2021-10-09
Monte Grappa, memoriale di guerre e delizie
Riserva della biosfera dell'Unesco, è l'unica interamente veneta. Un riconoscimento che premia le qualità di un territorio in prima fila con le sue eccellenze. Dagli asparagi, oro bianco di Bassano, alle ciliegie di Maser, dai bisi indigeni di Borso al miele di Asolo.Il Monte Grappa quale Riserva della biosfera dell'Unesco è la ventesima italiana e la prima interamente veneta, posto che il delta del Po è condiviso con l'Emilia Romagna. Un modo, proiettandolo nel futuro, per salvaguardarne storia e patrimonio naturale, oltre a sdoganarlo finalmente da essere memoriale di guerre e distruzioni volute dall'uomo. Dopo aver viaggiato in quota tra storie burline e morlacchi bastardi è ora di scendere a valle, verso le placide rive del Brenta. Bassano del Grappa è città conosciuta, ricca di arte e storia, con le sue tentazioni golose che vi aspettano dietro l'angolo. Su tutte l'asparago, autentico oro bianco di questa terra. Il colore dovuto al fatto che viene colto ancora ricoperto da madre terra in quanto, se esposto alla luce, virerebbe al verde. Alla base un terreno soffice, alluvionale, dal fondo ghiaioso che permette un ideale drenaggio delle acque. Turione conosciuto fin dall'antichità, delizia dei banchetti luculliani dell'antica Roma, ma di tutt'altro aspetto e spessore. Quello di Bassano scoperto per caso, nel XVI secolo, dopo una violenta grandinata. Le piantine emerse distrutte, i contadini disperati andarono a cercare cosa era rimasto sul campo e così, dal ventre delle zolle, emersero queste creature di candido aspetto. Al gusto una scoperta. Dolci e croccanti, con una piccola vena amarognola, un autentico Bengodi. In quel periodo la tratta della Valsugana che portava a Trento per il Concilio era percorso obbligato per vescovi e patriarchi con il loro seguito. In fondo era cibo penitenziale privo di grassi peccaminosi e il resto della storia è giunta sino a noi. Asparago testimone riconosciuto di una società e del suo tempo. Lo si ritrova nella famosa cena di Emmaus, opera di Giovanni Battista Piazzetta, in molte stampe dei Remondini, pregiati stampatori conosciuti in tutta Europa. Bassano città della ceramica. Qui troverete tutto quello che serve, decorato con richiami dedicati, alla convivialità con l'asparago protagonista, dai vassoi ai piatti e quant'altro. Asparago goloso, ma anche goliardico. Nel 1922 una delegazione di studenti bassanesi, giunti a Padova per le celebrazioni del settecentenario del Bò universitario, si presentò con il gonfalone cittadino, solo che al posto della storica torre civica i due leoni posti ai lati si appoggiavano ad un imponente asparago. Poco oltre Bassano, verso la Valsugana, i dolci declivi di Pove. Qui, fin dall'epoca romana, si coltivava l'ulivo. Documenti del XIII secolo registrano come molte piantagioni fossero di proprietà ecclesiastica, l'olio utile per l'illuminazione delle chiese. Una coltivazione ad uso prevalentemente familiare, ad esempio utile per preparare la panada, una zuppa di pane condita con sale, olio e formaggio ideale per svezzare i bambini, consolare gli anziani, ridare forza alle mamme dopo il parto. Il cambio di marcia dovuto ad un appassionato imprenditore proveniente da altri settori, Gabriele Gamberoni, il quale intuì che, per ottenere un buon prodotto, bisognava procedere alla raccolta precoce e possibilmente manuale, macinando il tutto entro il giorno successivo. Nel 2002 nasce la cooperativa sociale e, nel 2006, Pove entra nella élite delle Città dell'Olio dopo di che si inaugura un'omonima strada che collegherà il versante vicentino con quello trevigiano portando il visitatore curioso sino ad Asolo, la Città dei Cento Orizzonti. A Pove resiste una antica cultivar, la Pomella, che Gamberoni confeziona con etichetta intrigante, #5, ogni riferimento alla regina dell'olfatto, Coco Chanel, per niente casuale. Gli fa eco Francesco Bizzotto, la famiglia con storiche radici imprenditoriali, anche nel ramo oleario, da generazioni. Lui fa la spola tra Toronto, dove ha avviato una sua personale attività immobiliare, e gli uliveti di cui ora è custode. Tra le piccole gemme dell'Oro de Poe troviamo il Caius Vetonius maximus, etichette a produzione numerata e limitata, che rimandano alla tradizione di compensare i legionari affidando loro la cura dei terreni conquistati dall'esercito romano.Proseguendo lungo la dorsale che porta verso il trevigiano si giunge a Borso del Grappa, tra le più note mete per gli amanti del volo libero. Atterrati a tavola vi attendono i bisi de Borso, alias piselli indigeni. Pregiati grazie alle proprietà di un terreno drenante (il pisello necessita di acqua, ma non ne tollera il ristagno), l'assenza di nebbie, e quindi umidità, ambienti soleggiati e ventosi. Poteva capitare che i capricci di Giove pluvio rovinassero irrimediabilmente il raccolto, da lì il classico e rassegnato «adio bisi», con cui si descriveva come un qualsiasi evento fosse andato a farsi benedire, cioè compromesso. Il primo a raccontarli Baldassarre Pisanelli, nel 1659 nel suo Trattato della natura e dei cibi. Piatto principe i risi e bisi, definito da Bepi Mazzotti «una specie di concentrato di primavera». La sorpresa del buon ricordo da portare a casa è la torta di bisi, invenzione di un pasticciere di lungo corso, Pierino Biaggioni, con burro, mandorle e nocciole. Asolo, da alcuni anni, è entrata nell'élite delle quaranta città del miele italiane. Pochi sanno che l'Italia è leader nel mondo per il miele di qualità. Api dalle mille virtù, prime indicatori della qualità di un ecosistema, sentinelle dell'equilibrio di un ambiente, che loro stesse proteggono, ad esempio trasportando il polline da un fiore all'altro della stessa specie. Ogni comunità, infatti, è fedele ad un tipo di pianta, ma anche rimediando ai danni di altri insetti sulle piante da frutto. Poco oltre Asolo le ciliegie di Maser. Una ricchezza del territorio che già dal 1345, per opera del Podestà di Asolo, Andrea Cornaro, doveva rispettare certe regole di un mercato che voleva salvaguardare al massimo il valore aggiunto del prodotto tanto che, in un documento del 1359, si scopre come, agli affittuari di un terreno, spetti il compito «di piantare ogni anno cento piantine di ciliegio, anticipando le spese di acquisto che il locatario poi avrebbe risarcito». Vi è una cultivar specifica, la mora di Maser, la cui raccolta tardiva permetteva di espandere la stagione di vendita quando altre varianti avevano completato il loro ciclo. Ciliegia di Maser oramai in aperta competizione con la più storica e conosciuta collega di Marostica, una partita a scacchi dal dolce sentire, posto che il motto della specie è «una ciliegia tira l'altra». Nella circumnavigazione del Grappa entrando nel bellunese l'incontro con il fagiolo di Lamon è conseguente. È una delle pepite giunte dalle Americhe che troverà tra queste valli terreno ideale. La filiera del massimo livello. L'imperatore Carlo V, nel 1532, rese omaggio a papa Clemente VII di vari beni materiali provenienti dal nuovo mondo, tra cui alcuni baccelli che l'erede di Pietro affidò, perché ne facesse buon uso, a uno dei suoi migliori prelati, Giovanni Pietro delle Fosse, passato alla storia come Piero Valeriano. Questi, tornato nelle sue valli bellunesi, sparse il verbo, sotto forma di sementi, ai suoi parroci perché lo diffondessero tra la popolazione rurale. In breve il fagiolo trovò il suo centro di gravità permanente a Lamon, per diffondersi poi in tutto il feltrino e, attraverso le vie commerciali del Piave, arrivare a Venezia e da lì sino alla penisola iberica.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)