2021-09-11
Moltiplicati, globali e sanguinari. I jihadisti dopo un ventennio di lotte
A 20 anni dal giorno in cui Osama Bin Laden mise in ginocchio gli States, provocando la reazione militare contro il terrorismo di matrice islamica, esso si è moltiplicato in sigle diverse e tutte spietate, spesso in lotta perfino fra loro. Dal Medio Oriente all'Asia, all'Africa, la minaccia per i nostri Paesi è in continua crescita.Sono passati 20 anni da quel tragico 11 settembre 2001 e il triste anniversario si celebra proprio mentre l'Afghanistan dove si nascondeva Osama Bin Laden, leader di Al-Qaeda, è di nuovo nelle mani dei talebani ai quali il Paese è stato servito su un piatto d'argento. Perché il leader di Al-Qaeda decise di attaccare al cuore l'America? Di uccidere più di 3.000 persone e di ferirne oltre 6.000 e saranno centinaia i decessi negli anni successivi a causa di tumori e malattie respiratorie, conseguenze degli attacchi? Perché lo fece pur sapendo che questo avrebbe distrutto la sua organizzazione e anche se stesso? Bin Laden che era un saudita e che mandò a morire 15 suoi connazionali (in totale erano 19 gli attentatori negli attacchi dell'11 settembre) sapeva che così avrebbe attirato l'esercito americano nella guerra in Afghanistan che sarebbe costata trilioni di dollari e migliaia di vite umane.Gli Stati Uniti nella trappola ci cascarono con tutte le scarpe perché invece di organizzare un commando che catturasse Osama Bin Laden e il Mullah Omar, optarono per una risposta di pancia, spettacolare, frettolosa e confusa negli obbiettivi. A proposito di Arabia Saudita: l'Amministrazione diretta da George W. Bush inizialmente accarezzò l'idea di attaccarla perché sapeva da tempo che a Bin Laden i fondi arrivavano da alcuni membri della casa reale e anche da alcune Ong saudite (più che altro per levarselo di torno e allontanare il pericolo), ma alla fine il pragmatismo prevalse. Troppi gli interessi tra i due Paesi. Ma l'appuntamento verrà solo rimandato perché l'invasione in Iraq del marzo del 2003 punirà di riflesso i sauditi che videro sgretolare la barriera che li proteggeva dall'odiato Iran degli ayatollah sciiti. Punirà anche il resto del mondo perché l'invasione Usa darà la spinta alla creazione dell'Isis che con il califfo Abu Bakr Al Baghdadi si farà tra la Siria e l'Iraq il suo «Stato Islamico» e con due capitali: Mosul e Raqqa. Ma allora furono gli interventi americani in Medio Oriente a far esplodere il fenomeno del terrorismo islamico nel mondo? Niente affatto. Secondo il report di Fondapol dal titolo Gli attentati islamisti nel mondo 1979-2019, gli attacchi sono stati 33.769 per un totale di 167.096 persone morte e il ferimento di 151.431 (fino all'estate del 2019) e la tendenza negli ultimi due anni non si è certo arrestata, basti pensare alle migliaia di morti in tutta l'Africa dove le branche locali dell'Isis e di Al-Qaeda si combattono per la supremazia territoriale. Uno scenario che investe tutta la fascia del Sahel ed in particolare le zone di confine tra Burkina Faso, Mali e Niger dove agiscono decine di gruppi islamisti tra i quali gli Al Mourabitoun, un gruppo formatosi dall'unione dell'Amb (Al-Mulathamun Battalion) e il Movimento per l'Unità e Jihad in Africa Occidentale (Mujao). Il Centro di studi strategici sull'Africa (Acss), nella sua ultima pubblicazione racconta di come nel 2020 «c'è stato un picco del 43% nella violenza dei gruppi militanti islamisti in Africa. I 4.958 eventi segnalati legati a questi gruppi rappresentano un livello record di violenza in aumento dal 2016. I decessi legati ai gruppi militanti islamici africani sono aumentati di un terzo nel 2020 rispetto all'anno precedente, con una stima di 13.059 morti».Allo stato attuale, sempre secondo l'Acss «la violenza militante islamista rimane in gran parte concentrata in cinque teatri, ciascuno comprendente attori e sfide distinti: Somalia, Sahel, e il bacino del lago Ciad» ma il virus islamista sta contagiando altri Paesi africani come nel caso del Mozambico, dove dal 2017 agisce il gruppo Ahlu al Sunna wa al Jamaa che finora ha causato oltre 2.700 morti e quasi 1 milione di sfollati. Attenzione poi al Ruanda, da mesi l'Isis soffia sul fuoco dell'odio etnico-religioso con la sua propaganda e sappiamo che questo è un meccanismo che funziona sempre. Guai a dimenticare poi Tunisia, Algeria, Marocco e ora anche la Libia: un paese dove francesi, inglesi e americani hanno replicato gli errori fatti in Afghanistan e Iraq e dove oggi è arrivato anche l'Isis. E che dire del Sud Est asiatico dove i servizi di intelligence di paesi come l'India, le Filippine, il Bangladesh e l'Indonesia, con circa 225 milioni di fedeli è il più grande Paese musulmano al mondo per numero di credenti, sono certi che i gruppi terroristici locali siano in fibrillazione dopo che i talebani si sono ripresi l'Afghanistan. Stesse preoccupazioni sono condivise dalla Malesia che a causa della sua posizione geografica da tempo è diventata un punto di transito tra il Medio Oriente e le Filippine meridionali e quindi la base ideale per il reclutamento e il finanziamento di diversi gruppi jihadisti, alcuni dei quali affiliati all'Isis. La presenza sul territorio di elementi affiliati ad Al-Harakat al-Islamiyya più conosciuto come Abu Sayyaf, al Fronte di Liberazione Islamico Moro, al Daulah Islamiyah o Gruppo Maute, oppure alla Jemaah Islamiyah e a molti altri gruppi salafiti, hanno fatto scattare l'allarme rosso nei palazzi della capitale Kuala Lumpur.Il sangue per le strade lo abbiamo pulito (e si continua a farlo) anche in Europa tanto che dal 2014 al 2020 si sono avute 146 azioni jihadiste compiute da 188 terroristi (59 sono morti), che hanno provocato 406 morti, 2.421 feriti e danni per centinaia di milioni di euro. A noi europei la cosa più importante che dovremmo aver imparato la disse nel 2016 il politologo Giovanni Sartori: «Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici ed economici che regolano i rapporti tra Islam ed Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati. [...] Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo».