa sulle forze oscure, ogni tentativo di lettura economica e geopolitica è destinato a sembrare fatto in un'altra lingua. Restano così, salvo eccezioni, inevase domande ancor più cruciali dopo l'intesa del 21 luglio. Non può reggere la favoletta dei leader «europeisti» che, di colpo, vengono in nostro soccorso e mutano in meglio le condizioni dell'appartenenza all'Ue. Primo, perché questo significherebbe che le condizioni precedenti erano scelte politiche e non dati di natura; secondo, perché - come ha sottolineato con realismo Dario Fabbri su Limes - a muovere Angela Merkel contro lo storico tabù di una forma di debito comune è un interesse nazionale che si potrebbe tranquillamente tacciare di sovranismo: «Troppi i benefici per la Germania dall'esistenza dell'euro in termini di esportazioni e di coinvolgimento delle strutture produttive altrui», ha scritto l'analista sul sito del mensile. E gli sconti strappati - quelli sì soldi veri, subito disponibili - dai cosiddetti «frugali» (altra definizione falsante)? Altro non sono che il prezzo pagato volentieri da Berlino per far digerire anche a loro non tanto i «soldi all'Italia» (che non ci sono), ma l'ascesa geopolitica che la Germania è stata costretta a compiere con questa scelta: ascesa che Olanda & C temono.Altro nodo occultato: è un'istituzione funzionale quella che, colpita da crisi (Lehman, debito sovrano, Covid) deve costruire soluzioni informali (l'Eurogruppo, i fondi Salvastati, il Recovery) estranee alla cornice dei trattati per poi ficcarcele dentro a forza? È normale, efficiente, razionale, una modalità politica di composizione degli interessi divergenti che opera mettendo storie, culture, economie diverse una contro l'altra in sfinenti vertici notturni puntualmente salutati come albe di mondi nuovi che deludono in sempre minor tempo?A prescindere dal giudizio di valore, l'esito dell'ultima trattativa esprime un accordo che è l'antitesi dell'europeismo inteso come avanzamento politico dell'Unione. Si rinforza la dinamica decisionale intergovernativa che da sempre è l'opzione favorita da Berlino (non a caso, Commissione e Parlamento Ue sono in polemica fibrillazione): ma comunque va celebrata la «vittoria storica dell'Europa». Oppresso da questo moralismo da fiaba banale, il discorso sull'Unione è una balbuzie sempre più simile al micidiale ricatto al centro della più grande fiaba sul potere mai scritta, La fattoria degli animali. In cui il portavoce dei maiali, di fronte a ogni pigolio di dissenso dei suoi simili, agitava lo spauracchio del «ritorno di Jones», anche quando il vecchio padrone era morto da tempo.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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