2020-07-11
Miracolo a sinistra: c’è uno scrittore davvero «scorretto»
Giuseppe Culicchia (Filippo Alfero/Getty Images for OGR Turin)
Il libro di Giuseppe Culicchia è un fenomenale catalogo di ipocrisie progressiste. Senza la solita superiorità morale. Ora che il serpente della censura ha iniziato a morderli alle caviglie, pure gli illustri intellettuali liberal hanno iniziato a inveire contro le follie del politicamente corretto. Lo hanno fatto a modo loro, ovviamente, cioè senza mai perdere l'occasione per ribadire di essere moralmente superiori. Esempio: le 150 personalità della cultura che, nei giorni scorsi, hanno firmato un manifesto per contrastare le derive «illiberali» di certi attivisti di sinistra, ci hanno comunque tenuto a specificare che Donald Trump è «una vera e propria minaccia per la democrazia». In pratica, i Vip combattono la censura, ma solo se colpisce loro. Se invece tocca qualche fascistone (o presunto tale), poco male. Persino l'Economist, baluardo del neoliberismo progressista, ha dedicato un'indignata copertina alla «nuova ideologia della razza», stigmatizzando le derive iconoclaste dei movimenti «antirazzisti». Non c'è nemmeno bisogno di essere troppo cinici per pensare che così sia un po' comoda. Gli abbattitori di statue e i fanatici che vogliono cancellare la parola «negro» dai libri dell'antischiavista Mark Twain, in fondo, sono i nipotini della stessa aristocrazia intellettuale che adesso li rimbrotta. Black lives matter e altri esaltati di quel giro non fanno altro che aggiungere un po' di rabbia all'antica supponenza di accademici, scrittori e giornalisti chic. Cioè quelli che hanno sempre guardato con sdegno i «populisti» e gli onnipresenti «fascisti». In questo quadro di ipocrisia dominante risulta ancora più sorprendente il nuovo libro di Giuseppe Culicchia, scrittore torinese arrivato al successo nel 1994 con il romanzo Tutti giù per terra, e divenuto da qualche anno un raffinato fustigatore dell'italica cialtroneria. Il volume in questione s'intitola E finsero felici e contenti. Dizionario delle nostre ipocrisie. A vedere il marchio Feltrinelli sulla copertina si rimane sinceramente sconcertati: chissà, forse l'onda sovranista ha prodotto qualche spruzzo di buon senso anche negli ambienti più rigidamente «di sinistra». Il fatto è che il libro di Culicchia - organizzato come un dizionario - riesce sul serio a smascherare l'ipocrisia senza essere a sua volta ipocrita. L'autore non si limita a ridacchiare delle follie buoniste, ma ha il fegato di andare al fondo della questione, e di toccare alcuni tasti dolentissimi. Certo, lo può fare perché è amato anche a sinistra e pubblica con un editore dichiaratamente di sinistra: ma ci vuole comunque un bel coraggio, perché qui l'accusa di intelligenza con il nemico è dietro l'angolo. Spieghiamo. Nelle primissime pagine, Culicchia scrive: «Negli Usa e altrove siamo arrivati al punto in cui se sei un maschio bianco eterosessuale non puoi scrivere una storia che abbia come protagonista un gay afroamericano o tantomeno un'afroamericana lesbica [...], non hai il diritto di farlo, dato che non appartieni a nessuna di queste minoranze». Fino a qui, niente di straordinario: abbiamo un autore intelligente che prende una posizione abbastanza comune anche fra i progressisti più illuminati. Ma poco dopo arriva qualcosa di decisamente più inedito. Prendiamo la voce «Body shaming» del catalogo culicchiesco (o culicchiano?) delle ipocrisie. Recita: «In Italia non è corretto farlo se è rivolto a donne di sinistra, nel qual caso scatta immediatamente la stigmatizzazione non solo su Twitter e Facebook ma anche da parte delle testate più autorevoli. Lo si può invece tranquillamente fare nei confronti di donne di destra, vedi il famoso tweet di Asia Argento su Giorgia Meloni, oppure prendendo di mira uomini di destra, vedi i vari Silvio Berlusconi e Giuliano Ferrara e Renato Brunetta». Frasi come queste si avvicinano al limite del consentito, per un intellettuale «non di destra». Ma Culicchia fa ben di peggio. Parlando di migranti, ad esempio, scrive: «Forse esiste un oggettivo problema di smistamento dei migranti e dei profughi: perché dopotutto non è pensabile che l'Italia, geograficamente il primo approdo per chi arriva dall'Africa, ospiti da sola tutti coloro che fuggono da fame, guerra ed effetti dei mutamenti climatici o che semplicemente hanno preso a modello il nostro stile di vita». Per chi sta a destra un ragionamento simile è quasi scontato: puro buonsenso. Ma all'uomo di sinistra sta già uscendo il fumo dalle narici. E non è che l'inizio. Riportiamo giusto poche frasi da alcune voci del dizionario di Culicchia, tanto per chiarire. Bianchi: «Se europei e americani e per giunta maschi, sentirsi in colpa a priori per tutti i mali del mondo ed evitare di uscirsene in pubblico con battute che abbiano a che fare in qualche modo con i neri, i gay, i migranti, le donne e dio non voglia le femministe». Clandestini: «Dire sempre: “Siamo tutti clandestini". Cercare di ricordarselo pure in spiaggia, [...] alla milionesima offerta da parte del milionesimo venditore ambulante del milionesimo occhiale e/o cappello e/o telo da mare colorato». Immigrati: «L'uso di tale definizione qualifica immediatamente come razzista sovranista leghista, dunque fascista colui o colei che l'ha pronunciata, per cui a meno che non si appartenga alle categorie di cui sopra occorre ricordarsi di adoperare sempre il politicamente corretto “migranti"». Sovranisti: «In quanto populisti sono anche razzisti leghisti, dunque fascisti». Gay: «Battersi o per lo meno dichiararsi favorevoli non solo per/ al riconoscimento delle unioni gay ma anche perché alle coppie gay venga riconosciuto il diritto di adottare figli o di affittare un utero e con esso di conseguenza la donna che ne è proprietaria è il solo modo accettato di affrontare codeste questioni: chiunque esprima dubbi in proposito è un maschilista tradizionalista se non direttamente un fascista». Multiculturalismo: «È bello. Ultimo dogma. Destino dell'Umanità. In veste di intellettuali di sinistra, tesserne le lodi più sperticate. Evitare tuttavia di comprare casa nei quartieri periferici di Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo». Da applausi. Questo libro è talmente bello da far sorgere il serio dubbio che quelli di Feltrinelli l'abbiano pubblicato senza leggerlo prima.