2021-11-05
Mise e Mite arrivano divisi alla firma sullo stop ai sussidi
Daniele Franco e Roberto Cingolani (Ansa)
Diverbio tra Cingolani e Franco. Il governo aderisce all'ultimo al patto contro i sussidi ai fossili. Nel breve, prezzi del barile su.È all'annuncio dell'accordo tra 20 Paesi, Italia compresa, assieme a Stati Uniti, Uk, Canada, per cessare entro il 2022 i sussidi a fonti fossili non abbattute che è affidato il senso della giornata dedicata all'energia alla Cop26 di Glasgow. «Intesa importante», recitano i media mainstream. A sostenere la notizia il solito report sulle emissioni «quest'anno di nuovo in crescita a livelli record». Secondo il rapporto annuale del consorzio Global carbon project le emissioni di diossido di carbonio dovrebbero rimbalzare nel 2021 ai livelli pre-Covid, con la quota della Cina in crescita a quasi un terzo del totale. Si tratta della solita cortina fumogena che aiuta a confondere le idee e a spingere sulla transizione forzata. Ma la cortina fumogena ieri è servita anche a nascondere un inghippo non certo irrilevante. Bloomberg ha infatti pubblicato uno scoop relativo all'iter della firma dell'accordo sulla riduzione dei sussidi da parte del nostro Paese. L'adesione di Roma sarebbe avvenuta solo all'ultimo minuto con una sorta di inversione a U. Evento anomalo per un accordo programmato da così tanto tempo. A quanto risulta alla Verità mercoledì sera gli sherpa del Mite, il ministero della Transizione guidato da Roberto Cingolani, erano ancora in attesa di un allineamento da parte del Mef e del ministro dell'Economia Daniele Franco. Particolare che lascia intendere un forte disallineamento tra i due ministeri. Al momento non è dato sapere perchè abbia prevalso la linea del Mite. Certo, l'accordo ha una serie di svantaggi nel breve termine e dei vantaggi nel lungo per il colosso nazionale Eni. Partendo dal Cane a sei zampe non si può non notare che lo stop ai finanziamenti sulle fonti fossili «overseas non abbattute», finirà con lo spingere tutti i progetti di cattura della CO2 nei quali l'Eni dimostra di essere particolarmente all'avanguardia. Al tempo stesso e nel breve termine il nuovo accordo celebrato da tutte le Ong concorrerà alla spinta inflattiva, spingendo il prezzo del barile verso l'alto. Certamente per chi si deve anche occupare delle tasche dei consumatori italiani significa aggiungere preoccupazioni su preoccupazioni. Ci sono infine da prendere in considerazione altri elementi geografici. Al momento, stando a quanto emerge dai lavori della Cop26, l'accordo dovrebbe mettere in freezer almeno 8 miliardi di dollari di sussidi che poi saranno dirottati su altri progetti green. Da tempo il governo inglese è sotto pressione perché finanzia con 750 milioni di pound un impianto onshore in Mozambico, a Cabo Delgado. Lì c'è anche Eni sebbene gestisca il grande progetto offshore. È presto per capire se le novità dell'accordo possano impattare anche sul versante italiano. Certo questa eventualità spiegherebbe le frizioni tra i due ministeri e magari le titubanze dell'azionista pubblico che mai vorrebbe trovarsi a penalizzare una sua controllata. Per il resto la giornata di ieri a Glasgow è stata meno sorprendente e dedicata come la precedente al rilancio delle rinnovabili.Per il passaggio alle nuove fonti, i partecipanti alla Cop26 chiedono più soldi. E a lanciare l'allarme sugli scarsi finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo è lo stesso rapporto dell'Onu che già ci vede spacciati: «Con l'innalzamento di 1,5 gradi gli impatti sono già irreversibili». Così sul fronte finanziario ieri è stato presentato a Glasgow il Report annuale della Piattaforma internazionale sulla finanza sostenibile (Ipsf) promossa dall'Ue, con l'adesione di Regno Unito, Nuova Zelanda, e altri otto Paesi con la commissaria Ue Mairead McGuinness che ha sottolineato il lavoro della Ue per standard più stringenti sugli investimenti green. Insieme, i 18 membri dell'Ipsf rappresentano il 55% delle emissioni di gas serra e il 55% del Pil mondiale. I lavori per definire la strada che consentirà un passaggio determinante alle rinnovabili sono proseguiti e in serata è stato partorito un annuncio: almeno «23 Stati si sono impegnati per la prima volta a eliminare il carbone dalla loro produzione di energia». Applicando al setaccio tutte le dichiarazioni diffuse dall'avvio della riunione di Glasgow emergono due aspetti fondamentali per la Gran Bretagna e per il mondo finanziario globale. Il primo riguarda l'immagine del governo di Londra e di Boris Johnson. L'obiettivo è drammatizzare tutti gli accordi per metterli in contrasto con il G20 e dimostrare che a Glasgow si è fatto qualcosa di più concreto. Al di là del fatto che appare una gara verso il baratro, è comprensibile che Bojo voglia evitare di farsi troppo oscurare da Mario Draghi. L'altro aspetto è spiegato meglio nell'articolo che pubblichiamo nell'altra pagina. Il mercato della finanza ha la forte necessità di gestire la bolla delle emissioni obbligazionarie. Ci sono almeno 18.000 miliardi di bond a tasso negativo. Riuscire a infilarli sotto la bandiera del green significherà riesumarli e riportarli verso rendite più alte. Un business enorme che giustifica le fregole assurde e la fretta per una riconversione forzata che danneggerà l'economia reale di Paesi come il nostro.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.